Sabato, 10 Agosto 2024 05:55

“L’Agorà del Diritto” – una domanda, una risposta: Corte Costituzionale, “fine vita” e la lunga strada dei diritti civili In evidenza

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Emilio Graziuso Emilio Graziuso

Di Emilio Graziuso 10 agosto 2024 - Nei giorni scorsi la Corte Costituzionale è tornata ad occuparsi di “fine vita” ed ha ribadito, “nella perdurante assenza di una legge che regoli la materia” (Corte Costituzionale n.135/2024), i principi dalla stessa sanciti nella nota pronunzia n.242/2019, per l’accesso all’aiuto a morire, ribadendone i requisiti, tra i quali ricordiamo:

1)la dipendenza del paziente da trattamenti di sostegno vitale;

2)irreversibilità della patologia;

3)presenza di sofferenze fisiche o psicologiche, che il paziente ritiene intollerabili;

4)capacità del paziente di prendere decisioni libere e consapevoli.

La sussistenza nel caso di specie di tutti i requisiti devono essere accertate dal servizio sanitario nazionale attraverso le procedure stabilite nella citata sentenza n.242/2019.

Tornando alla recente pronunzia, la questione di legittimità sottoposta alla Corte Costituzionale riguardava il requisito della dipendenza del paziente da trattamenti di sostegno vitale.

Nell’ambito, infatti, di un procedimento penale contro tre persone che avevano aiutato un paziente ad accedere al suicidio assistito in una struttura svizzera.

Il Giudice delle indagini preliminari (GIP) aveva rilevato che il paziente, affetto da sclerosi multipla in stato avanzato, che lo costringeva in uno stato di quasi immobilità, verteva in una condizione di acuta sofferenza derivante da una patologia irreversibile e che lo stesso aveva formato la propria decisione (di sottoporsi al suicidio assistito) in modo libero e consapevole.

Non sussisteva, però, secondo il GIP il requisito dell’essere tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e, quindi, non ricorrevano tutte le condizioni di non punibilità stabilite dalla Corte Costituzionale nella pronunzia n.242/2019.

Il GIP ha, quindi, richiesto alla Consulta di rimuovere il requisito della dipendenza da trattamenti di sostegno vitale, essendo lo stesso in contrasto con i principi costituzionali di eguaglianza, autodeterminazione terapeutica, dignità della persona ed il rispetto della vita privata stabilito dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.

Le questioni sollevate dal GIP sono state dichiarate non fondate dalla Corte Costituzionale.

Quest’ultima ha, innanzitutto, escluso che il requisito della dipendenza da trattamenti di sostegno vitale determini irragionevoli disparità di trattamento tra pazienti.

Secondo la Consulta con la precedente sentenza n.242/2019 era stato «ritenuto irragionevole precludere l’accesso al suicidio assistito di pazienti che – versando in quelle condizioni, e mantenendo intatte le proprie capacità decisionali – già abbiano il diritto, loro riconosciuto dalla legge n. 219 del 2017 in conformità all’art. 32, secondo comma, Cost., di decidere di porre fine alla propria vita, rifiutando il trattamento necessario ad assicurarne la sopravvivenza. Una simile ratio, all’evidenza, non si estende a pazienti che non dipendano da trattamenti di sostegno vitale, i quali non hanno (o non hanno ancora) la possibilità di lasciarsi morire semplicemente rifiutando le cure. Le due situazioni sono, dunque, differenti» (paragrafo 7.1 Corte Costituzionale 135/2024).

Inoltre, la Corte Costituzionale ha precisato che la nozione di trattamenti di sostegno vitale deve essere interpretata dal servizio sanitario nazionale e dai giudici conformemente al principio sancito nella sentenza n.242/2019 relativo al diritto fondamentale del paziente di rifiutare ogni trattamento sanitario praticato sul proprio corpo, indipendentemente dal suo grado di complessità tecnica e di invasività.

In tale nozione sono, quindi, incluse procedure - quali, ad esempio, l’evacuazione manuale, l’inserimento di cateteri  o l’aspirazione del muco dalle vie bronchiali – normalmente compiute da personale sanitario, ma che possono essere apprese anche da familiari o ‘caregivers’ che assistono il paziente, sempre che la loro interruzione determini prevedibilmente la morte del paziente in un breve lasso di tempo (paragrafo 8 Corte Costituzionale 135/2024). 

Concludendo, la Corte Costituzionale, ha confermato il requisito del trattamento di sostegno vitale per accedere all’aiuto a morire, offrendo, però, un’interpretazione estensiva di detto trattamento.

Si può parlare di un piccolissimo passo avanti rispetto al passato, ma la strada da fare è ancora molta.

 

 

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(*) Autore

avv. Emilio Graziuso -  Avvocato Cassazionista e Dottore di Ricerca.

Svolge la professione forense dal 2002 occupandosi prevalentemente di diritto civile, bancario – finanziario e diritto dei consumatori.

Docente ai corsi di formazione della prestigiosa Casa Editrice Giuridica Giuffrè Francis Lefebvre ed autore per la stessa di numerose pubblicazioni e monografie.

Relatore a convegni e seminari giuridici e curatore della collana "Il diritto dei consumatori" edita dalla Key Editore.

Presidente  Nazionale Associazione "Dalla Parte del Consumatore".

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Sito WEB: www.dallapartedelconsumatore.com 

 

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