Le liste d’attesa, da sempre «tallone di Achille» del Servizio Sanitario Nazionale in tempi ordinari, durante l’emergenza hanno rappresentato la principale criticità per i cittadini, anche per questo a rinunciare alle cure della sanità pubblica, sembra sia stato più di un cittadino su dieci.
Durante la pandemia abbiamo fatto i conti con un'assistenza sanitaria che, depauperata di risorse umane ed economiche, si è dovuta concentrare sull’emergenza, costringendo nel contempo le persone a rinunciare a programmi di prevenzione e di accesso alle cure ordinarie, oggi i cittadini devono essere messi nella condizione di tornare a curarsi, visto che hanno rinunciato a visite ed esami per problemi economici o legati alle difficoltà di accesso al servizio.
Sarebbe opportuno coinvolgere maggiormente i medici di famiglia nel sistema sanitario, creando studi associati con più dottori disponibili 24 ore su 24 per non intasare reparti e pronto soccorso, quindi recuperare il “deficit di cure” causato dalla pandemia da COVID-19, varando così un piano straordinario per aumentare la capacità produttiva di prestazioni di specialistica ambulatoriale, visite di controllo e interventi.
L'obiettivo dovrà essere anche quello di ridurre il periodo di attesa per tali prestazioni, stabilendo in caso contrario, che il paziente si possa recare in una struttura privata convenzionata in tempi accettabili e senza costi aggiuntivi. Si eviterebbe anche, come a volte accade, che una visita specialistica in convenzione viene data dopo molto tempo, invece a pagamento e magari con lo stesso specialista, il giorno dopo, creando così anche polemiche sullo stesso sistema.
Rino Basili
Parma 08 settembre 2022