Tra pochi mesi operativo il nuovo codice: migliaia di euro di costi in più per almeno tremila società di capitali modenesi
Modena, 3 dicembre 2019. Dopo anni di gestazione – una quindicina – il nuovo Codice della crisi, approvato all'inizio di quest'anno, diventerà operativo nell’estate del 2020. Si tratta di un meccanismo di allerta basato su indicatori nazionali, diversi a seconda dei settori, a partire dal patrimonio netto negativo. Un sistema che rischia di sostituirsi meccanicamente alla responsabilità dei sindaci e revisori, imponendo una procedura automatica di valutazione del rischio per la gestione della crisi aziendale, svincolata da ogni tipo di analisi individuale. Ciò significherà, per le imprese, affrontare i costi necessari per dotarsi di sistemi di gestione e controllo del rischio e sottostare ad ulteriori obblighi organizzativi finalizzati a rilevare tempestivamente i segnali di crisi.
Stiamo parlando di costi di rilevanti, nell’ordine di migliaia di euro. “In alcuni casi anche più di diecimila”, sottolinea Fabio Casalin, Area manager di CNA Consulenza, la divisione dell’Associazione che sta seguendo l’entrata in vigore di questo adempimento.
Ma quali sono queste imprese? “Le società di capitali che per due anni consecutivi abbiano registrato uno di questi tre parametri:
1) un fatturato superiore ai 4 milioni di euro;
2) un attivo patrimoniale inferiore ai 4 milioni di euro;
3) più di 20 dipendenti. Considerato che nel nostro territorio le società di capitali sono poco meno di 18.000, stimiamo che siano almeno 3.000 quelle che rientrano nella casistica”.
CNA non ha mancato di manifestare critiche nei confronti di questo adempimento. “Innanzitutto, per la tempistica con cui viene adottato: “In un momento di congiuntura negativa come quella attuale, imporre costi di questa portata, specie alle PMI che già non sono attrezzate in tal senso, non migliora la produttività, e anzi rischia di peggiorarne la situazione reddituale ed economica. In altre parole, il rischio è quello di contribuire a innescare quella malattia che la medicina preventiva vorrebbe evitare”.
“Poi – continua Casalin – perché, se i costi sono certi, non si può dire altrettanto per i benefici, che dipenderanno da come i professionisti interpreteranno, in maniera più o meno formalistica, il loro ruolo rispetto ai risultati di un sistema presuntivo automatico. Difatti, i revisori potranno discostarsi dai risultati predittivi, ma dovranno darne motivazione assumendosene la responsabilità. E c’è il rischio che decidano di lavarsene le mani, accettandoli passivamente”.
“In tutti i casi, non è che un’impresa sull’orlo del fallimento stia meglio, se si sentirà dire che è solo in procinto di una liquidazione giudiziale. Non è che il cambio della terminologia utilizzata cambi la natura delle cose. Piuttosto, serve che questa novità sia accompagnata dall’adozione di modelli di gestioni che non si limitino ad evidenziare il problema, ma che individuino in partenza gli eventuali correttivi. Ed è quello che cercheremo di fare in CNA: non solo limitare al massimo il costo (ben meno di quelli di mercato) del nuovo adempimento, ma trasformalo in un’opportunità, in un investimento per migliorare la gestione aziendale”.
Crisi dei venditori (Magrì Arreda, MercatoneUno, ecc.). Le finanziarie annullano i finanziamenti e rimborsano le rate ai consumatori cui non sono stati forniti i beni prenotati. Soddisfazione dello “Sportello dei Diritti” per i cittadini che si sono rivolti all’associazione e hanno ottenuto la risoluzione del contratto di credito
La crisi di alcune catene della grande distribuzione e tra queste molte dell’arredamento, ha gettato nello sconforto migliaia di consumatori in tutt’Italia, che dopo aver prenotato i beni e aver sottoscritto onerosi e a volte lunghissimi contratto di finanziamento anche per migliaia di euro, si sono ritrovati non solo con un pugno di mosche in mano per non aver ricevuto nulla o quasi di quanto preventivato, ma anche con il peso delle rate da dover rimborsare.
Forse però non tutti sanno che il Testo Unico Bancario prevede testualmente all’articolo 125 quinquies che in caso d’inadempimento del fornitore, il consumatore ha diritto alla risoluzione del contratto di credito. Peraltro, a seguito della risoluzione del contratto di credito non solo vi è l’obbligo del finanziatore di rimborsare le rate già pagate, nonché ogni altro onere eventualmente applicato, ma anche e soprattutto il diritto di non dover rimborsare al finanziatore l’importo che sia stato già versato al fornitore dei beni o dei servizi.In virtù di tale importante riferimento giuridico, alcuni cittadini che si sono rivolti allo “Sportello dei Diritti” per cercare di ottenere il maltolto a seguito delle crisi di alcuni noti mobilifici, tra cui Magrì Arreda S.r.l., nei giorni scorsi si sono visti annullare i contratti di finanziamento e rimborsate le rate già versate agli istituti di credito.
Non possiamo, quindi, non esprimere la nostra soddisfazione per quanto fatto per i cittadini, rileva Giovanni D’Agata presidente dello “Sportello dei Diritti” perché in tempi di crisi come questa ottenere pressochè immediatamente ed in via stragiudiziale la risoluzione di contratti di finanziamento per beni che non verranno mai forniti può rappresentare una vera e salutare boccata d’ossigeno per le famiglie schiacciate dalla recessione permanente che attanaglia il Paese.
(3 agosto 2019)
Fallimento "Mercatone Uno": le novità sulla società maltese e il timore di riciclaggio delle banche italiane. Nuovi dati recuperati a Malta fanno emergere una traccia della società Star Alliance Limited, compagnia maltese che controlla al 100% la società milanese Shernon Holding Srl, protagonista del fallimento di Mercatone Uno.
Nei giorni scorsi tutti i media hanno riportato l'eclatante notizia del fallimento di "Mercatone Uno" lo storico marchio della grande distribuzione non alimentare, nato ad Imola alla fine degli anni Settanta. Come si è potuto apprendere a seguito del tam tam mediatico a partire dal mese di agosto del 2018, il marchio e la stragrande maggioranza dei punti vendita erano finiti sotto controllo della Shernon Holding Srl, società milanese a sua volta controllata al 100% dalla maltese Star Alliace Ltd.
Proprio alla luce di quanto accaduto, anche a Malta un team di giornalisti ha cercato di appurare di cosa si occupa questa azienda registrata nell'isola al centro del Mediterraneo.
L'Associazione Fornitori Mercatone Uno A.S., nata a Bassano del Grappa (Vicenza) per tutelare le imprese vittime di insolvenze avrebbe, quindi, fornito l'indirizzo presso cui avrebbe sede legale la Star Alliance Limited. Ma oggi nuovi dati recuperati a Malta fanno emergere una traccia della società Star Alliance Limited, compagnia maltese che controlla al 100% la società milanese Shernon Holding Srl, protagonista del fallimento di Mercatone Uno. Dopo la sede "fantasma" di Gzira recuperata da fonti italiane (non aggiornate) e non rinvenuta fisicamente, un ulteriore approfondimento tramite l'archivio del Registro Imprese Maltese ha portato alla luce un altro indirizzo: la nuova sede di Star Alliance Limited è a Ta' Xbiex, presso il Blue Harour Business Centre Level 1 – Yacht Marina, dove è situato un noto complesso di uffici aziendali.
Il trasferimento sarebbe avvenuto all'inizio di quest'anno, tra gennaio e marzo.Un'altra informazione rilevante riguarda la storia di questa compagnia: non è stata creata appositamente per l'operazione di acquisizione della catena di supermercati dopo il suo primo fallimento, in quanto risulta essere stata registrata il 5 dicembre 2002. Vale a dire circa sedici anni fa. Anche se non si conosce la natura della sua attività, passata e presente. Spulciando il ridotto organico, la figura chiave dell'azienda resta l'italiano Valdero Rigoni, in qualità di direttore, rappresentante legale e proprietario insieme al socio svizzero Michael Charles Thalmann. Risulta inoltre che tra febbraio e aprile 2019 il controllo di Shernon Holding sia passato dalle mani di Star Alliance Limited a quelle dell'azienda Maiora Invest, di proprietà sempre del duo Rigoni-Thalmann, con sede a Padova nella residenza di quest'ultimo. Malta sarebbe quindi uscita di scena con la cessione di 100% del capitale sociale pari a un milione di euro, nonostante Star Alliance sia ancora in vita, anche se inattiva.Il trasferimento da Malta all'Italia, secondo una ricostruzione del Corriere del Veneto pubblicata lo scorso 29 maggio, è motivato in una lettera di Nicola Muner, avvocato di Rigoni, indirizzata a uno degli amministratori straordinari. In questa missiva Muner spiega che le banche italiane non aprirebbero i rubinetti del credito a Shernon Holding a causa di perplessità (o forse anche pregiudizi) nei confronti di una società di diritto maltese, in riferimento a quello che viene definito l'«ormai quasi insormontabile scoglio rappresentato dalla normativa antiriciclaggio così come interpretata dagli istituti bancari italiani».Ora la questione resta quasi tutta italiana, con gli occhi puntati in particolare sulle responsabilità del ministero dello Sviluppo Economico: da qui, a cavallo tra la guida dell'ex ministro Carlo Calenda e dell'attuale Luigi Di Maio, sono state gestite le operazioni di cessione (con clausole di salvaguardia) della Mercatone Uno a Shernon Holding, e sempre da qui sarebbero dovuti arrivare i necessari controlli sull'operato dei nuovi acquirenti in relazione al piano di rilancio annunciato.
Ad oggi l'unico drammatico risultato, rileva Giovanni D'Agata, presidente dello "Sportello dei Diritti" sono i 90 milioni di euro di debiti accumulati da Mercatone Uno nell'ultimo anno, 67 dei quali verso fornitori, e 1.800 dipendenti rimasti da un giorno all'altro senza lavoro, e senza preavviso. Le accuse tra i due titolari del dicastero sono reciproche, come vuole la prassi, ma gli approfondimenti sul loro operato nelle varie puntate di questa vicenda, si spera, faranno chiarezza.
(12 giugno 2019)
La società che meno di un anno fa aveva acquisito i 55 punti vendita del marchio imolese, ha dichiarato fallimento
Shernon Holding, la società che gestiva punti vendita di Mercatone Uno, è stata dichiarata fallita. I lavoratori di Mercatone Uno, storico marchio imolese dell'arredamento che accompagnò i trionfi ciclistici di Marco Pantani, sono venuti a conoscenza del fallimento via Facebook nella notte: «Non c'è stata nessuna comunicazione ufficiale da parte dell'azienda», ha spiegato Luca Chierici, segretario del sindacato Filcams di Reggio Emilia.
Shernon Holding aveva acquisito i 55 punti vendita meno di un anno fa. Davanti a numerosi negozi chiusi sono in corso presidi e sit-in dei lavoratori. 1'860 dipendenti, quasi 10'000 persone toccate. Sono più di 500 le aziende fornitrici coinvolte dalla vicenda della Mercatone Uno, che vantano crediti non riscossi per circa 250 milioni di euro.
I fornitori, ha dichiarato William Beozzo, direttore dell'Associazione Fornitori Mercatone Uno, «hanno sempre manifestato a tutti gli organi competenti le proprie perplessità sull'operazione con Shernon Holding. Sono stati persi altri 8 mesi e ulteriori risorse finanziarie. Ricordiamo che in gioco non ci sono solo i 1.860 dipendenti del Gruppo, a cui mandiamo tutta la nostra solidarietà, ma anche tutti i dipendenti delle nostre aziende, un indotto che coinvolge in Italia quasi 10.000 persone».
Per Giovanni D'Agata, presidente dello "Sportello dei Diritti" si tratta di una drammatica notizia che attesta ancora una volta la crisi dell'economia italiana che coinvolge marchi divenuti storici e soprattutto migliaia di di famiglie che all'improvviso si vedono nel baratro causato dalla perdita del posto di lavoro. E' chiaro che in questi casi al di là delle previsioni che riguardano una ripresa che stenta a vedersi, imprescindibile dovrà essere l'annunciato impegno del governo e del Ministro dello Sviluppo economico per salvaguardare almeno il diritto al lavoro degli sfortunati dipendenti.
(25 maggio 2019)
Di Mario Vacca Parma 18 settembre 2018 - L'ordinanza n° 10793 del 4 maggio 2018 emessa dalla Corte di Cassazione ci ricorda che la vigente legge fallimentare, all'articolo 10, prevede che il fallimento possa essere dichiarato entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese a patto che l'insolvenza sia stata posta in essere prima della cancellazione o entro l'anno successivo e pertanto anche il trasferimento della sede all'estero non preclude la possibilità che una società possa essere dichiarata fallita.
Una società che delibera il trasferimento della propria sede all'estero viene cancellata dal registro delle imprese italiano e a tal riguardo si pone il problema dell'applicabilità della legge fallimentare ed in particolare dell'art.10.
L'ordinanza esplicita che l'operatività dell'art. 10 legge fall. è circoscritta al caso di cancellazione per cessazione dell'attività e non può trovare applicazione analogica al caso di cancellazione per trasferimento all'estero della sede sociale, indipendentemente dai motivi del trasferimento.
Nell'eventualità che la cancellazione di una società dal registro delle imprese italiano non avvenga al termine del procedimento di liquidazione dell'ente, o per il verificarsi di altra situazione che implichi la cessazione dell'esercizio dell'impresa e la contestuale cancellazione, ma sia la conseguenza del trasferimento all'estero della sede della società non trova applicazione l'art. 10 legge fall. Il trasferimento, non determina il venir meno della continuità giuridica della società trasferita e non ne comporta, quindi, in alcun modo, la cessazione dell'attività.
Ci si sofferma anche sul trasferimento della sede legale e non dell'attività vera e propria, infatti in questo caso non si è in presenza neanche di un difetto di giurisdizione poiché l'esercizio dell'attività imprenditoriale continua ad essere svolto nel territorio dello Stato e tale prosecuzione implica una continuità giuridica e pertanto, nell'ipotesi che ricorrano i presupposti oggettivo e soggettivo disciplinati dalla legge fallimentare, può essere sottoposta a procedura fallimentare.
Crisi aziendali. Il presidente Bonaccini e l'assessore Costi incontrano sindacati e lavoratori della della Martini Luce di Concordia: "Siamo e saremo al vostro fianco. Il nostro impegno per non interrompere la produzione, attivare gli ammortizzatori sociali e salvaguardare azienda e occupazione"
Già avviato il dialogo con il curatore fallimentare. Sorpresa per la manca cessione alle Coemar Lighting: "Marchio nazionale, valutiamo anche se portare la vertenza al tavolo del nuovo Governo non appena insediato"
Bologna – Avviare subito la ricerca di un acquirente industriale, insieme al curatore fallimentare; evitare che la Martini venga spezzettata e venduta a blocchi; utilizzare gli ammortizzatori sociali in favore dei lavoratori che al momento sono sospesi dal lavoro a causa della dichiarazione di fallimento. Evitare che l'azienda si fermi e fare tutto il necessario affinché resti a Concordia, sul territorio.
Sono questi i temi più rilevanti al centro dell'incontro di questa mattina a Mirandola (Mo) tra il presidente della Regione, Stefano Bonaccini, l'assessore regionale alle Attività produttive, Palma Costi, il sindaco di Concordia, Luca Prandini, i sindacati e i rappresentanti delle Rsu aziendale di Fiom e Fim con i lavoratori della Martini Luce di Concordia (Mo), la nota azienda di illuminotecnica il cui fallimento è stato decretato dal Tribunale di Modena nei giorni scorsi, come atto conseguente alla sorprendente notizia della non avvenuta formalizzazione della cessione di ramo d'azienda alla Coemar Lighting di Castiglione delle Stiviere.
Il presidente Bonaccini e l'assessore Costi hanno rimarcato "sorpresa per il mancato accordo, che era ad un passo. Ora occorre evitare il blocco della produzione ed affrontare subito con il curatore fallimentare il tema della attivazione degli ammortizzatori sociali in favore dei lavoratori, obiettivo che si può perseguire se si avvia un esercizio provvisorio delle attività aziendali, salvaguardando la produzione".
"Il nostro impegno- ha sottolineato il presidente- è far sì che la produzione della Martini rimanga a Concordia e siamo pronti da subito, utilizzando tutte le opportunità disponibili, a sostenere chi subentra o dovesse subentrare nella gestione dell'azienda". "Tra l'altro- ha concluso Bonaccini- i numeri della ricostruzione post sisma dicono che l'area del cratere cresce più di prima. E tutto questo facendo le cose insieme - istituzioni e cittadini -, firmando sempre accordi con i sindacati e le parti sociali. Ma ora la nostra attenzione va a chi rischia di perdere il lavoro, che è dignità e loro per primi non meritano di perderla: essendo un marchio nazionale, porteremo la vicenda della Martini Luce ad un tavolo con il nuovo governo, perché siamo al lavoro per trovare uno sbocco positivo per i lavoratori e per l'azienda stessa".
Installazione Martini al Castello Sforzesco
Deciso rallentamento, nel primo semestre del 2017, per i fallimenti delle imprese reggiane, con una netta inversione di tendenza rispetto al trend del 2016. Sono infatti scese a 47 le procedure fallimentari aperte in provincia di Reggio Emilia nel periodo gennaio-giugno di quest'anno, il 39% in meno rispetto allo stesso periodo dell'anno passato, quando se ne contavano 77.
Osservando la distribuzione delle procedure per settore di attività economica - come sottolinea l'analisi effettuata dall'Ufficio Studi della Camera di Commercio su dati del Tribunale di Reggio Emilia - quello che contribuisce maggiormente in termini assoluti è l'industria manifatturiera, con 13 fallimenti aperti in sei mesi (il 27,7% del totale), di cui 5 nella metalmeccanica e 3 nel ceramico, che risultano i comparti più colpiti.
Seguono poi le costruzioni con 12 procedure (25,5% sul totale) e il commercio e pubblici esercizi con 9 fallimenti (19,1% l'incidenza sul dato complessivo).
Se si confrontano i dati settoriali di quest'anno con quelli del primo semestre del 2016, è evidente la decelerazione registrata nelle aperture delle procedure fallimentari. Le aziende manifatturiere fallite nel periodo gennaio-giugno del 2017 sono meno della metà di quelle dello stesso periodo del 2016, quando furono 28.
Lo stesso andamento riguarda le imprese di costruzioni (27 nel 2016 rispetto alle 12 di quest'anno). In flessione anche i fallimenti delle attività di commercio e pubblici esercizi, calati del 36% (da 14 a 9 imprese).
A peggiorare la performance rispetto ai primi sei mesi del 2016 sono state, invece, le aziende del settore immobiliare, per le quali le procedure fallimentari aperte sono passate da 3 a 6.
I fallimenti relativi ai servizi alle persone sono stati complessivamente 4 (come nel primo semestre 2016) e hanno riguardato attività sia ricreative e di divertimento che di supporto alle rappresentazioni artistiche. Per quanto concerne i servizi di supporto alle imprese, i 2 fallimenti aperti nel corso del primo semestre 2017 hanno riguardato attività di informatica e di logistica. Nel settore agricolo si registra un unico fallimento.
La flessione delle procedure fallimentari aperte in provincia di Reggio Emilia nei primi sei mesi del 2017 sembra dunque confermare, indirettamente, quel miglioramento della situazione economica provinciale che già si è evidenziato con un aumento della produzione industriale, dell'export e la flessione del tasso di disoccupazione.
(Fonte: U.O. Studi, Statistica e Osservatori Camera di Commercio di Reggio Emilia)
Il direttore generale di Confimi, Mario Lucenti, ha commentato così il disastroso fallimento di Reggio Emilia Innovazione. "Le pmi non hanno altro tempo da perdere. Noi siamo pronti ad offrire alternative concrete".
Reggio Emilia Innovazione chiude definitivamente i battenti, la nota società a capitale misto pubblico privato, è in liquidazione dal 13 luglio scorso. L'impresa, che doveva attrarre le start up verso il nascente Tecnopolo, aveva accumulato un passivo, l'anno scorso, di un 1 milione e 365mila euro.
Ora la messa in liquidazione, ultima pagina di questa gloriosa avventura che si è conclusa come spesso accede in Italia: debiti, numeri arricchiti dal segno meno e con tanto di personale interno da ricollocare. Segno rosso e tutto da rifare, in pieno stile Belpaese.
Altro che Tecnopolo, altro che futuro: la fine di REI è proprio in linea col nostro passato, anni nei quali la politica ha davvero fatto poco per incentivare la crescita delle imprese emiliane. Una disastrosa soluzione vintage che si è conclusa con una chiusura a mani bucate.
Iniziative lodevoli, perfette per la fauna politica e per oliare le macchine fotografiche in occasione di tagli del nastro vari ed eventuali, occasioni buone per farsi belli davanti ai soliti noti, per poi sparire prima che tutto crolli.
"Il fallimento di REI ci ha fatto riflettere: le piccole e medie imprese non hanno altro tempo da perdere. Investire energie e risorse verso la ricerca tecnologica è di vitale importanza per tutti noi, ma il prossimo tentativo non deve assomigliare per nulla allo schema della REI."
Questo il commento di Mario Lucenti, direttore generale di Confimi Emilia. Il dirigente ha continuato dicendo: "Dobbiamo abbattere i confini provinciali e lavorare unitamente con tutto il territorio emiliano, inoltre dobbiamo coinvolgere maggiormente le nostre PMI"
In conclusione, il manager Lucenti, ha aperto a future collaborazioni con il gruppo di lavoro di Confimi Emilia: "Negli ultimi dodici mesi abbiamo incentrato grande parte del nostro lavoro alla creazione di opportunità utili alla crescita tecnologica delle nostre aziende associate gettando le basi di alcune utili collaborazioni con il polo innovazione di Israele, oramai la capitale mondiale delle nuove tecnologie. Non solo: il gruppo Innovazione di Confimi Emilia, capeggiato da Massimo Montecchi, ha stilato una lista di punti da affrontare insieme, in totale sinergia con tutti coloro che vorranno sedersi al nostro tavolo."
La Guardia di Finanza sequestra quasi un milione di euro in contanti a seguito di indagini condotte sul fallimento di una azienda di Fidenza.
Parma 2 settembre 2016 - Nella mattinata odierna, la Guardia di Finanza di Parma ha eseguito, su delega della locale Procura della Repubblica, un provvedimento del Giudice per le Indagini Preliminari, con il quale è disposto il sequestro preventivo di 875.000 euro depositati sui conti correnti o comunque nella disponibilità di quattro persone indagate per bancarotta fraudolenta.
Le indagini eseguite hanno consentito di rilevare che l'amministratore della società fidentina aveva distratto ingenti risorse finanziarie, per destinarle all'acquisto di partecipazioni in due società parmensi in realtà già costituite un mese prima dalla stessa fallita.
Tali disponibilità erano in ultimo finite nei conti correnti di quattro persone fisiche, tra le quali i due soci di una società fiduciaria di Parma.
I circostanziati elementi probatori raccolti in fase di indagine hanno indotto la locale Autorità Giudiziaria a configurare - a carico del predetto amministratore e degli altri quattro soggetti - il reato di bancarotta fraudolenta.
Il provvedimento di sequestro ha permesso il recupero del profitto del reato di bancarotta che gli indagati erano riusciti a realizzare.
Il contrasto dei reati fallimentari, che consente peraltro di restituire quanto dovuto a tutti i creditori della società, rappresenta un peculiare obiettivo nella diuturna attività di servizio del Corpo e si inquadra nella più vasta attività di repressione dell'inquinamento dell'economia legale determinato dal mancato rispetto delle regole di funzionamento del libero mercato e della leale concorrenza nei vari settori economici.
L'analisi dell'Ufficio Studi della Camera di Commercio di Reggio Emilia rivela che nei primi sei mesi del 2016 le istanze di fallimento aperte dal Tribunale di Reggio Emilia sono state 73, il 22% in più rispetto allo stesso periodo del 2015 a causa della crisi. Dopo il capoluogo, il comune con il maggior numero di fallimenti è Scandiano.
Reggio Emilia, 18 luglio 2016
In provincia di Reggio Emilia la crisi economica non è ancora da archiviare. Dopo la flessione del numero di imprese registrato all'inizio del 2016, andamento influenzato da una crescita delle cessazioni, anche i fallimenti riprendono a salire.
Secondo l'analisi dell'Ufficio Studi della Camera di Commercio di Reggio Emilia, nei primi sei mesi del 2016 le istanze di fallimento aperte dal Tribunale di Reggio Emilia sono state 73, il 22% in più rispetto allo stesso periodo del 2015, quando i fallimenti coinvolsero 60 imprese. Sempre nel periodo gennaio-giugno le altre procedure concorsuali (concordarti, accordi di ristrutturazione debiti, liquidazioni coatte amministrative) sono invece diminuite, passando dalle 10 del 2015 alle 8 del 2016.
Osservando il settore di appartenenza delle imprese entrate in fallimento si trovano conferme circa le difficoltà registrate in modo particolare da alcuni comparti, primi fra tutti quello delle costruzioni (26 fallimenti) e il manifatturiero (25). Nell'industria è stato particolarmente colpito il settore metalmeccanico per il quale, nel primo quadrimestre del 2016, sono state aperte 11 istanze di fallimento, quasi la metà dei fallimenti del comparto.
Relativamente al settore terziario, in provincia di Reggio Emilia sono state aperte 10 procedure fallimentari nel commercio, 3 nelle attività immobiliari, 4 nelle attività di alloggio e ristorazione e 5 in altre attività dei servizi, fra i quali lavanderie e centri per il benessere fisico.
Scendendo nel dettaglio della tipologia d'impresa, tre imprese su quattro sono società di capitale (59 fallimenti sui 73 totali), quasi tutte società a responsabilità limitata (56); le restanti 14 procedure riguardano sia società di persone (9 fallimenti fra sas e snc) che ditte individuali (4 fallimenti) oltre ad una cooperativa.
Un ultimo dato riguarda l'ubicazione delle aziende oggetto di procedura: un fallimento su 3 riguarda imprese insediate nel comune di Reggio Emilia mentre il restante 66% si distribuisce su tutto il territorio provinciale. Dopo il capoluogo, il comune con il maggior numero di fallimenti è Scandiano con 6 imprese entrate in fallimento, mentre la zona della montagna, con solo due procedure attivate, è quella con il minor numero di fallimenti aperti nel primo semestre del 2016.
(Fonte: Dalla Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura di Reggio Emilia)