Il toponimo sembra di derivazione romana. Fra le aziende agricole più belle e più suggestive del parmense dal punto di vista della posizione geografica (siamo all'inizio della dolcissima pedemontana) "Ciato", è circondata da campi di pomodoro, cipolla, erba medica ed un ampio orto in cui trovano giusta dimora le officinali.
Un noce secolare (come in uso in ogni rustico padano) fa ombra all'entrata dello stupendo portico dove un tempo si svolgeva l'umile, schietta, ma incisiva vita della corte. L'ampia aia (dalla quale come in un teatro appare fiabesca scenografia delle prime colline su cui troneggia il castello di Torrechiara), un bel colpo d'occhio sugli sterminati campi che fanno da corona al complesso rustico tale da estraniarlo dal resto del mondo, una cantina degna di un maniero medioevale dove prosciutti, salami, fiocchetti ed altre "perle" dell'agro alimentare parmense giacciono nella più beata solitudine senza il pericolo di essere ferite da benché minimo raggio di luce o da una temperatura che non sia rigorosamente quella partorita dalla madreterra, una stalla con tanto di colonnati e arcate, una sorta di tempio ove veniva gelosamente custodito il "capitale a quattro zampe" del contadino vegliato dall'immagine di "S.ant'Antoni dal gosen" avvolto dall'immancabile ragnatela.
E poi ancora la tradizione "porta morta" il pollaio "dardè cà" gestito con perizia ed esperienza dall'arzilla Anselmina, profumi di erbe, fieno, terra, umori di campagna, fragranze di frutti e pomodori trattati a dovere da esperte massaie che, sugli antichi "fogon", li hanno trasformati, rispettivamente, in squisite marmellate e in gustose conserve in grado di insaporire i piatti conferendo loro, in inverno, il profumo magico dell'estate, lenti rintocchi di campane della locale chiesetta che, parafrasando Pascoli con la "sua" Barga, scandiscono le "ore di Ciato", rappresentano ciò che di più bello e significativo è in grado di offrire questo lembo di "campagna sparita" agli occhi del visitatore del duemila ormai abituato a costruzioni avveniristiche, vita stressata, oggetti computerizzati, spazi limitati e cibi poco genuini.
Ciato costituisce una "reliquia" della campagna che fu, un vanto della tradizione agricola parmense, un museo di tradizioni, usi, costumi, che va tutelato, un'immagine suadente e fresca come quell'acqua che si attinge dal pozzo della corte o sgorga dal "sambot".
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