Di Mario Vacca Parma 22 settembre 2019 - Dal 14 settembre 2019 sono entrate in vigore alcune novità previste dalla direttiva europea PSD2 e gli istituti di credito dovranno adeguare le loro strutture.
Le banche sono obbligate ad autorizzare a “terze parti” l’accesso ai dati dei propri correntisti che avranno autorizzato siffatta comunicazione.
Le “terze parti” sono importanti tasselli del “sistema bancario” chiamate Pisp, Aisp e Cisp!
I Pisp (Payment Initiation Service Providers) sono società intermediarie tra il pagatore (consumatori o aziende) e la propria banca che hanno lo scopo di versare denaro ad un terzo soggetto. Vera e propria innovazione, con esse sarà possibile effettuare un pagamento su un sito di ecommerce senza inserire i dati della propria carta di credito, perché sarà il venditore ad accedere direttamente al conto (previa una prima autorizzazione del cliente) e prelevare. Per accedere al conto del cliente i Pisp devono comunque usare procedure di autenticazione mettendo a disposizione del cliente tutte le informazioni relative all’ operazione; In questo contesto si potrebbero ridurre le commissioni relative alle transazioni con carte di credito ed eliminare i pericoli della perdita della carta stessa.
Gli Aisp (Account Information Service Provider) sono servizi che "spiano" (dopo che il cliente abbia prestato il consenso) le operazioni effettuate sui conti correnti e con le carte, analizzando ed aggregando dati per fornire un quadro complessivo delle finanze in un'unica schermata arrivando a suggerire investimenti o prodotti di risparmio.
I Cisp (Card Issuer Service Providers) sono soggetti che emettono carte di pagamento. Attivi già da tempo nel Regno Unito, a differenza delle prepagate, queste sono direttamente collegate al conto corrente, anche se è stato aperto in una banca differente. Non essendo i detentori del denaro hanno canali privilegiati per accedere al conto.
La direttiva rafforza le misure a tutela dei correntisti al fine di prevenire frodi e furti di identità. La sicurezza dei clienti, secondo il testo, si basa su tre principi:
- Conoscenza: cioè una password o un codice pin che conosce solo l'utente;
- Possesso: uno strumento che possiede solo l'utente (uno smartphone o un token);
- Inerenza: cioè qualcosa che l'utente è, ad esempio un'impronta digitale o il riconoscimento facciale.
Le procedure di autenticazione delle banche devono prevedere almeno due di questi principi. Questi nuovi standard hanno portato diverse banche italiane a sostituire i sistemi di accesso al conto o di autorizzazione delle disposizioni sostituendo i vecchi token con altri di nuova generazione o creando nuove modalità quali il sistema di generazione di password sullo smartphone.
Sembrerebbe che il problema dei token attuali sia data dalla vulnerabilità del codice generato (l'Otp, one time password) che pura pochi secondi ma non esclude la possibilità che un truffatore informatico possa utilizzarlo per compiere una seconda veloce operazione, drenando soldi dal conto del cliente. Con le nuove regole, invece, il codice "restituito" al cliente è valido solo e soltanto per quella operazione.
Mentre la direttiva si preoccupa della sicurezza desta anche qualche preoccupazione in ordine alla comunicazione dei dati, infatti dal 14 settembre sarà ancora più importante prestare la massima attenzione ai consensi da fornire al proprio Istituto perché se è vero che i nuovi servizi potrebbero essere utili a molti consumatori, è altrettanto vero che si tratta di condividere informazioni preziose, da fare con la massima cautela.
Di Mario Vacca Parma 15 settembre 2019 - L’Agenzia delle Entrate con la circolare n. 19 dell'8 agosto 2019 fornisce i dettagli sull’attività di compliance e sui controlli indirizzati a piccole e grandi imprese.
Il documento offre importanti spunti di riflessione; emerge che per ridurre la differenza tra entrate fiscali teoriche ed effettive, sarà fondamentale l’incrocio dei dati disponibili in tempo reale grazie a due delle novità fiscali del 2019: fattura elettronica e corrispettivi telematici.
In pratica la circolare concretizza le linee strategiche del triennio 2019-2021 fissate dall’atto di indirizzo del MEF. Un supporto alle attività di analisi del rischio evasione sarà dato anche dalle informazioni acquisite su conti correnti sia Italiani grazie alle ultime disposizioni, che esteri detenuti da residenti italiani per effetto della procedura di cooperazione internazionale per il contrasto ad evasione ed elusione fiscale; in pratica le attività di prevenzione e contrasto all’evasione fiscale si basano sull’analisi dei dati e delle informazioni a disposizione e su approcci diversificati volti ad individuare le caratteristiche dei contribuenti ritenuti più a rischio. I big data e l’intelligenza artificiale diventano gli strumenti principe per contrastare l’evasione fiscale.
Accanto alle attività di controllo, gli uffici dell’Agenzia delle Entrate restano in prima linea nelle attività finalizzate alla promozione dell’adempimento spontaneo con l’invio delle cosiddette lettere di compliance.
L’attività di controllo include anche l’estensione dei limiti per l’accesso al regime forfettario per le partite IVA: “Con l’estensione della platea dei potenziali beneficiari, dovranno essere messi in campo una serie di presidi finalizzati a evitare che possano accedere illegittimamente al regime soggetti che non posseggono i requisiti prescritti dalla legge.”
Per le imprese di minori dimensioni, invece, la selezione si indirizzerà prioritariamente nei confronti di soggetti che sottofatturano le prestazioni attive o portano in detrazione costi non inerenti l’attività esercitata.
Tra i fattori di rischio, l’Agenzia delle Entrate indica i seguenti:
presenza di crediti IVA in apparenza non giustificabili in base ai dati economici, ovvero ai regimi normativi vigenti (ad esempio aliquote differenziate tra acquisto e vendita);
effettuazione di acquisti da soggetti che omettono la presentazione delle relative dichiarazioni fiscali e del modello “Comunicazione delle liquidazioni periodiche IVA”;
presenza di un elevato importo dei costi c.d. “residuali”;
acquisti effettuati da controparti che dichiarano l’esercizio di attività rientranti in codici ATECO c.d. residuali (ad esempio i codici che terminano con la dicitura n.c.a.);
presenza di bassa redditività anche a fronte di ricavi costanti o in crescita nel tempo.
La circolare fa focus sull’attività di “tutoraggio”, strumento che permette la diversificazione dei controlli in base ai risultati delle analisi del rischio.
L’obiettivo delle attività di verifica sarà quello di intercettare e contrastare i fenomeni di: “pianificazione fiscale nazionale e internazionale aggressivi più complessi, anche tramite l’uso delle banche dati a disposizione dell’Agenzia e il ricorso, da parte delle strutture regionali, all’interazione con le giurisdizioni fiscali estere, attraverso le forme di cooperazione amministrativa assicurate dal Settore internazionale della Divisione contribuenti.”
di Mario Vacca Parma, 8 settembre 2019 - La Banca d’Italia ha avviato lo sorso 02 settembre i controlli sulle operazioni realizzate in contanti oltre i 10 mila euro monitorando in particolare prelievi e versamenti per più di 10 mila euro al mese. Obiettivo primario è la riduzione del rischio di riciclaggio anche attraverso il contrasto all’uso del contante che in Italia supera l’80% dei pagamenti totali.
L’Unità di Informazione Finanziaria (UIF) di Bankitalia specifica che le banche, gli uffici postali e altri istituti di pagamento segnalino tutte le operazioni che complessivamente superino il nuovo limite, precedentemente fissato in euro 15 mila. La segnalazione è definita “comunicazione oggettiva“, effettuata su base mensile, da inoltrare entro il 15 del mese successivo. La prima comunicazione del 15 settembre riguarderà i dati aggregati di di aprile, maggio, giugno e luglio.
L’eccessiva presenza di contante nelle casse degli esercizi commerciali rappresenta anche un notevole rischio per la loro stessa sicurezza.
L’UIF ha realizzato uno studio dal titolo «L’uso del contante e il riciclaggio», con il quale si fotografa la situazione dei pagamenti in Italia diviso per regioni, attività economiche ed interessi dei soggetti. Naturalmente in questi ultimi anni molte sono state le leggi e le norme volte a favorire il controllo dei flussi a favore dell’antiterrorismo ma non è da escludere che tali norme abbiano come interesse principale la lotta all’evasione, infatti lo stesso studio recita che l’utilizzo del contante risulta legato a stretto giro con le dimensioni dell’economia sommersa.
L’abitudine ad utilizzare il contante sembrerebbe più diffusa in alcune zone d’Italia, come nei comuni litoranei ad alta intensità di turismo o nei comuni montani che non hanno a disposizione i servizi bancari nelle immediate vicinanze. Parrebbe che al Sud che si registri una minore propensione ai pagamenti elettronici, ma con sorpresa alcuni dati avrebbero evidenziato che al nord ed in particolare in Lombardia e in Veneto, l’utilizzo del contanti viene utilizzato in particolar modo in transazioni sospette, forse anche a causa delle maggiori disponibilità del territorio.
L’UIF non ha ancora deciso come agire a seguito delle segnalazioni ricevute dagli istituti finanziari e pertanto si attenderà il riscontro dei primi dati a partire dal 15 settembre.
Come in mare aperto, anche in ufficio è necessario un leader capace di motivare il team, esaltarne i punti di forza, aiutarlo a risolvere problemi e capace di prendersi la responsabilità.
di Mario Vacca Parma 1 settembre 2019 - Nel ricorso per sovraindebitamento la procedura di liquidazione rappresenta un altro strumento di soddisfacimento dei creditori del soggetto non fallibile, raffigurato come procedimento esecutivo-espropriativo d’indole concorsuale, avente ad oggetto l’intero patrimonio del debitore, fatta eccezione dei beni espressamente esclusi.
Si evince che tale disciplina è strutturata analogamente ad una tradizionale procedura fallimentare, e si compone nelle fasi dell’apertura, dell’inventario dei beni, della formazione dello stato passivo ed infine dell’esdebitazione. Oggetto della liquidazione sono tutti i beni del debitore, compresi gli accessori, le pertinenze e i frutti prodotti dai beni ( anche i beni sopravvenuti nei quattro anni successivi al deposito della domanda di liquidazione, dedotte le passività incontrate per l’acquisto e la conservazione dei beni medesimi) ad eccezione di quelli personali, che ai sensi dell’articolo 14-ter, comma 6, L. 3/2012 possono individuarsi nei crediti impignorabili, dei crediti aventi carattere alimentare e di mantenimento, degli stipendi, delle pensioni, dei salari e di ciò che il debitore guadagna con la sua attività, sia pure nei limiti di quanto occorra al mantenimento suo e della sua famiglia indicati dal giudice, dei frutti derivanti dall’usufrutto legale sui beni dei figli, dai beni costituiti in fondo patrimoniale e dei frutti di essi.
Il 14 maro 2019 il Tribunale di Pordenone ha espresso che la procedura di liquidazione del patrimonio prevista dalla L. 3/2012 in tema di sovraindebitamento può essere esperita anche in assenza di beni da liquidare, facendo affidamento soltanto sui redditi futuri del debitore. Il Tribunale ha fornito un’indicazione molto rilevante in quanto gli articoli del c.c. al riguardo non offrono un valido supporto a dirimere questione.
Dalla sentenza è possibile evincere he a sostegno della pronuncia viene evidenziato che nella nozione di “beni” di cui all’articolo 810 cod. civ. possano rientrare anche le somme di denaro, e:
il fatto che l’articolo 14 ter, comma 6, lett. b), L. 3/2012 esclude dalla liquidazione i redditi da stipendi e pensioni solo nei limiti di quanto occorre al mantenimento proprio e della propria famiglia;
il fatto che nel patrimonio da liquidare rientreranno ex articolo 14 undecies 3/2012 anche i crediti eventualmente sopravvenuti nel quadriennio successivo al deposito della domanda di ammissione alla procedura così da far rientrare all’interno del patrimonio del debitore ogni somma idonea a soddisfare i creditori;
il fatto che, in difetto di beni da alienare, permane comunque l’utilità del liquidatore, posto che allo stesso è demandato anche il compito di accertamento dei crediti, riconoscimento dei diritti di prelazione e predisposizione dei piani di riparto al fine di soddisfare i creditori.
Fortunatamente il principio espresso dal Tribunale rafforza la legge e fornisce un precedente che sarà colto senza riserve – da futuri ricorrenti.
Come in mare aperto, anche in ufficio è necessario un leader capace di motivare il team, esaltarne i punti di forza, aiutarlo a risolvere problemi e capace di prendersi la responsabilità.
Di Mario Vacca Parma 25 agosto 2019 - Un vero leader sa sempre riconoscere ed ammettere i propri sbagli. Un buon leader deve assegnare a ciascuna risorsa un ruolo preciso e comunicare in modo puntuale in quale direzione si sta andando e perché. Parole espresse da Paolo Scutellaro, cinque volte campione del mondo, pluricampione Italiano di vela ed esperto di organizzazione aziendale.
Ancora una volta la gestione di un team in barca a vela è accostato alla realtà della gestione aziendale e non sono pochi i master in leadership che hanno sessioni in banca affinché diversi soggetti tra loro sconosciuti si fondano in team ed eleggano il leader.
E’ necessario distinguere il manager dal leader, essere manager, infatti, non vuol dire automaticamente essere un leader e quest’ultimo dev’essere dotato di caratteristiche imprescindibili:
• saper ascoltare,
• dare una direzione chiara al proprio team,
• creare un clima positivo, senza conflitti,
• assegnare a ciascuno il proprio ruolo in azienda,
• saper pianificare,
• guidare con l’esempio.
Naturalmente tutti i manager vorrebbero essere dei bravi leader errori che spesso si compiono sono una barriera a tale aspirazione. Essere leaderi deve far parte di una strategia ragionata. L’errore più comune è un’insolente auto-promozione di se stessi e della propria azienda, ed oggi i social forniscono un ottimo mezzo per elevare all’ennesima potenza l’errore. L’obiettivo deve essere quello di captare le esigenze altrui e non di vendere se stessi o la propria azienda. Solitamente le persone fanno marcia indietro davanti a chi si loda.
Trovare il modo di distinguersi, di uscire dalla massa, ma senza per questo passare per grotteschi è uno dei punti fondamentali; ci sono dei trend da seguire, ma saltare sul carro del vincitore non è mai un buon segno. Se non si ha niente di nuovo da dire su un argomento meglio tacere, il silenzio è da sempre il miglior alleato.
Premesso che il leader è tale perché riconosciuto “dal popolo” la leadership deve affermarsi in maniera naturale e per farlo ha bisogno del supporto altrui, è inutile imporsi, piuttosto è necessario condividere il proprio pensiero e lavorare in squadra creando situazioni di reale scambio ed accrescimento comune.
“Un passo falso comunemente riportato dalla letteratura è quello di identificarsi tanto nel ruolo di leader da dimenticare altri tratti del proprio carattere che potrebbero aiutare a relazionarsi in modo diverso. È importante non snaturarsi ed imparare a gestire le proprie caratteristiche. Non bisogna pensare che la timidezza o l’empatia siano nemiche della leadership. L’importante è inviare un messaggio chiaro e mostrarsi sempre coerenti”
Infine è bene concentrarsi su poche cose, non si può essere esperti in ogni settore, si acquisirà maggiore credibilità sapendo tutto su un argomento e formulando un proprio pensiero personale. Il tuttologo è spesso allontanato o ascoltato con scherno.
Molti manager oppongono resistenza al cambiamento del ruolo, essendo abituati a comandare tendono a non mettersi in discussione. In quest’ottica il manager che vuole accrescere le proprie potenzialità e puntare ad essere un leader dovrebbe avere un confronto costante con un coach che lo aiuti a crescere e a migliorarsi ogni giorno. In generale, si possono individuare tre qualità per diventare leader che possono essere potenziate grazie a un programma di coaching.
Il coraggio risiede nella capacità di dire le cose e di farle accadere. Se si ha paura del cambiamento – che ricordo essere uno dei traumi più temuti dall’essere umano - non si migliorerà mai, diversamente bisogna avere il giusto coraggio per sapere comunicare anche le cose difficili. Imparare a farlo con il coach renderà più efficiente il rapporto con i dipendenti.
L’ascolto degli altri prima di parlare è essenziale, una qualità imprescindibile per ogni vero Leader.
E’ anche importante che i leader imparino a seguire il proprio istinto, che non vuol dire smettere di ponderare le cose razionalmente ma metterci quel pizzico di intuizione che fa la differenza. Ciò può far sentire instabili, ma permetterà di aprire nuove strade e di migliorare il proprio business. Naturalmente occorre esperienza nel leggere ed interpretare bene i segnali che arrivano da persone e situazioni.
Per diventare leader è importante lavorare con gli altri, gestire gli altri ma soprattutto gestire se stessi perché - come si dice in marina - tutti sanno portare la barca con il mare calmo ma il vero comandante è quello che non va in tilt durante una mareggiata imprevista.
Il giusto equilibrio consente quindi di mostrare il proprio coinvolgimento emotivo in alcune circostanze, finalizzate soprattutto a creare fiducia e non significa mostrarsi stoici e celare qualsiasi emozione, impedendo ai collaboratori di essere percepiti come umani e aperti alla comunicazione.
L’integrità rappresenta la qualità fondamentale per un leader, un attributo che presuppone la capacità di essere onesti e di voler agire nel modo giusto. E’ importante che il leader faccia per primo ciò che enuncia ai collaboratori.
L’autostima e la fiducia nelle proprie capacità senza un desiderio di prevaricare e di mostrarsi superiore è un elemento essenziale nella costruzione dell’uomo leader. La comunicazione tra il capo e i suoi collaboratori gioca un ruolo primario per la produttività, efficienza, fidelizzazione e soddisfazione personale, aspetto che purtroppo è spesso sottovalutato.
Il Buon Leader ricerca e trova giusto equilibrio tra deleghe ed incarichi, generando coinvolgimento e partecipazione, ascolta prima di giudicare concedendo l’opportunità di spiegare le proprie ragioni, organizza meeting e sessioni di coaching favorendo momenti di confronto a cadenza regolare, mostra interesse per la vita personale dei collaboratori, creando in questo modo un clima sereno e collaborativo.
Di Mario Vacca Parma 11 agosto 2019 - L’entrata in vigore del Nuovo Codice della Crisi ha favorito un ventaglio di interpretazioni, commenti e giudizi provenienti dal mondo accademico e dai diretti interessati di ogni categoria; Appena qualche giorno or sono 22 Law Firm, ovvero studi legali nazionali ed internazionali che assistono le aziende in crisi hanno espresso su un unico documento dissenso al nuovo codice evidenziando ben 8 punti critici.
Anche in ordine ai tanto proclamati adeguati assetti organizzativi che ogni azienda dovrà implementare al fine di intercettare situazioni di crisi e prevenire la perdita di continuità aziendale ognuno riporta la sua personale interpretazione.
Un ottimo contributo lo fornisce Assonime, determinando un approccio flessibile per non appesantire l’impresa in termini sia organizzativi che economici situazione che finirebbe per far fallire la le legge sul nascere.
La forte differenziazione tra le imprese in termini dimensionali, di base societaria, di risorse e di organizzazione, pone chiaramente il tema di un’adeguatezza da realizzare sartorialmente evitando di ingessare l’azienda con un “programma” troppo pesante che la renderebbe poco efficiente. In questo i vincoli non sono solo di tipo economico - legati al livello di investimento di setup e di mantenimento degli adeguati assetti - ma anche di tipo organizzativo in funzione della quantità e qualità delle risorse umane utilizzate, e di governance, con la presenza o meno di un management indipendente e professionale.
“…Come è da tempo noto in dottrina, la crisi è un processo evolutivo a stadi nel quale crescenti livelli di difficoltà dell’impresa possono portare alla perdita della continuità aziendale e/o all’insolvenza. Mentre l’istituzione degli adeguati assetti organizzativi costituisce un obbligo per tutte le imprese collettive, lo scopo di questi dipende dalla condizione di salute dell’impresa. In una impresa sana, gli adeguati assetti organizzativi sono funzionali alla corretta gestione e vanno inquadrati in un’ottica di moderno risk management, accompagnato da una corretta architettura organizzativa e da una serie di strumenti gestionali tutti caratterizzati da adeguatezza. Quando invece l’impresa entra in una fase di difficoltà, agli adeguati assetti è richiesta non solo una funzione di monitoraggio tempestivo, ma anche di costituire un valido strumento di gestione della medesima. Assosime lega al termine “adeguati” una duplice accezione: sia alla natura e alla dimensione dell’impresa, sia alla capacità di intercettare tempestivamente ed efficacemente gli indicatori della crisi e di perdita della continuità aziendale. L’adeguatezza rispetto agli obiettivi della norma è chiaramente declinata nei diversi strumenti e nelle caratteristiche degli assetti (organizzazione, controlli, sistemi di gestione e di rilevazione contabile, strumenti di monitoraggio della performance quantitativo e qualitativo) che consentono di prevenire la crisi di impresa e la perdita della continuità aziendale. Anche il riferimento temporale entra in gioco dinamicamente fotografando il momento in cui gli assetti vengono implementati ed usati; viene da se che un determinato controllo che in un’impresa sana potrebbe essere condotto con frequenza trimestrale in un’azienda in crisi dovrebbe essere condotto con periodicità più frequenti…”
L’unico neo rinvenibile nel documento di Assonime potrebbe rilevarsi il concetto di anteporre temporalmente l'interruzione della continuità alla crisi e all'insolvenza, quando evidentemente in più parti del corpo normativo viene espressamente chiarito che essa è un evento estremo da evitare il più possibile anche per la tutela della base occupazionale.
Di Mario Vacca 4 agosto 2019 - Il piano nazionale Impresa 4.0 prevede una serie di agevolazioni che generano l’individuazione di una figura così detta “Innovation Manager”, manager e società di consulenza abilitati allo svolgimento degli incarichi manageriali oggetto dell’omonima agevolazione.
Il Ministero dello Sviluppo Economico (MiSe) ha voluto disciplinare questa figura e con il decreto del 29 luglio 2019 ha comunicato le modalità ed i termini per la presentazione delle domande di iscrizione all’elenco degli innovation manager. Le iscrizioni – ammesse soltanto tramite procedura informatica - saranno aperte dalle ore 10.00 del 27 settembre 2019 alle ore 17.00 del 25 ottobre 2019.
L’iscrizione all’elenco comporta la verifica dei requisiti stabiliti in capo ai consulenti dall’articolo 5, comma 2 e comma 3 del decreto attuativo del 07 maggio 2019 ed è condizione necessaria affinché siano agevolabili in capo alle imprese committenti i costi per consulenze specialistiche manageriali in materia di:
• tecnologie abilitanti previste dal Piano Nazionale Impresa 4.0;
• processi di ammodernamento degli assetti gestionali e organizzativi dell’impresa, ivi intendendo l’applicazione di nuovi metodi di significativa innovazione organizzativa dell’impresa nelle pratiche commerciali, nelle strategie di gestione aziendale, nell’organizzazione del luogo di lavoro;
• processi di ammodernamento degli assetti gestionali e organizzativi dell’impresa, ivi intendendo l’accesso ai mercati finanziari e dei capitali.
L’incentivo alle imprese consiste in un contributo a fondo perduto sottoforma di voucher concedibile in regime “de minimis” ai sensi del Regolamento (UE) n. 1407/2013, introdotto dall’articolo 1, commi 228, 230, 231, L. 145/2018 (c.d. Legge di Bilancio 2019) con l’obiettivo di sostenere i processi di trasformazione tecnologica e digitale delle Pmi e delle reti d’impresa.
Per L’iscrizione all’elenco occorre rispettare i seguenti requisiti:
1. Persone fisiche accreditate negli albi o elenchi dei manager dell’innovazione istituiti presso:
• Unioncamere
• Associazioni di rappresentanza dei manager ed organizzazioni partecipate pariteticamente da esse e da associazioni di rappresentanza datoriali
• Le Regioni, ai fini dell’erogazione di contributi regionali o comunitari con finalità a analoghe
2. Persone fisiche in possesso di almeno uno dei seguenti requisiti:
• Dottorato di ricerca nelle seguenti aree:
- Scienze matematiche ed Informatiche;
- Scienze Fisiche;
- Scienze Chimiche;
- Scienze Biologiche;
- Ingegneria Industriale e dell’informazione;
- Scienze Economiche e statistiche;
• Master universitario di II livello nelle aree suddette + svolgimento documentabile per almeno 1 anno di incarichi presso imprese nelle materie oggetto di consulenza agevolabile
• Laurea magistrale nelle aree suddette + svolgimento documentabile per almeno 3 anni di incarichi presso imprese nelle materie oggetto di consulenza agevolabile
• Svolgimento documentabile per almeno 7 anni di incarichi presso imprese nelle materie oggetto di consulenza agevolabile;
3. Società operanti nel settore delle attività di consulenza:
• con sede legale o un’unità locale attiva in Italia, iscritte nel Registro Imprese della CCIAA territorialmente competente;
• società di capitali;
• non sottoposte a procedura concorsuale, non in stato di fallimento, di liquidazione anche volontaria, di amministrazione controllata, di concordato preventivo o in qualsiasi altra situazione equivalente secondo la normativa vigente;
• non soggette a condanne penali con sentenza definitiva;
• che abbiano eseguito progetti di consulenza o formazione nelle materie oggetto di consulenza agevolabile e costituite da almeno 24 mesi
4. Società accreditate presso gli elenchi dei manager dell’innovazione istituiti presso le associazioni di rappresentanza dei manager od organizzazioni partecipate pariteticamente da esse e da associazioni di rappresentanza datoriali oppure presso le Regioni o Province autonome, ai fini dell’erogazione di contributi regionali o comunitari con finalità a analoghe.
In sede di presentazione della domanda la società dovrà indicare l’elenco nominativo (non più di 10) di manager in possesso dei requisiti previsti per le persone fisiche
5. i centri di trasferimento tecnologico in abito Industria 4.0
6. gli incubatori certificati di start-up innovative.
Nell’apposita sezione del sito istituzionale del Ministero dello sviluppo economico all’indirizzo https://www.mise.gov.it/index.php/it/incentivi/impresa/voucher-consulenza-innovazione verrà pubblicato l’elenco completo.
Intanto si attende la pubblicazione del secondo provvedimento previsto dal decreto attuativo del 07 maggio 2019, che dovrebbe disciplinare termini e modalità di presentazione delle domande di ammissione al contributo ed anche i criteri di valutazione delle domande e di assegnazione prioritaria delle risorse disponibili.
di Mario Vacca Parma 28 luglio 2019 - In un momento in cui è di grande attualità un colpo alla privacy dei conti correnti dei contribuenti da parte dell’Agenzia delle Entrate che avrà il potere di indagare sull’effettiva capacità di spesa e quindi contributiva degli italiani, la Corte di Cassazione con sentenza n. 19192 del 17.07.2019 chiarisce che il mutuo stipulato per l’acquisto di un immobile non esclude, ma diluisce nel tempo la capacità contributiva, pertanto dalla spesa accertata deve essere detratto il capitale mutuato, dovendo invece sommarsi, per ogni annualità, i ratei di mutuo maturato e versati
Nello specifico i giudici di legittimità hanno chiarito che, in caso di accertamento sintetico sull’acquisto di un immobile a seguito di mutuo, costituisce idonea prova contraria, di cui all’articolo 38, comma 6, D.P.R. 600/1973, anche la mera produzione di un contratto di mutuo, atto a dimostrare la provenienza non reddituale delle somme utilizzate per l’acquisto dell’immobile (cfr. Cass., n. 31124/2018).
Non è necessario, dunque, dimostrare anche le motivazioni dell’erogazione e le garanzie che ne supportano la sussistenza mentre si evidenzia che qualora l’Amministrazione finanziaria proceda a determinare sinteticamente il reddito netto in relazione a una spesa derivante da incrementi patrimoniali e il contribuente eccepisca l’esistenza di un mutuo ultrannuale a giustificazione dell’esborso, detto mutuo non è valido ad escludere integralmente la capacità contributiva del contribuente ma la spalma nel tempo.
Ciò premesso quindi bisogna considerare che mentre da un lato occorre detrarre dalla spesa accertata per gli investimenti patrimoniali l’intero capitale richiesto a mutuo dall’altro, occorre aggiungere al reddito accertato, i ratei di mutuo maturato e versati per ogni annualità.
di Mario Vacca Parma 21 luglio 2019 -
Il Decreto Ministeriale del 7 maggio 2019 pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 05 luglio ha rinnovato l’articolo 1, comma 66, legge 232/2016 disciplinando le agevolazioni fiscali spettanti alle persone fisiche e ai soggetti Ires che effettuano conferimenti in denaro a favore di start-up innovative e piccole medie imprese innovative effettuati nel corso del 2019.
Destinatari delle agevolazioni sono sia i soggetti passivi Irpef sia quelli Ires (quindi sia soggetti privati che giuridici) che effettuano investimenti agevolati in una o più start-up innovative o Pmi innovative durante il corso del 2019, anche indirettamente tramite organismi di investimento collettivo del risparmio o altre società di capitali che investono prevalentemente in start-up o Pmi innovative.
Le agevolazioni spettano per i conferimenti in denaro iscritti alla voce del capitale sociale e della riserva da sovrapprezzo delle azioni o quote delle start-up innovative, delle Pmi innovative . Per conferimento in denaro si considera anche la compensazione dei crediti in sede di sottoscrizione di aumenti del capitale, ad eccezione di quelli risultanti da cessioni di beni o prestazioni di servizi diverse da quelle previste dall’articolo 27 del Dl 179/2012. Le agevolazioni spettano fino ad un ammontare complessivo dei conferimenti non superiore a 15 milioni di euro per ciascuna start-up innovativa o Pmi innovativa,
Ai soggetti Irpef spetta una detrazione dall’imposta lorda di ammontare pari al 40% dei conferimenti effettuati, fino a un massimo di 1 milione di euro, in ciascun periodo d’imposta. Nell’eventualità la detrazione superasse l’imposta lorda, l’eccedenza potrebbe essere utilizzata per l’Imposta dovuta nei periodi successivi, ma non oltre il terzo, fino a concorrenza del suo ammontare.
I soggetti Ires che acquisiscono l’intero capitale sociale della start-up innovativa, mantenendolo per almeno tre anni, possono dedurre dal reddito complessivo un importo pari al 50% . Anche in questo l’eccedenza potrà essere utilizzata negli anni successivi non oltre il terzo.
Per poter beneficiare degli incentivi gli investitori devono procurarsi e conservare:
una certificazione della start-up o Pmi innovativa che attesti di non avere superato il limite di 15 milioni di euro ovvero, se superato, l’importo per il quale spetta la deduzione o detrazione.;
copia del piano di investimento della start-up o Pmi innovativa, contenente informazioni dettagliate sull’oggetto dell’attività, sui relativi servizi/prodotti e sull’andamento della gestione.
Il diritto ai benefici decade se, entro tre anni dalla data in cui rileva l’investimento, si verifica anche non congiuntamente una delle seguenti ipotesi:
la cessione a titolo oneroso, anche parziale, delle partecipazioni o quote ricevute in cambio degli investimenti agevolati;
la riduzione di capitale nonché la ripartizione di riserve o altri fondi costituiti con sovrapprezzi di emissione delle azioni o quote delle start-up o delle Pmi innovative o delle altre società che investono prevalentemente in start-up o Pmi innovative e le cui azioni non sono quotate su un mercato regolamentato o su un sistema multilaterale di negoziazione;
il recesso o l’esclusione degli investitori;
la perdita di uno dei requisiti previsti dall’articolo 25, comma 2, del Dl 179/2012, da parte della start-up innovativa;
la perdita di uno dei requisiti previsti dall’articolo 4, comma 1, del Dl 3/2015, da parte della Pmi innovativa.
di Mario Vacca Parma 14 luglio 2019 - Il nuovo codice della Crisi d'impresa e dell'insolvenza, pur modificando o introducendo determinati articoli non cambia la lettura dell'articolo 1 della legge fallimentare secondo il quale l'imprenditore agricolo non è fallibile.
Siffatta lettura è genesi di una desueta tradizione culturale che vedeva l'imprenditore agricolo alle prese con ridotti capitali necessari all'esercizio dell'attività e ritenuto, dal legislatore del '42, economicamente non pericoloso per i terzi creditori.
Cambiati i tempi, con l'evoluzione dei mercati l'attuale imprenditore agricolo è sempre più spesso vicino a quello commerciale e l'obbligo di adeguarsi alle nuove tecnologie comporta investimenti rilevanti di capitali un tempo impensabili. A tal riguardo è sempre più evidente all'interno di una stessa impresa esercente attività agricola ai sensi dell'art. 2135 una commistione tra tale attività e quella commerciale ed una continua prevalenza dell'una sull'altra.
Proprio tale commistione è oggetto della sentenza n. 5342 depositata il 22/02/19 con la quale la Corte di Cassazione evidenzia che ai fini dell'infallibilità dell'imprenditore agricolo non sia sufficiente la mera iscrizione di un'impresa nel Registro delle Imprese in qualità di soggetto esercente attività agricola al momento del deposito della domanda di fallimento ma è necessario procedere ad una verifica dell'effettiva attività esercitata.
Tale verifica deve dovrà essere svolta in modo compiuto non soltanto limitata alla verifica del rispetto dei requisiti formali, ma un accertamento dell'effettiva attività svolta ed il rispetto degli eventuali parametri richiesti dal Legislatore nell'eventualità l'impresa non si limiti a svolgere attività agricole ex se ma siano esercitate anche attività connesse per le quali è richiesto sempre il rispetto del parametro della prevalenza.
La recente sentenza afferma anche che "una volta accertato in sede di merito l'esercizio in concreto di attività commerciale, in misura prevalente sull'attività agricola contemplata in via esclusiva dall'oggetto sociale di un'impresa agricola costituita in forma societaria, questa resta assoggettabile a fallimento nonostante la sopravvenuta cessazione dell'esercizio di detta attività commerciale prevalente al momento del deposito di una domanda di fallimento a suo carico".
A questo punto quindi si può affermare che l'iscrizione dell'imprenditore come agricolo non di per sé non rappresenta uno schermo sufficiente contro la fallibilità nel caso in cui sia rinvenibile lo svolgimento effettivo e reale di un'attività commerciale.