A distanza di quasi due mesi dal furto al bancomat dell'ufficio postale di Colorno, Poste Italiane non si è ancora mobilitata per la sua riapertura. Un problema comune che si sta verificando anche nel comune di Busseto e di Sorbolo.
I Carabinieri del Nucleo Investigativo di Parma, coordinati dalla locale Procura della Repubblica (P.M. dott. Andrea Bianchi), hanno eseguito a Saronno (VA), Vittuone (MI), Limbiate (MB) e Chianciano (SI) un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari parmense a carico di: Magamadov Shamil, russo, classe 1995, Di Marco Maurizio, classe 1973, Ciccone Marco, classe 1995, Saad Soufiane, marocchino, classe 1992, Di Fazio Antonio, classe 1973, Bonomolo Denise, classe 1994, e Bellavista Marianna, classe 1981, tutti residenti in provincia di Varese.
Nel dettaglio il G.I.P. ha disposto il carcere per i primi 5 e gli arresti domiciliari per le ultime due indagate.
Rapina aggravata in concorso, porto illegale di un’arma da fuoco e ricettazione i reati contestati, con la recidiva specifica e reiterata per Di Marco e quella infraquinquennale per Magamadov. Quest’ultimo, unitamente a Ciccone Marco, è indagato anche per il reato di furto aggravato commesso su cose destinate a pubblico servizio.
Le indagini si riferiscono ad un episodio occorso il 3 dicembre 2018, allorquando veniva consumata una rapina all’Ufficio postale di Ponte Taro (PR).
Quella mattina la direttrice, alle 07.50 circa, mentre – come di consueto – si accingeva ad aprire la filiale veniva sorpresa alle spalle, cinta per il collo e costretta a consentire l’ingresso a tre individui con il volto travisato con un passamontagna. La dirigente veniva quindi minacciata con una pistola perché aprisse la cassaforte ed avvertita di fare “la brava” poiché un quarto complice ne controllava il figlio, lasciando intendere che quest’ultimo avrebbe potuto subire conseguenze in caso di “incidenti di percorso”.
Poiché durante le operazioni di apertura la vittima, costretta a stare in ginocchio con la pistola puntata alla testa, aveva sbagliato nella digitazione del codice di sblocco, uno dei malviventi le stringeva la sciarpa intorno al collo minacciandola di morte in caso di un ulteriore errore e per rendere l’intimidazione più convincente sfilava il caricatore dalla pistola mostrandole i proiettili sì che comprendesse non trattarsi di un’arma giocattolo.
Apertasi la cassaforte, i malviventi ne svuotavano il contenuto, pari a 30 mila euro e si allontanavano portando con sè anche il telefono cellulare della direttrice, il contenuto del suo portafogli e la sua borsa frigo in cui riponevano il bottino; all’uscita incrociavano alcuni agenti di un istituto di vigilanza, uno dei quali tentava di inseguirli. I tre rapinatori riuscivano comunque a dileguarsi fuggendo in diverse direzioni nelle vie e nei campi limitrofi, non prima di aver verosimilmente tentato di sparare all’indirizzo dei vigilanti (come è apparso dal prosieguo delle indagini).
Le ricerche, subito attivate, consentivano di rinvenire abbandonata dai rapinatori lungo la via di fuga, una pistola marca Zastava, completa di caricatore. In un casolare di campagna nei pressi della A15, venivano recuperati alcuni capi di abbigliamento riconducibili – come dimostrato dai successivi approfondimenti investigativi - ai rapinatori e parte della refurtiva, pari a 3.400 euro circa, all’interno della borsa sottratta alla direttrice.
Il giorno successivo, il 4 dicembre, i responsabili della società autostrade A15 – Cisa denunciavano il furto di vestiario ad alta visibilità avvenuto presso il magazzino sito in prossimità del casello di Parma Ovest nella mattina del giorno precedente.
La visione delle immagini del sistema di video sorveglianza consentiva di appurare che intorno alle 09.20 del 3 dicembre (e dunque poco dopo la consumazione della rapina di cui si discute) due persone avevano asportato il materiale in argomento; si erano quindi recati in un negozio di abbigliamento all’interno di un centro commerciale ove avevano acquistato nuovi vestiti per cambiarsi ed allontanarsi definitivamente.
Pochi giorni dopo, il 6 dicembre, nel corso di ulteriori sopralluoghi, i Carabinieri rinvenivano in località Fraore di Parma, in un’area pubblica, la Fiat Panda, risultata rubata a Lainate (MI) il 16 ottobre 2018 ed utilizzata verosimilmente dai rapinatori per raggiungere Ponte Taro. I sistemi di videosorveglianza urbani (OCR) registravano plurimi transiti del veicolo nelle giornate dell’1 e del 3 dicembre, quest’ultimi avvenuti poco prima della consumazione della rapina e subito dopo.
Il puzzle investigativo quindi andava progressivamente componendosi.
Una tessera rilevante era costituita dalla identificazione certa, operata dai Carabinieri del R.I.S. di Parma, dell’indagato Magamadov Shamil: da un jeans abbandonato nel casolare di campagna - ove era stata rinvenuta anche parte delle refurtiva - venivano estrapolate tracce biologiche riconducili al predetto Magamadov il cui profilo era presente in banca dati in quanto già responsabile, nel 2011, da minorenne, di una rapina a mano armata (reato per il quale, al momento del delitto di Ponte Taro, il predetto era sottoposto alla misura alternativa alla detenzione in carcere dell’affidamento ai servizi sociali).
Anche dagli altri capi di abbigliamento rinvenuti nel casolare (un pantalone di una tuta ed una maglietta), il R.I.S. estrapolava tracce biologiche appartenenti però ad un profilo in quel momento ignoto e che le successive indagini dei militari del Nucleo Investigativo avrebbero poi ricondotto a Ciccone Marco.
Il quadro indiziario a carico dell’indagato di origine russa veniva ulteriormente rafforzato dall’esame dei frame – estrapolati dalla videosorveglianza - che ritraevano gli autori del furto di vestiario ad alta visibilità presso il magazzino della società autostrade CISA: il confronto fotografico consentiva di concludere per la corrispondenza antropometrica tra uno degli autori del furto aggravato in concorso e Magamadov.
Gli accertamenti del RIS sulla pistola abbandonata dai rapinatori consentivano inoltre di:
- appurare l’efficienza dell’arma ed accertare che un rapinatore aveva anche tentato di utilizzarla sparando, verosimilmente, contro l’agente dell’istituto di vigilanza, ma si era inceppata;
- estrarre dalla tamponatura della stessa pistola un profilo genotipico che i successivi approfondimenti condotti dai Carabinieri del Nucleo Investigativo -mediante attività tecniche di intercettazione, pedinamenti, analisi dei dati di traffico telefonico- hanno consentito di ricondurre all’indagato Di Marco Maurizio.
Incidentalmente va detto che, durante le operazioni di notifica dell’ordinanza, a Di Marco sono stati sequestrati 214 grammi di cocaina e 154 grammi di marijuana, circostanza che gli è valsa anche l’arresto in flagranza di reato ex art. 73 DPR 309/90, vicenda per la quale si procede separatamente.
Dell’indagato Ciccone, i militari del Nucleo Investigativo avevano solo un frame che lo ritraeva presso il magazzino della società autostrade Cisa ed il vicino centro commerciale ed un profilo genotipico appartenente a soggetto non censito: occorreva attribuirgli un’identità.
Le attività tecniche sviluppate dai Carabinieri hanno consentito di ricostruire la rete dei contatti degli indagati: in particolare, sono stati identificati alcuni soggetti che, estranei al fatto criminale, avevano però con essi rapporti di conoscenza, dalla cui analisi si poteva giungere alla identificazione del Ciccone quale altro probabile autore del reato. L’esame successivo del DNA consentiva di acquisire ulteriori elementi indiziari tali da consentire anche per lui l’adozione della misura cautelare.
L’attività tecnica avviata dopo la cattura del Ciccone ed i riscontri ottenuti tramite l’esame dei transiti registrati dai varchi OCR della provincia consentivano di dare un nome agli altri complici nel reato.
In particolare venivano identificati Saad Soufiane, Di Fazio Antonio, Bonomolo Denise Bellavista Marianna: le due donne ed il marocchino Saad (già gravato da un provvedimento di espulsione) erano incaricati del supporto logistico con il compito di condurre le tre autovetture (due 500, intestate rispettivamente a Bellavista Marianna e Bonomolo Denise ed una Clio in uso a Saad Soufiane) “pulite” con cui il gruppo aveva raggiunto Parma e successivamente, dopo il colpo, di recuperare gli esecutori materiali della rapina; Di Fazio invece, rimasto all’esterno dell’Ufficio Postale, avente funzioni di “palo”.
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L’operazione odierna, portata brillantemente a conclusione, costituisce la dimostrazione di come, al di là degli arresti in flagranza di reato (di sovente legati a fortuite circostanze, quali la presenza sul posto o l’immediato intervento delle forze di polizia, non sempre possibile in casi siffatti), la pazienza certosina del lavoro investigativo consente di conseguire risultati migliori e comunque più completi.
Infatti, mai come nel caso di cui ci si occupa, la gravità indiziaria è stata raggiunta non solo nei confronti di coloro che hanno preso parte alla materiale perpetrazione della rapina (ovvero di quei soggetti che, in ipotesi, si sarebbe potuto arrestare in flagranza), ma anche di tutta una serie di persone che hanno fornito un contributo rilevante al buon esito della rapina stessa e che pertanto sono considerati a pieno titolo corresponsabili (almeno nella presente fase delle indagini preliminari) della rapina stessa: ci si riferisce al palo (che ha il ruolo fondamentale di sorveglianza del territorio in attesa che la rapina venga materialmente consumata), a chi accompagna i rapinatori sul luogo del delitto, chi effettua il recupero dei rapinatori nel luogo individuato per abbandonarvi il materiale pericoloso (auto rubata, capi di abbigliamento usati al momento della rapina, pistola).
Tali soggetti -il cui ruolo non sarebbe emerso se si fosse riusciti ad intervenire nell’immediatezza- rivestono un ruolo strategico nella perpetrazione della rapina e danno conto della meticolosità con la quale il colpo è stato preparato, senza lasciare nulla alla improvvisazione.
Si tratta di una tecnica che -per il grado di professionalità messo in campo- ricorda molto da vicino alcuni delitti perpetrati in zone del meridione, ove solo mediante la rigida distribuzione di ruoli, è possibile portare a compimento certi reati, senza lasciare nulla alla improvvisazione.
E tutto ciò non fa che esaltare ancora di più la sagacia investigativa messa in campo dagli organi investigativi (Procura e Polizia giudiziaria).