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Integratori alimentari In evidenza

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Il loro consumo è in costante crescita ma latitano i risultati positivi sul nostro metabolismo vantati dai produttori.

Di Antonio Marsilio Torino, 22 aprile 2024 -  Il dubbio è l’altra faccia della ricerca scientifica. Sono anni che ispira studi clinici sugli effetti di questi prodotti sulla prevenzione primaria delle malattie cardiovascolari e del cancro che sono le prime cause di morte e di morbilità nei paesi occidentali. Testardamente i risultati sono sempre gli stessi. Non c’è alcun rapporto fra la loro assunzione come integrazione alla dieta con un qualsivoglia miglioramento dello stato di salute di chi li usa.

L’ultimo studio clinico in ordine di tempo è stato realizzato dall’United States Preventive Services Task Force, un gruppo indipendente di esperti in vari settori della medicina clinica supportato da una Agenzia Federale Statunitense. Ha confermato in dettaglio i risultati degli altri studi clinici del passato. Con le eccezioni dovute alla presenza di conclamate patologie e di diete come le vegane che richiedono interventi di integrazione ad hoc preferibilmente gestiti dal medico curante e non con il fai da te.

Eppure, tra Stati Uniti, Europa e Italia sono prodotti che incontrano il favore dei consumatori non solo over 60, ma in tutte le fasce di età oltre i 20 anni. I fatturati di questo settore sono la misura di questo interesse. Cinquanta miliardi di dollari negli States, 15 di euro in Europa e 4 in Italia tutti in crescita da anni e con analoghe previsioni per il futuro.

Una diffusione in cui gioca la sua parte la percezione dei consumatori che gli integratori siano farmaci perché una percentuale del 90% viene venduta nelle farmacie con l’attiva consulenza del farmacista in almeno la metà dei casi. In realtà secondo le normative europee e nazionali sono inclusi nel comparto alimentare come il pane, la carne o il latte e seguono i regolamenti di questo settore che sono di molti ordini di grandezza meno stringenti sul piano del controllo dei prodotti sia a monte che a valle del ciclo produttivo rispetto a quelli del settore farmaceutico.

Tutte le procedure di sicurezza attinenti al prodotto, le dichiarazioni sulle sue caratteristiche merceologiche sono demandate alla responsabilità del produttore che si deve attenere alle poche regole del settore per gran parte improntate alla necessità di garantire la salubrità del prodotto ai consumatori. Al contempo non sono ammesse dichiarazioni sulle sue qualità nutritive. Solo ex-post in caso di problemi nati con il suo consumo, vengono effettuati i controlli di merito. Sono prodotti alimentari a tutti gli effetti e come tali non possono in nessun caso vantare proprietà farmacologiche.

Il farmaco agisce su un sintomo specifico, un eccesso di colesterolo, l’ipertensione, il controllo della glicemia. La certificazione della sua efficacia sul sintomo, i controlli su tutto il ciclo produttivo e delle dichiarazioni sulle modalità del suo utilizzo devono essere certificati dall’EMA, l’Agenzia Europea del Farmaco. Un comparto produttivo rigidamente controllato rispetto a quello degli integratori in cui gli operatori del settore che comprendono i produttori, i pubblicitari e i farmacisti si muovono in un ambiente con vincoli molto elastici, anche se si tratta pur sempre di prodotti che vengono assunti per il miglioramento della propria salute.

In questo complesso di regole con meno vincoli normativi rispetto ai farmaci, c’è un’ancora di salvataggio. Sono prodotti che in gran parte finiscono ad arricchire fiumi, mari e oceani perché gli integratori più venduti, i sali minerali e alcuni tipi di vitamine come la C, sono idrosolubili e vengono rapidamente smaltiti in modo naturale per via fisiologica. Va usata invece una certa attenzione sulle vitamine liposolubili come la A, la E e il betacarotene perchè se assunte con eccessiva frequenza e in quantità che eccedono quelle normalmente consigliate, possono creare problemi perché vengono immagazzinate nei lipidi del corpo umano e tendono ad accumularsi nel tempo.

Da anni la vitamina D da anni rappresenta un caso emblematico per gli enti regolatori e i ricercatori del settore. Negli Stati Uniti è al secondo posto come vendite dopo gli integratori multiminerali e vitaminici. In Italia si è arrivati nel 2022 ad oltre 200 milioni di fatturato, un importo che ha suscitato l’attenzione della Agenzia Italiana del Farmaco la quale, con la Nota 96 ha consigliato ai medici la riduzione delle prescrizioni per questa vitamina sulla base dei risultati dei più recenti studi clinici in materia.

“Sebbene gli integratori a base di vitamina D vengano in genere considerati efficaci per migliorare la salute dell’apparato muscolo scheletrico umano, ci sono dei dati conclusivi che indicano come questi presunti benefici sono in realtà inesistenti. Inoltre, nessun risultato clinico in nostro possesso indica che svolgano una efficace azione nella prevenzione primaria dell’osteoporosi” commenta così i risultati di uno studio clinico Heike Bischoff-Ferrari del Department of Geriatrics and Aging Research, University of Zurich, Switzerland. In sintesi, la salute delle nostre ossa è una questione troppo complessa per essere affidata alle cure di una singola vitamina.

In conclusione “L’uso di complessi multivitaminici sul lungo periodo non è associato con la riduzione della mortalità per ictus in uno studio che ha coinvolto per vent’anni più di ottantamila donne” dice Jeffrey Blumberg della Friedman School of Nutrition Science, Tuft University, Boston “Allo stesso modo una rassegna sistematica di studi sugli effetti degli integratori, non ha riscontrato nessuna riduzione del rischio di malattie cardiovascolari o di cancro. L’aspetto più rilevante di questi studi è che i benefici associati agli integratori alimentari sono associati esclusivamente alla loro assunzione con i cibi della dieta quotidiana”.

Anche gli integratori per il microbiota, i probiotici, hanno effetti limitati anche se enfatizzati dai produttori sui media. Nell’indagine di mercato dell’associazione Integratori & Salute il primo posto delle vendite nel 2022 è occupato dai probiotici che con l’apporto nuovi ceppi di batteri, dovrebbero supportare il nostro microbiota. Sono in genere confezioni che ne contengono dieci miliardi di particolari ceppi ritenuti salutari. È la letterale goccia nel mare perché il numero dei batteri del microbiota è stato valutato nell’ordine di 1014, diecimila volte più numeroso di quelli contenuti nell’integratore. Difficile che con questi rapporti numerici il probiotico possa apportare dei cambiamenti significativi. Con l’aggravante che lo stomaco è un ambiente con un pH di circa 1,5 che elimina i batteri in transito provenienti prevalentemente dal cibo compresi quelli dei probiotici a meno che non siano stati incapsulati con materiali resistenti all’acidità.

L’EFSA, l’ente regolatore che si occupa di cibo e della sua sicurezza, lo stesso Ministero della Salute sono comprensibilmente sollecitati dalle richieste di molti produttori di probiotici alcuni sono multinazionali, di potere dichiarare in pubblicità e sulle confezioni effetti significativi dei loro prodotti sullo stato di salute del microbiota. Richieste rimaste finora inevase perché allo stato dell’arte non c’è alcun studio clinico che abbia dimostrato questi benefici. Sulle confezioni si può apporre solo la semplice dichiarazione: favorisce l’equilibrio della flora intestinale.  

Come l’apparato scheletrico umano, il microbiota è un organo complesso il cui stato di salute va curato a salvaguardia delle sue molte funzioni, tra le quali spicca la digestione dei carboidrati complessi attraverso le migliaia di enzimi prodotti dai batteri che lo compongono. Digestione che allo stesso tempo fornisce loro l’alimentazione quotidiana la quale deve contenere almeno 35/40 grammi di fibre alimentari, valore al di sotto del quale il microbiota perde molte delle sue funzionalità. Condizione comune questa nelle società industrializzate alla quale i probiotici non possono sopperire poiché è il risultato del modello alimentare e dello stile di vita dominante, che va molto al di là delle loro possibilità di intervento.

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