Mercoledì, 05 Maggio 2021 06:38

La Nuova Pilotta. In evidenza

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L'Ottocento e il mito del Coraggio, la Scapiliata di Leonardo, ma anche la proroga della Mostra di Fornasetti e Paolo Toschi e la Scuola di incisione. Il complesso Monumentale della Pilotta riapre in grande spolvero e affascinanti mostre. (Foto di Francesca Bocchia)

 

L’Ottocento e il mito di Correggio - Parma, La nuova Pilotta - Mostra a cura di Simone Verde

“L’Ottocento e il mito di Correggio” è innanzitutto un omaggio a due figure per molti versi fondamentali della storia parmense: Maria Luigia d’Asburgo, Duchessa di Parma, e l’incisore Paolo Toschi. Vuole anche essere una soluzione virtuosa di un problema allestitivo di lunghissima data con cui si sono confrontati tutti i direttori dell’ex Galleria Nazionale. La Rocchetta, teatro di questa “mostra permanente”, infatti è uno spazio cruciale dal punto di vista storico ma di difficile musealizzazione. Vi si trovano le pale del Correggio in un allestimento ottocentesco storicizzato e quindi inamovibile. Esse sono alla fine del percorso, però, cronologicamente decontestualizzate dalla produzione coeva e vengono dopo le opere del Settecento, esposte negli antichi saloni dell’Accademia. 

Esiste da sempre un problema sul come giustificare tale collocazione che questo allestimento finalmente ha risolto: il Correggio di questi spazi, in effetti, non è un Correggio pienamente rinascimentale, ma reinventato dal XIX secolo, a uso dei copisti dell’Accademia. Tirato giù dagli altari delle chiese in cui si trovava, è un maestro ormai borghese che il visitatore trova allestito ad altezza d’occhio per un dialogo a tu per tu. Per spiegare il senso di questo stravolgimento culturale, è stato perciò creato un percorso ricomprensivo, tipico di un museo contemporaneo cui è al contempo richiesta la narrazione della storia dell’arte e di quella delle collezioni. Con “L’Ottocento e il mito di Correggio”, quindi, il visitatore troverà chiarito il senso della rimozione delle opere dagli edifici sacri da cui provengono e – grazie alla esposizione per la prima volta al pubblico della pittura ottocentesca della Pilotta – il contesto artistico di questa reinvenzione.

Intorno ai quattro capolavori del Correggio – La Madonna con la scodella e la Madonna di San Gerolamo più le due tele provenienti dalla Cappella del Bono –  che con il Secondo Trattato di Parigi nel 1815 vennero restituiti a Parma dal Louvre dove erano confluiti per effetto delle requisizioni napoleoniche del 1796, la mostra presenta anche il meglio della produzione ottocentesca del Ducato, nell’epoca in cui questo Correggio “secolarizzato” diventa l’eroe della pittura nazionale parmigiana. Andando alle date, nel 1816 il Palazzo della Pilotta rappresentò un rifugio adatto per accogliere il patrimonio d’arte che doveva essere ricomposto e valorizzato; con il progetto di Pietro De Lama le opere del Correggio trovarono un primo allestimento negli spazi adiacenti al Teatro Farnese, dove era ospitata in passato la biblioteca farnesiana. Tra il 1821 e il 1829, sulla base di un progetto curato da Paolo Toschi, direttore dell’Accademia di Belle Arti e dall’architetto Nicolò Bettoli, furono realizzati i tre saloni conclusi oggi dalla statua del Canova dedicata a Maria Luigia, con un allestimento di derivazione neoclassica. Del marzo 1835, negli spazi della Rocchetta adiacenti ai saloni, è il progetto di un ulteriore allestimento ideato da Nicolò Bettoli e Paolo Toschi che, con l’esposizione nelle salette intime e raccolte della Rocchetta delle opere del Correggio le affidano il ruolo di sancta sanctorum della quadreria luigina, valorizzandole in misura maggiore. Dai Saloni alla Rocchetta, l’allestimento illuminista divenne d’un tratto romantico, documento unico di un passaggio così nodale nella storia della museologia italiana. 

I lavori di ampliamento e rifacimento delle stanze terminano circa venti anni dopo, nel 1855, subendo diverse interruzioni; l’esito di tale intervento purtroppo non fu mai visto dai suoi progettisti, che morirono nel 1854. Ad unire il grande maestro rinascimentale e i capolavori ottocenteschi è Paolo Toschi, incisore raffinato, architetto e direttore dell’Accademia delle Belle Arti, fondata nel 1757 dal duca Filippo di Borbone, poi fortemente sostenuta dalla Duchessa. Toschi volle che le due pale e le due tele diventassero strumento di esercizio per gli allievi della sua Accademia. Alcune di esse vennero quindi poste su strutture che le rendessero orientabili per favorirne l’illuminazione, ovvero la visione con ogni luce. Toschi, poi, con il suo ambizioso progetto di riprodurre ad acquerello, e poi di divulgare attraverso incisioni, i Freschi del Correggio, contribuì alla fama del maestro e della città, con la diffusione dell’opera dell’artista in tutta Europa. Lo studio e l’esecuzione degli acquarelli richiese cinque anni di lavoro, dal 1839 al 1843. Suoi sono gli acquerelli che riproducono gli affreschi del Duomo e di San Giovanni che si ammirano in mostra tra le due pale, alcuni inviati alla Grande Esposizione di Londra del 1855 a rappresentare l’arte del Ducato. Molte delle sue opere e dei suoi allievi sono perciò esposte in queste sale in contrappunto con gli originali rinascimentali, restituendo al visitatore il senso di una reinvenzione culturale e artistica di primaria importanza non solo per la museologia, ma anche per la storiografia dell’arte italiana. 

La visione dell’arte del Toschi, forte della sua formazione parigina rafforzata da rapporti artistici intrecciati in tutta Europa, si dimostrò da subito aperta al nascente gusto romantico per i soggetti storici e per la natura, riuscendo ad ampliare l’orizzonte artistico oltre le stanche riproposizioni di un’arte ufficiale che risentivano di un gusto neoclassico di ascendenza ancora imperiale. In mostra, appartiene al primo filone l’opera di Francesco Scaramuzza rappresentata da una monumentale Silvia e Aminta, inviata nel 1862 ad illustrare Parma all’Esposizione Universale di Londra. Più accondiscendenti al gusto romantico sono i due magnifici Rebel acquistati direttamente da Maria Luigia, le due monumentali tele di Giuseppe Molteni, altro pittore “ufficiale” del ducato luigino mentre la piccola opera di Ferdinando Storelli rappresenta l’estetica di quella che la duchessa volle una longeva e significativa scuola parmense di pittura di paesaggio.

Uno degli ambiti in cui si espresse maggiormente la committenza luigina fu senz’altro quello della pittura religiosa, improntata a una concezione paternalista dello Stato. Le iconografie misericordiose, infatti, o celebranti le attività di elemosina o le elargizioni sovrane si moltiplicarono a dismisura e videro attivi gli artisti ufficiali della corte. Valgano per tutti il San Giovanni Battista di Francesco Scaramuzza e il David con la testa di Golia di Enrico Barbieri. In diverse opere il riferimento ai maestri della pittura emiliana appare declinato in chiave “nazionalistica” di esaltazione del genio parmigiano. Che è anche genio e celebrazione dell’artista, come esprime la fioritura del genere dell’autoritratto. 

Nel corso della storia la riproducibilità tecnica delle opere d’arte è stata sperimentata nelle metodologie della fusione del bronzo, del conio delle monete, della xilografia e della litografia come riproduzione della grafica e della stampa come riproducibilità tecnica della scrittura.  Con l’invenzione della fotografia, le cui prime sperimentazioni iniziarono a diffondersi in Italia dal 1839, proprio quando Toschi dava inizio alla mirabile impresa dei “Freschi” di Correggio, la riproducibilità del visibile si liberò dal condizionamento della manualità. Questo nuovo paradigma irruppe, così, nell’antico Ducato costringendo la cultura accademica parmigiana ad emanciparsi. Ecco che la pittura di paesaggio risulta ora focalizzata sulle forze – naturali e quindi scientifiche – che caratterizzano la universale vastità del reale e le spettacolari tele di Alberto Pasini, come i diaporama del tempo, riproducono in chiave immersiva i paesaggi esotici in cui si svolgeva la vita dei popoli più remoti. Cecrope Barilli intanto ricerca l’esotico nascosto nel primitivo di classi popolari dedite a forme di esistenza analoghe a quelle delle terre colonizzate. Ed è già un entrare nel nuovo secolo nei drammi di una globalizzazione che perdura ancora ai nostri giorni.

Per precisa scelta strategica del Direttore Simone Verde, questa mostra, dopo il periodo espositivo si trasformerà in sezione definitiva della grande pinacoteca della Nuova Pilotta. Alle pareti resteranno le opere con i relativi pannelli espositivi, mentre l’ampio corredo documentario di approfondimento e confronto proposto dalla mostra temporanea resterà documentato dal catalogo dell’esposizione.

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La mostra Fornasetti Theatrum Mundi prorogata sino al 25 luglio

La mostra “Fornasetti Theatrum Mundi” è stata prolungata sino al 25 luglio. Lo ha deciso il Direttore del Complesso Monumentale della Pilotta, Simone Verde, in accordo con l’azienda milanese.

 “Il pubblico che, negli intervalli dei due lockdown è venuto alla Pilotta ha molto apprezzato questa mostra – installazione, potente e al medesimo tempo, garbata, mai invasiva, semmai arricchente”, afferma il Direttore Verde. 

Le opere storiche di Fornasetti creano una sensazione di perfetta simbiosi tra design e storia. 

Le immagini dei “volti” nei piatti di Fornasetti, collocati, come muti spettatori nelle gradinate del Teatro Farnese, hanno spopolato sui social e sui media.

La dimensione multisensoriale dell’esperienza della mostra si amplifica con una colonna sonora, creata appositamente per la visita, ascoltabile sul canale Fornasettiofficial  di Spotify.

Cesare Picco con Mina, Nicola Alesini e Mozart accompagnano il visitatore nel suo viaggio dentro la Pilotta, a partire da quel capolavoro dell’architettura seicentesca che è il Teatro Farnese, basato sul modello del Teatro Vitruviano, che ha ispirato l’idea del “Theatrum Mundi”, formulata dal retore neoplatonico Giulio Camillo. 

“La sua utopia coinvolge figure e simboli disposti in un ordine preciso all’interno del teatro, dotando l’immaginazione della capacità di interpretare il mondo. Un’idea che ha una profonda affinità con la creatività di Fornasetti”, sottolinea l’Azienda.

Nella mostra “Fornasetti Theatrum Mundi”, curata da Barnaba Fornasetti, Valeria Manzi e Simone Verde, l'immaginario e le creazioni dell'Atelier dialogano con l’architettura e le opere del Complesso Monumentale della Pilotta. Riferimenti e suggestioni danno vita ad un vero “teatro del mondo”, così come era inteso nel Cinquecento.

In ottemperanza alle disposizioni del D.P.C.M. del 14 gennaio, il Complesso Monumentale della Pilotta sarà aperto dal lunedì al venerdì dalle ore 10.30 alle 18.30, osservando la chiusura il sabato e la domenica.

 

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Paolo Toschi (1788-1854) e la Scuola d’incisione

 

L’idea di dedicarsi allo studio e alla riproduzione degli affreschi del Correggio esistenti a Parma nacque probabilmente all’epoca della formazione di Paolo Toschi, maturando gradualmente durante il suo soggiorno a Parigi, dove poté perfezionarsi a partire dal 1809 nelle tecniche dell’acquaforte e del bulino, insieme all’amico e compagno di studi Antonio Isac (1788-1828). 

A Parigi Toschi si fece apprezzare per le doti artistiche, frequentando anche Ingres, Prud’hon e Gérard e nel 1814 si impegnò, con profondo coinvolgimento, nel recupero dei dipinti parmensi requisiti nel 1796 da Napoleone, in particolare della tavola correggesca della Madonna di San Gerolamo. Nel 1819 volle aprire a Parma una Scuola d’incisione con Antonio Isac: i due artisti iniziarono nel 1820 a copiare Correggio, dopo aver ottenuto il permesso dal governo per riprodurre gli affreschi della Camera di San Paolo. Il prestigioso incarico conferitogli dalla duchessa Maria Luigia, la direzione della Galleria e delle Scuole dell’Accademia Ducale oltre alla nomina come docente d'incisione e all'ammissione della Scuola fra gli insegnamenti dell’Accademia, interruppero tuttavia tale intento. I successivi incarichi tennero impegnato il Toschi sui progetti di riorganizzazione dell’Accademia di Belle Arti, di ampliamento della Galleria, del nuovo Teatro Ducale e quelli correlati alla didattica, specialmente dopo l’improvvisa morte di Isac (1828), professore di disegno e d'intaglio, quando si ritrovò nella condizione di gestire da solo la Scuola d’incisione. Toschi, uomo di spirito liberale, affabile, leale ed ostinato nelle scelte artistiche, durante il governo di Maria Luigia godette di ampi favori e autorità nel proporre le attitudini dei giovani allievi. 

Il suo Studio fu tappa del Grand Tour di molti viaggiatori e le sue stampe arricchirono le collezioni di artisti, sovrani ed appassionati in tutto il Vecchio Continente; grazie al Toschi Parma divenne una delle capitali europee dell'arte incisoria dell'Ottocento. L’impegno pubblico gli aveva procurato fama e onori a livello europeo e le sue stampe furono esportate anche in America.

Nel 1836 assunse il ruolo di presidente dell’Accademia e riconsiderò il progetto dei Freschi di Correggio, spinto anche dall'urgenza di porre rimedio alle condizioni precarie in cui versavano i dipinti murali. 

Nel 1839 ottenne dal governo il sostegno finanziario necessario per il progetto di realizzazione di incisioni dagli affreschi, coadiuvato dai suoi allievi – in particolare Carlo Raimondi – i cui nomi appaiono a margine sia dei disegni all’acquarello che nelle stampe.

Toschi ritenne necessario far montare alti ponteggi di legno per osservare da vicino le volte dipinte e, considerando la difficoltà di riportare in piano, senza deformazioni, ciò che si vedeva dipinto su superfici curve, utilizzò per la trasposizione dei cicli affrescati l'acquerello su singole tavolette. Questa tecnica dava la possibilità di operare accostando piccole e minute pennellate tonali, specialmente nella realizzazione dei volti, che creavano l’effetto di morbidezza e di luce degli sfumati correggeschi. Facevano parte del progetto 47 opere tratte dal Correggio e dal Parmigianino: la Madonna della scala, l’Incoronazione della Vergine, l’Annunciazione, la volta della Camera di San Paolo, la cupola della chiesa di San Giovanni Evangelista, compresi i pennacchi e la lunetta; i quattro santi dei sottarchi delle prime due cappelle a sinistra in San Giovanni; la cupola del Duomo. L'operazione proseguiva nella Scuola con l'esecuzione del disegno al rovescio sulla lastra di rame e con le incisioni con le tecniche in cavo del bulino e dell’acquaforte. Il governo si era impegnato a finanziare il lavoro di trasposizione all’acquarello pagando le spese e gli artisti, divenendone il legittimo proprietario; il Toschi doveva destinare una copia di ogni stampa a Maria Luigia e promuovere la vendita delle stampe in tutta Europa, in forma di sottoscrizione. L’opera completa, progettata per essere composta di 48 incisioni, compreso il ritratto di Maria Luigia, doveva essere distribuita a dispense in un arco di tempo inizialmente previsto di dieci anni e il costo complessivo era stato calcolato essere di 1864 lire. 

Lo studio e l’esecuzione degli acquarelli richiese cinque anni di lavoro, dal 1839 al 1843.

Toschi però dovette misurarsi anche con il dibattito artistico che stava contribuendo alla trasformazione ed al superamento, con la più semplice litografia, delle pratiche dell’arte calcografica e con gli esperimenti in campo fisico e ottico che, tramite la tecnica fotografica della dagherrotipia, permettevano di “disegnare con la luce”. Per riuscire a percepire esattamente le proporzioni degli affreschi e copiarli in scala sulle tavole egli adottò uno strumento brevettato nel 1811 dall'acquerellista Cornelius Varley, il telescopio grafico, che conteneva una lente micrometrica per consentire all’osservatore di misurare l’angolo sotteso dell’oggetto da copiare. 

Quando Toschi morì improvvisamente nel 1854, le lastre incise in suo possesso erano 22 ed egli rimase debitore allo Stato della somma di 65.000 lire. Gli eredi, la figlia Nina e il genero Ercole Godi ottennero dalla sovrana Luisa Maria di Borbone la sospensione del debito a patto che le altre lastre, comprese le incompiute, gli strumenti di lavoro e i torchi, divenissero proprietà della Scuola d’incisione, quindi del governo.

Carlo Raimondi, il suo allievo più fedele e meritorio, diresse la Scuola fino alla sua morte nel 1883, proseguendo nella realizzazione, con gli altri discepoli, delle lastre mancanti; tuttavia l’opera dei Freschi non verrà mai completata. Quando la Scuola di Incisione fu soppressa nel 1893 dal Governo Italiano, tutte le lastre furono consegnate alla Calcografia Nazionale di Roma, dove sono tuttora custodite.

Il consenso critico di tutta l’impresa fu tuttavia soddisfacente e come ebbe a scrivere Roberto Longhi, probabilmente le opere del Toschi dovettero contribuire in misura considerevole all’interesse per Correggio nella cultura romantica e a far apprezzare quel dolce atteggiare delle figure. 

Nel 1896 Ricci riunì tutti gli acquarelli, considerandoli “vere a proprie miniature”, nella Sala XV della Galleria, mentre le relative stampe furono esposte nella Sala XIV.

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 (Cartella Stampa  www.studioesseci.net)

 

 

 

 

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