Domenica, 17 Dicembre 2023 09:10

Perché il conflitto Israelo – Palestinese? In evidenza

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La storia dell’area “palestinese”, della “giudea”, comunque la si voglia etichettare quella superficie che dalla Siria al confine con l’Egitto e la Giordania, ha una notevole importanza su quanto sta attualmente accadendo. L’odio, il motore del conflitto.

Di Virgilio Mantova, 16 dicembre 2023 – L’odio, come l’uranio per le bombe atomiche, impiega tempi lunghissimi per alienarsi e sino a quel momento genera calore e quel calore brucia anime e famiglie, bambini compresi. L’odio purtroppo alimenta l’odio. Riprendendo le parole del 1939 di Papa Pio XII, alla vigilia della seconda guerra mondiale e richiamate nel corso del seminario dal professor Daniele Trabucco “Tutto è perduto con la guerra, nulla è perduto con la Pace”, si può comprendere quale possa essere l’unica strada da intraprendere.

Per meglio comprendere i retroscena e le condizioni che hanno portato al 7 ottobre scorso e la scontata violenta reazione di Israele nei confronti dei palestinesi della striscia di Gaza, l’Unicollege di Mantova ha organizzato un seminario dal titolo “Israele e Palestina: tra nazionalismi contrapposti, identità religiose e crisi del diritto internazionale Pubblico” che ha visto tra i relatori il professor Daniele Trabucco intervenire su "Israele e Palestina: tra diritto internazionale e ragion di Stato" e l’avvocata e attivista di Amnesty International Lucrezia Boscari esporre in merito  a “La situazione dei diritti umani in Israele e nei territori occupati".

A moderare il seminario è stato l’avvocato Michele Borgato, docente di diritto dell'Unione Europea e diritto internazionale nell'istituto ad ordinamento universitario Unicollege di Mantova dal 2018. 

Dopo i saluti di rito e la presentazione dei relatori, il moderatore ha lasciato il microfono al Direttore dell’Istituto, Marco Federico Guarnieri, per fare gli onori al professor Trabucco, alla avvocata Boscari agli studenti, che in molti hanno inteso seguire il seminario, ma anche alla rappresentante locale di Amnesty International e i rappresentanti di Gazzettadellemilia.it, dal manager Mario Vacca redattore di contenuti economici e di impresa e chiamato a introdurre il seminario, e il direttore Lamberto Colla che ha tirato le conclusioni dell’evento.

La frase banale del giorno: “la guerra è molto redditizia”. Così ha esordito Mario Vacca “Lo sappiamo bene tutti, prosegue il manager. ma a trasformare la banalità in un enorme business furono già i Rothschild, nota famiglia di banchieri originari di Francoforte che, con il finanziare guerre, arrivarono a creare un impero.

La guerra tra Russia ed Ucraina è in stallo, molti Paesi hanno iniziato a rallentare i  finanziamenti, gli stessi Stati Uniti sono divisi al riguardo, ed ecco che magicamente inizia un conflitto in un’altra area del mondo, che non è semplicemente un conflitto tra due realtà di credo diverso, ma tra un sistema che fonda il suo potere sulla salvaguardia di alcuni valori ed un altro sul prestito del denaro, della finanza, etc, di quello che chiamiamo del “mondo moderno”.

Comunque sia questa guerra sarà diversa da quelle affrontate negli anni precedenti perché a differenza delle precedenti rischia di sfociare in una guerra regionale in grado di coinvolgere l’Iran, la Siria, il Libano e gli Stati Uniti, e di allargarsi ulteriormente con strascichi di lungo periodo difficili da prevedere. L’allargamento regionale del conflitto, da un punto di vista razionale in realtà non è auspicato da nessuno, in primo luogo da Hezbollah e dal Libano a causa del rischio di implosione economica e sociale dello stato libanese, con il rischio di una nuova guerra civile. 

Ma neanche l’Iran vuole dare il via a un’escalation che allarghi il conflitto. Ma da un punto di vista emotivo c’è sempre il rischio che le parti siano spinte o si lascino trascinare verso una crescente partecipazione alla guerra contro Israele e questo rappresenterebbe un punto di non ritorno che determinerebbe la ridefinizione violenta degli equilibri dell’intero vicino e medioriente.

Il problema è che molti Paesi ben conoscono la strategia del nemico ufficiale, in quanto invasore. Un artificio che attraverso la genesi di un conflitto tra due parti, ottiene altri e ben più importanti risultati coinvolgendo molti più attori, dietro un’aurea di guerra di liberazione, vale a dire la propaganda della guerra umanitaria.

Ma come si fa a definire una guerra umanitaria? 

Ne parliamo oggi con i due già noti relatori, il Prof. Daniele Trabucco e l’avv. Lucrezia Boscari.” 

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E ora il seminario entra nel cuore delle problematiche e per fare chiarezza, il professor Trabucco svolge la sua relazione a partire dalla etimologia delle parole che identificano la “Palestina” per proseguire sulle dominazioni che si sono susseguite ripercorrendo i fatti a partire dal 1517. 

Dal punto di vista geografico “Palestina” – introduce Daniele Trabucco - fa riferimento ad una regione tra il mar Mediterraneo e il fiume Giordano. In ebraico biblico “Palestheth” , la terra dei Filistei, sostituita in ebraico moderno in “EretzIsrael” (terra di Israele) e “Medinat Israel” (Stato di Israele). “Syria Palestina” era invece la denominazione romana utilizzata nel 135 a.c. dall’imperatore Adriano che sostituiva quello di “Iudaea” (Giudea), ma includeva anche la “Samaria”, la Galilea e la Perea etc…

Entrando nella narrazione dei fatti storici, il professore Trabucco, ricorda la data del 1.517, anno nel quale l’area venne sottratta ai “mammelucchi” da parte del Sultano Selim I (Ottomano)  e venne mantenuta sino agli inizi del ‘900 come parte integrante dell’Impero Ottomano. “Una dominazione, sottolinea Trabucco, che era indifferente alle diverse identità culturali, richiedendo il pagamento dei tributi ed una fedeltà alle istituzioni centrali. All’inizio dell’800 vivevano mezzo milione di persone: la maggior parte mussulmani e in lingua araba, 60.000 appartenenti alle diverse confessioni cristiane, 20.000 agli ebrei, 10.000 agli europei ed un numero variabile di funzionari e militari.”

Una esigua presenza di ebrei in quanto, a detta del relatore, determinata dalle due diaspore del 66 d.c. – 70.d.c. (Tito entrò a Gerusalemme e distrusse il Tempio) e della rivolta di Bar Kokhba del 135 d.c., occasioni che segnarono la seconda diaspora che seguì una prima nell’VII-VI secolo a.C. con le invasioni di Assiri e Babilonesi. “Dopo la vittoria, Adriano trasformò Gerusalemme in “Aelia Capitolina” e Cassio Dione, nella sua “Storia Romana”, parla di 580.000 morti.”

Gli ottomani tennero il governo sino al 1918 e il territorio lo divisero in tre “sangiaccati”, ovvero le unità amministrative in cui avevano diviso l’impero:

1.     Nablus;

2.     Akko;

3.     Gerusalemme.

E’ nel 1918, con la fine della prima guerra mondiale e il disfacimento dell’Impero Ottomano, che la Palestina entra nel mandato Britannico che consentì il governo della Palestina dal 1921 al 1948. Un mandato conferito dalla Società delle Nazioni, il precursore dell’ONU.

Daniele Trabucco, quindi si sofferma a illustrare i vari momenti, a partire dal 1881, nei quali gli Ebrei ripresero a più riprese a impossessarsi dei loro territori di origine. Un ripopolamento che continuò anche durante il mandato Britannico e sostenuto dai movimenti di sionismo revisionista che provocarono tumulti e al contempo si faceva strada un nazionalismo palestinese. 

La crisi del ’29, sottolinea Trabucco, si fa sentire in modo differente dalle due comunità e molti palestinesi persero i loro terreni a favore della comunità ebraica che li acquistò a prezzi modici. Tra il 1936-1939 la grande sollevazione, che prende origine dall’uccisione di un ebreo a Nablus, porta a parlare per la prima volta di divisione del territorio in due comunità nazionali.

E’ con il ritiro delle truppe britanniche nel 1948 che la situazione diventa esplosiva, anche per il fatto che i britannici fecero promesse a tutti; agli ebrei, ai palestinesi e ai francesi. In quel momento gli ebrei erano il 30% della popolazione e possedevano il 7% dei territori. La risoluzione ONU 181/1947 prevedeva che il territorio venisse diviso in tre parti, uno stato ebraico, uno palestinese e Gerusalemme amministrata dai Francesi. Ma ecco che “tra il 14 il 15 maggio 1948 Ben Gurion, capo del Governo ombra sionista proclama l’indipendenza dello Stato di Israele – prosegue Trabucco – ma la Lega araba, che non aveva accettato la risoluzione ONU, scatena una guerra contro Israele che annesse gran parte dei territori che la risoluzione ONU intendeva attribuire ai Palestinesi. Eccezioni Cisgiordania e Gaza occupati da Egitto e Lega Araba. Con gli armistizi del 1949 ci si ritrovò in un unico Stato impegnato a difendere la linea verde. La risoluzione ONU 194/48 che prevedeva la demilitarizzazione di Gerusalemme e la restituzione dei bene e delle proprietà dei rifugiati Palestinesi rimase inattuata.”

E’ la NAKBA, la grande catastrofe per il popolo palestinese con l’esilio dei rifugiati nei campi profughi palestinesi che divenne permanente.

Varie guerre dal 1957 interessano i due fronti contrapposti.

 

Nel 1974 che nasce l’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) che viene ammessa come osservatore all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e nel 2000 l’ANP (Autorità Nazionale Palestinese, dichiara Gerusalemme est la sua capitale.

Nel 1987 scoppia la prima intifada e comincia a manifestarsi Hamas, che inizia a erodere consenso a ANP.

Uno Stato Palestinese non nacque con tradimento degli accordi di Oslo del 1993, occasione che vide la stretta di mano tra Arafat e Rabin, accordandosi per il riconoscimento dello Stato di Israele e l’OLP rappresentante del popolo palestinese e Israele si sarebbe ritirato  da Gaza e dall’area di Gerico in Cisgiordania che invece sarebbero state amministrate da un governo ad interim ANP per 5 anni.

Così dal 2000 al 2005 scoppiò una seconda intifada e nel 2002 venne eretto un muro in terra palestinese di Cisgiordania per la separazione da Israele.

Nel 2006 Hamas diventa il primo partito nel consiglio legislativo ANP, Fatah il secondo che viene espulso dai territori di Gaza con blocco terrestre, marittimo e aereo di Israele.

Siamo ormai ai tempi odierni e nel 2011 Abbas chiede che la Palestina entri nell’ONU come Stato Membro, con esito positivo con la risoluzione n. 67/2012, alla quale fece seguito la risoluzione 2334/2016 per porre fine alla politica di Israele nei territori occupati.

Siamo arrivati quindi al 7 ottobre 2023 con tutto quello che ne è seguito, conclude Trabucco, ma bisogna giungere a una soluzione pacifica del conflitto, ripartendo dalla prima risoluzione ONU. Voglio concludere con la frase di Papa Pio XII che nel 1939, alla vigilia della seconda guerra mondiale, dichiarò: “Tutto è perduto con la Guerra, nulla è perduto con la Pace”.

Con L’”Apartheid di Israele” attacca la sua relazione l’avvocata Lucrezia Boscari di Amnesty International. 

Per far comprendere quale possa essere la mentalità sionista, richiama l’attenzione su una comunicazione che lo stesso primo Ministro israeliano fece nel 2019: 

Israele non è lo stato di tutti i suoi cittadini… [ma piuttosto] lo stato-nazione del popolo ebraico e solo il loro”

Una introduzione utile a sottolineare quanto tragica sia la situazione dei diritti umani in Israele che Amnesty Interational ha documentato..

Nel 1948 i palestinesi costituivano circa il 70% della popolazione della Palestina e possedevano il 90% della terra come proprietà privata. Gli ebrei, molti dei quali emigrati dall’Europa, costituivano il 30% della popolazione e loro e le istituzioni ebraiche possedevano il 6,5% della terra.

“C’è un blocco totale di Israele sulla striscia di Gaza, incalza Lucrezia Boscari, una vera e propria apartheid di Israele nei confronti dei palestinesi”.

Infatti, si definisce “crimine contro l’umanità di apartheid, ai sensi della Convenzione sull’apartheid, dello Statuto di Roma e del diritto internazionale consuetudinario, viene commesso quando un atto disumano viene perpetrato nel contesto di un regime istituzionalizzato di oppressione sistematica e dominio da parte di un gruppo razziale rispetto a un altro, con l’intento di mantenere quel sistema”.

A partire dal ’48 Israele ha perseguito la frammentazione del territorio e gli ebrei hanno continuato a erodere aree sino a arrivare alle enclavi attuali”, continua la rappresentante di Amnesty International, che successivamente passa a illustrare le restrizioni alle quali sono sottoposti i palestinesi a partire dai 4 documenti di identificazione di cui sono in possesso ognuno dei quali garatisce specifici e limitati lasciapassare.

Gli ebrei israeliani hanno – prosegue l’avvocata Lucrezia Boscari - una unica carta di identità, quindi uno status che garantisce di vivere ovunque, spostarsi, avere accesso al servizio sanitario e a ampie risorse. I palestinesi, d’altro canto hanno quattro carte di identità diversificate in base alle aree geografiche e ai livelli di diritti garantiti e di dove possono andare o meno. Con la Green Card si è sottoposti alla legge marziale, Se la Green Card è legata alla striscia si Gaza, si è intrappolati in una prigione a cielo aperto di 365 Km2 e sotto il blocco militare israeliano risalente al 2007. Israele controlla quello che entra e quello che esce, dai giocattoli alle forniture mediche. Il 90% della popolazione non ha l’accesso all’acqua potabile sicura, il 47% è disoccupato, il 56% è in stato di povertà assoluta. A questi palestinesi è vietato andare a Gerusalemme e in Cisgiordania, anche se ci vivono dei familiari. Se la Green Card ha un indirizzo Cisgiordano, vuol dire che ci abita e può vivere nelle enclavi, circondate da insediamenti israeliani illegali. Intorno ci sono muri di recinzioni costruiti dopo il 2002 che i palestinesi chiamano il “muro dell’apartheid”. Il muro è alto 8 metri e lungo 700 km, due volte più alto del muto di Berlino e oltre 4 volte più lungo. E’ stato costruito per il 80% su territorio cisgiordano e all’interno ci sono strade adibite a ebrei e altre ai palestinesi. Centinaia sono i Check Point sparsi ovunque. I Palestinesi con green card cisgiordana possono andare a Gaza e a Gerusalemme est, solo se ricevono il permesso dell’esercito. Il documento “Blue” è invece riservato ai palestinesi di Gerusalemme est e possono andare nella Cisgiordania occupata e in Israele, ma non sono cittadini di Israele, hanno solo lo status di residenti. Questo comporta che non possono votare e nel caso dovessero lasciare Gerusalemme est per un periodo lungo, per lavoro o per studio, la residenza potrebbe essere ritirata e non potrebbero più fare rientro. Dal 1967 Israele ha revocato lo status di residenti a 14.600 palestinesi. Infine ci sono i palestinesi cittadini di Israele. Questi dal 1948 le hanno viste tutte in materia di pulizia etnica. Hanno la cittadinanza ma non avranno mai la nazionalità e quindi l’uguaglianza, a patto che non si convertano all’ebraismo, ma la legge lo vieta. Possono candidarsi per le elezioni ma le disuguaglianze non sono mai state eliminate, nemmeno se eletti in parlamento. Come tutto ciò non bastasse, nel 2002 Israele ha vietato i ricongiungimenti familiari. Israele ha reso pressoché impossibile per i palestinesi ottenere delle licenze edilizie costringendoli a costruire senza permessi e sotto la costante minaccia di abbattimento. Attualmente sono 150.000 i palestinesi che hanno questa spada di Damocle che incombe sulle loro abitazioni”.

Insomma un sistema strutturato per mantenere un alto tasso di apartheid e emarginazione dei palestinesi con violazioni dei diritti umani che Amnesty International ha documentato per decenni. Tra settembre 2000 e febbraio 2017 sono stati 4.868 i palestinesi uccisi al di fuori dei conflitti armati e di questi 1.793 erano minori, inoltre non risulta che alcun militare israeliano sia stato condannato per aver ucciso un palestinese.

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Quello documentato e descritto dall’avvocata Boscari, è una tragedia immane che in occidente viene altamente smorzata e edulcorata. Per tale motivo viene sollecitato un approfondimento sul sito di Amnesty International.

“Pensavo di portare informazioni inquietanti, interviene Lamberto Colla chiamato a concludere i lavori da parte del moderatore, ma quello che abbiamo sentito dalla avvocata Lucrezia Boscari è stato per certi versi terrificante. E’ mia intenzione portarvi alcune considerazioni da uomo della strada e da osservatore, in ragione della professione giornalistica che mi portano troppo spesso a interrogarmi, con dubbi sempre più frequenti, che mi sorgono ascoltando l’informazione mainstream, monocorda, su tutte le reti nazionalii. Una sorta di informazione a reti unificate, un tempo relegate a importanti dichiarazioni del Presidente della Repubblica, che ha preso il sopravvento dal 2020 con l’avvento della pandemia, poi perfezionata con la guerra in ucraina e proseguita con il conflitto Israelo Palestinese. Quasi ci fosse uno spartito distribuito a tutto il mondo dove spesso la fonte più autorevole proviene dai “Servizi Segreti” americani i quali, a quanto pare, sono divenuto una “Agenzia Giornalistica” indipendente.  Ma caliamoci sul caso Israelo Palestinese.

Un ingarbugliamento che da settant’anni lascia col fiato sospeso tutto il fronte Oriente/Occidente, Cristiano/Musulmano. Sarà frutto di casualità ma  tutte le volte che si sta per giungere a un accordo duraturo, ecco che qualcosa accade per far arretrare l’orologio della storia di tutto il tempo sin lì guadagnato. 

Così è stato con gli accordi presi con Yasser Arafat e l’organizzazione Al Fatah attraverso la famosa stretta di mano con Yitzhak Rabin  sul prato della Casa Bianca, il 13 settembre 1993.” 

Una stretta di mano che nel 1994 valse a Rabin il Premio Nobel per la pace insieme al rivale politico di lunga data Shimon Peres e al leader palestinese Yasser Arafat. Rabin ha anche firmato un trattato di pace con la Giordania nel 1994.

Tutto questo è servito per rafforzare Al Fatah e l’ANP ma questo ha cominciato a intimorire Israele orientando i loro favori verso  Hamas, che venne eletto a Gaza “sconfiggendo” l’OLP (ANP), che oggi si limita a controllare, come ANP, un pezzetto minimale della Cisgiordania.

“Insomma, sottolinea Lamberto Colla, potrebbe sembrare che Hamas, inizialmente, fosse un utile strumento per attenuare la popolarità dell’ANP. Una certa complicità israeliana la si può perfettamente identificare nella apertura di consistenti flussi di denaro verso Gaza. Hamas è stata infatti foraggiata con ben 1,5 miliardi di dollari all’anno provenienti dal Qatar. E se questo appare già strano e incomprensibile, altrettanto appare incomprensibile che il potente Mossad non si accorgesse dei preparativi e degli addestramenti che si esercitavano entro la striscia di Gaza, mentre  l’assalto del 7 ottobre era invece stato previsto da analisti esterni ai quali l’intelligence israeliana non aveva inteso dare credito.

Infatti, Yigal Carmon, analista e ex 007, ha dichiarato che a settembre aveva avvertito che Hamas si stava esercitando per un attacco in Israele, trasmettendo persino delle testimonianze video delle esercitazioni. Ma il governo di Benjamin Netanyahu non gli ha creduto certi che gli “arricchimenti" anche personali dei vertici di Hamas tenessero soffocate le volontà di ribellione. «La sua idea da almeno dieci anni - riporta il corriere.it nell’intervista a Carmon -  era di lasciare che i vertici di Hamas ricevessero denaro dal Qatar e si arricchissero o almeno si concentrassero sul dominio di Gaza. Netanyahu aveva dato chiare indicazioni di non ostacolare il flusso di fondi del Qatar a Gaza e poi, apertamente, a Hamas stessa. Lo ha dichiarato lui stesso in incontri di partito. Il premier aveva persino fatto dire da Herzi Halevi quando era a capo del comando Sud dell’esercito israeliano - oggi è capo di stato maggiore - che quei finanziamenti andavano bene».

Stranezze che lasciano aperto il campo a fantasie complottiste, proprio per l’irragionevolezza delle azioni.

Così come irragionevole e sproporzionata è stata la reazione, ancora in corso, dell’esercito israeliano a seguito della carneficina dei miliziani di Hamas a danno di 1.400 inermi civili ebrei.

“Ai 1400 israeliani trucidati da Hamas, - continua il direttore della Gazzettadellemilia.it, si contrappongono i 18.000 (dei quali 7.000 bambini) palestinesi uccisi nella controffensiva israeliana. Una proporzione adeguata o dovremo assistere a un genocidio? Benjamin Netanyahu ha dichiarato che “non sono riusciti a limitare le morti dei civili”, come se questo fosse giustificabile e rientrasse legittimamente nei “miserrimi” danni collaterali derivanti dal diritto alla difesa. "Cercheremo di portare a termine il lavoro con perdite civili minime. Questo è ciò che stiamo cercando di fare: ridurre al minimo le vittime civili. Ma sfortunatamente non ci siamo riusciti” - queste le parole del premier israeliano.

Quel “sfortunatamente” è alquanto imbarazzante perché sottintende che quei 18.000 civili palestinesi sono deceduti per la causa israeliana e altri “sfortunatamente” moriranno per la causa ebrea.”

Sono numeri che anche i più cinici e pragmatici non possono restare indifferenti.

Purtroppo, ricalca Lamberto Colla, Israele gode della protezione Usa dove ben 10 componenti del governo Biden sono ebrei (da Blinken al capo dei servizi e della Finanza per esempio), nonostante solo il 2% della popolazione statunitense sia d’origine ebraica. Un supporto che in sede ONU consente di bloccare, attraverso l’esercizio del veto, ogni iniziativa contraria allo stato della Stella di David. Ma l’influenza ebraica si intreccia fortemente anche nella questione ucraina. Come ha riportato Claudio Mutti – direttore di Eurasia rivista di Geopolitica - in una intervista al nostro giornale, lo stesso Volodymyr Zelensky, nato da genitori ebrei diventati recentemente cittadini israeliani, il 5 aprile 2022 ha prefigurato il futuro dell’Ucraina dichiarando in una conferenza stampa che il paese dovrà conformarsi al modello israeliano. L’Ucraina, ha detto, “sarà più simile allo Stato ebraico che all’Europa occidentale”; anzi, essa dovrà diventare un “Grande Israele”, dove la società sarà altamente militarizzata e le forze armate saranno coinvolte in tutte le istituzioni. D’altronde già adesso, ha osservato “Forbes”, “le analogie con Israele sono moltissime (…) Alcune di queste sono state analizzate dal think tank Atlantic Council e da numerosi analisti”.

Sinceramente, conclude Lamberto Colla, non mi sentirei molto tranquillo ad avere una nazione europea (la più ampia per estensione) altamente militarizzata e per di più confinante con la federazione Russa. Se così dovesse andare, prepariamoci al peggio, pur senza pensare a un conflitto atomico.

 In coda all’evento molte e qualificate domande sono giunte dal pubblico e dai numerosi studenti che hanno partecipato al seminari Unicollege

Link:

https://www.gazzettadellemilia.it/politica

 Sistema delle carte di identità  al Min 6,44 del video: https://youtu.be/8LarxvtHZqM