Come previsto dall'art. 1, le suddette misure si applicano per un periodo di tempo pari a quindici giorni.
Il provvedimento ministeriale in oggetto è un atto avente natura amministrativa il quale potrebbe essere impugnato, in ipotesi di lesione di un interesse legittimo o di un diritto soggettivo, rispettivamente davanti al T.A.R. per il Lazio (o, in alternativa, al Capo dello Stato a seguito di ricorso straordinario) e davanti al giudice ordinario.
Ora la Corte costituzionale, nella sentenza n. 18/1992, dopo aver collocato il diritto di difesa, di cui all'art. 24 della Costituzione vigente, tra "i principi supremi dell'ordinamento costituzionale", ha lasciato intendere come una disposizione normativa volta a eludere la possibilità di agire in giudizio non sarebbe esente da censure di illegittimità costituzionale.
L'ordinanza del Ministro della Salute, pur trovando la sua base legale nell'art. 1, comma 16 bis, del decreto-legge n. 33/2020 (convertito, con modificazioni, nella legge n. 77/2020), presenta un termine di efficacia troppo breve che renderebbe arduo addirittura avanzare una richiesta di sospensiva cautelare qualora si intendesse ricorrere al giudice amministrativo.
Pertanto, sebbene la normativa non incida sul termine perentorio per impugnare l'ordinanza, l'applicazione delle misure di contenimento per due settimane rende non azionabile tanto l'art. 24, quanto l'art. 113 del Testo fondamentale che consente la tutela giurisdizionale contro gli atti della pubblica amministrazione.
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Autori Vari (*):
Prof. Avv. Augusto Sinagra (Universià "La Sapienza" di Roma)
Prof. Daniele Trabucco (Libera Accademia degli Studi di Bellinzona (Svizzera)/INDEF)
Cav. Dott. Matteo Pio Impagnatiello (Unidolomiti)
Dott. ssa Camilla della Giustina (Universià degli Studi di Padova e Libera Accademia Indef)