Il nostro corpo si è evoluto in un ambiente in cui scarseggiavano cibo ed energia e bisognava lottare duramente per poterne disporre. Entro certi limiti di tempo è in grado di affrontare la scarsità di cibo, ma contro l’obesità non dispone delle necessarie contromisure. Per contrastare l’ipoglicemia dispone di alcuni percorsi metabolici per la produzione endogena di glucosio, ma ha solo deboli difese contro l’iperglicemia molto diffusa nelle nostre società ricche di energia. Il corpo umano si è adattato con difficoltà allo stile di vita occidentale ricco di cibo, di energia, di sedentarietà e di inquinamento. In emergenza ha disposto alcune nuove difese…
Nel corso dell’ultimo secolo il nostro sistema immunitario ha dovuto assumere nuovi e pesanti incarichi. I suoi compiti ‘istituzionali’ sono la difesa contro i patogeni ambientali, i traumi e le ferite accidentali. L’infiammazione acuta è lo strumento di intervento caratterizzato dalla attivazione di cellule immunitarie che proteggono l’ospite con l’eliminazione dei patogeni e provvedono alla riparazione dei tessuti. È un intervento in genere di breve durata. Ma una delle più importanti scoperte della medicina di inizio secolo è che il sistema immunitario e i processi infiammatori si devono occupare anche dei nostri tipici stili di vita: fumo, dieta, sedentarietà, obesità. I pericoli possono arrivare anche dall’interno del nostro stesso corpo.
In questo caso il sistema immunitario mette in atto un intervento infiammatorio più leggero, ma di lunga durata caratterizzato dalla produzione di molecole immunitarie che vengono immesse nel circuito sanguigno delle quali non abbiamo consapevolezza. Siamo in presenza di una infiammazione cronica sistematica e ‘silente’ che compromette le funzionalità dello stesso sistema immunitario incrementando il rischio malattie con l’aggravante che diventa per lungo tempo la poco gradita compagna del nostro corpo. Il fumo induce cambiamenti di lungo periodo nella nostra immunità adattativa e allo stesso tempi compromette le difese contro le aggressioni batteriche del tratto respiratorio che diventa più sensibile alle patologie tipiche di questo organo del corpo.
“Questo stato di infiammazione così prolungato nel tempo ha effetti negativi sul metabolismo del corpo umano” ricorda Gόkhan Hotamisligil della Harvard T.H. Chan School of Public Health. “Da alcuni anni prove cliniche, epidemiologiche e sperimentali hanno dimostrato che c’è un rapporto di causa fra questo modello di infiammazione e alcune malattie non trasmissibili, come le cardiovascolari, i tumori, il diabete di tipo 2, che rappresentano le più significative cause di morte nel mondo contemporaneo con più del 50% del totale dei decessi annuali”. Siamo di fronte ad un paradosso poiché dopo l’invenzione degli antibiotici, l’introduzione di nuovi vaccini, la sanificazione degli ambienti e dell’acqua si era ridotta di molti ordini di grandezza la mortalità in molti paesi sviluppati, purtroppo non per tutti come era desiderabile.
L’infiammazione cronica sistematica è legata agli stili di vita contemporanei. Uno studio clinico realizzato su 210 gemelli di età compresa fra gli otto e i novantadue anni ha dimostrato che l’esposizione a fattori ambientali è la causa prima di questo nuovo modello di risposta del sistema immunitario che inizia fino dai primi anni di vita e si prolunga fino alla tarda età. È uno dei fattori riconosciuti dell’insorgere delle tipiche patologie dell’invecchiamento.
Il dato più eclatante riguarda le malattie cardiovascolari. Nei paesi industrializzati c’è stato un costante declino della mortalità grazie al netto miglioramento dei trattamenti sanitari e un deciso intervento farmacologico con alcuni principi attivi molto performanti introdotti nel mercato negli ultimi vent’anni al netto dei loro effetti secondari. Ma rimangono comunque quasi ovunque la prima causa di morte e di morbilità. È l’infiammazione gioca un ruolo di primo piano.
“Un momento cruciale è stata la dimostrazione che cellule immunitarie come i macrofagi, si accumulano all’interno del tessuto adiposo viscerale e producono una infiammazione localizzata” ricorda Prabhakara Nagareddy ricercatore presso il Dipartimento di Medicina della Columbia University. “Il passo successivo è stata la constatazione che questi macrofagi stimolano la produzione nel midollo osseo di altre molecole immunitarie, in particolare delle citochine – continua Nagareddy- e si crea così un circolo vizioso che si autoalimenta e diffonde l’infiammazione in tutto il corpo che con il tempo tende a diventare sistemica”.
Per la prima volta è stata individuata una inaspettata relazione fra una particolare condizione metabolica del corpo umano come l’obesità, il sistema immunitario e l’infiammazione. “A quel punto era evidente che avevamo sottovalutato la rilevanza clinica del grasso che si accumula nella zona addominale perché è un tessuto che svolge un ruolo attivo nel metabolismo umano” fa notare Matthias Nahrendorf della Harvard Medical School di Boston un top player della ricerca cardiovascolare. È una conclusione che ha aperto nuove strade di ricerca e messo in nuova luce dati epidemiologici noti da tempo che dimostrano come l’infiammazione sia uno stato metabolico ampiamente diffuso. La maggioranza delle popolazioni dei paesi sviluppati ha problemi di eccesso di grassi viscerali in forma grave negli individui obesi e più ridotta per quelli in sovrappeso.
È una condizione che va messa in relazione con gli effetti della dieta occidentale, la quale ha soppiantato negli ultimi anni i modelli alimentari della tradizione. Anette Christ dell’Institute of Innate Immunity dell’University Hospitals Bonn, con uno studio clinico è riuscita a stabilire un rapporto di causa effetto proprio fra questa dieta e l’infiammazione. “Il consumo frequente dei cibi tipici che la compongono, produce aumento di peso, di grassi nella zona viscerale e cambiamenti nel metabolismo dei lipidi e del glucosio di tale entità che stimolano l’intervento del sistema immunitario, il quale attiva le procedure della infiammazione cronica” spiega Christ. Allo stesso tempo è una dieta che tende a sviluppare l’ipercolesterolemia e la iperinsulinemia.
L’eccesso di colesterolo non viene smaltito, ma si deposita sulle pareti vascolari e forma cristalli i quali vengono intercettati dai macrofagi, che li inglobano al loro interno e progressivamente formano una placca aterosclerotica. Sul piano strettamente clinico il rapporto di causa fra ipercolesterolemia, infiammazione e patologie cardiovascolari è ormai un dato consolidato della ricerca contemporanea. “Le prove cliniche di cui attualmente disponiamo, ci portano a concludere in via definitiva che i processi infiammatori attivati dalla immunità, svolgono un ruolo cruciale in tutte le fasi dello sviluppo aterosclerotico” ricorda Alberto Mantovani della Humanitas University di Milano “Sia nella manifestazione dei primi sintomi che nella progressione delle lesioni e in tutte le successive complicazioni fino ai possibili esiti negativi dovuti al definitivo consolidamento delle placche aterosclerotiche”.
In termini di difesa contro l’infiammazione cronica l’attività fisica gioca una parte importante. Uno studio clinico di Bo Shen del Department of Pediatrics, Texas University di Dallas ha dimostrato che movimento del corpo nell’ambiente dà il consenso alla crescita di nuovo tessuto osseo ma allo stesso tempo, questa è la novità, il midollo produce diverse varietà di nuove cellule immunitarie che riducono gli effetti della infiammazione cronica. Un risultato innovativo che completa il quadro dei molti effetti positivi sul metabolismo umano che vengono riconosciuti all’attività fisica. Dal punto di vista evolutivo il corpo umano in qualche modo torna indietro nel tempo quando la corsa e il movimento nell’ambiente era uno dei tanti strumenti indispensabili alla sua sopravvivenza e ne condizionava positivamente il suo metabolismo.
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