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Guerra in Ucraina, Moni Ovadia: “Trattativa senza precondizioni è l’unica chance per la pace” In evidenza

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Di Giulia Bertotto Roma, 1 luglio 2023 (Quotidianoweb.it) - Salomone Ovadia, per gli amici e gli avversari Moni, attore, cantante, scrittore e attivista per la pace e i diritti umani.

Di famiglia ebrea sefardita ha svolto un prezioso lavoro per recuperare e vivificare il patrimonio artistico e musicale del popolo ebraico, origine di cui è genuinamente fiero. Una lunga carriera nel cinema e nel teatro, diversi premi e riconoscimenti ricevuti per l’intensa attività intellettuale e artistica, e soprattutto coraggio da vendere.

Partiamo dalla guerra che infuoca l’Europa. Pochi giorni fa in piazza dell’Immacolata a Roma ha affermato che l’unica possibilità di pace tra Russia e Ucraina, quest’ultima orientata e aizzata dalla NATO, è quella di una trattativa senza precondizioni, poi si discuterà delle repubbliche contese a est. Ci spiega meglio?

Volere la vittoria militare su un paese che ha più di seimila testate nucleari significa volere il suicidio. Serve ad arricchire i mercenari delle armi, soprattutto statunitensi, per risollevarsi da uno spaventoso debito pubblico e ad indebolire la sovranità europea. Per Putin tornare indietro da questa operazione messa in piedi vorrebbe dire la fine della sua stagione di governo, non può perdere.

Tutti gli stati che rivendicano la propria sicurezza vengono sostenuti mentre la Russia, che invece si è trovata armi occidentali alle natiche, viene demonizzata. Se la Russia pone in atto un programma di sicurezza è criminale e folle mentre gli Usa sono l’unico stato al mondo a dispiegare armi a 12 mila chilometri dai propri confini. Se una cosa del genere l’avesse fatta Putin, magari mandando missili in Venezuela, saremmo già nei rifugi antiatomici!

Quando è stato sciolto il Patto di Varsavia, anche la NATO doveva sciogliersi, invece quest’ultima non ha fatto altro che provocare la Russia con esercitazioni, espandersi verso est, creare disordini nei paesi della sua area di influenza, per affermare invece la propria egemonia in quella zona. Non sto dicendo che l’Ucraina debba accettare le condizioni della Russia, ma che almeno le condizioni di Mosca vengano ascoltate al tavolo dei negoziati.

Io sto con il popolo ucraino, non con le sue classi governative, ho ospitato per sei mesi tre profughi ucraini. I siriani però non me li hanno mica fatti accogliere. Hanno la pelle scura e quindi li hanno chiusi nei lager della Turchia: questo è l’Occidente, razzista, imperialista e colonialista.

Consiglio il saggio di Benjamin Abelow: “Come l’Occidente ha provocato la guerra in Ucraina”.

Cosa si deve fare per iniziare un processo diplomatico di pace?

La prima cosa è di ordine politico e non militare: che l’Occidente si apra al fare ammenda. Mi guardo bene dall’affermare che Putin sia un santo ma qui nessuno lo è e dobbiamo iniziare a fare autocritica costruttiva se non vogliamo la guerra permanente. Occorre una conferenza internazionale con la partecipazione dei BRICS, ma anche di Pechino e del Vaticano, il quale sta facendo un ottimo lavoro di mediazione.

Anche sulla questione palestinese ha ribadito che c’è un’unica soluzione: “Gli israeliani stanno sottoponendo ad occupazione dal 1948, mentendo spudoratamente sui due popoli due stati e così hanno sistematicamente schiacciato questa popolazione. E lo hanno fatto in modo da rendere impossibile qualsiasi soluzione che concepisse due popoli e due stati. Ma servono uno stato e due popoli, non c’è altra soluzione possibile”.

Non si può chiedere ad un popolo l’esilio. L’esilio è una condizione culturale, sociale, economica e spirituale che si deve scegliere. Le terre palestinesi e la dignità nazionale di questo popolo deve essere innanzitutto riconosciuta, poi da lì si procederà alla divisione del suolo. La Carta universale dei diritti dell’uomo è stata sottoscritta da 190 paesi e contiene già tutte le regole per la convivenza tra i popoli ma ci si guarda bene dall’applicarla. Basterebbe il 1° articolo: tutti gli uomini nascono uguali e liberi, pari in dignità e diritti. Ma si sa, fatta la legge trovato l’inganno...

Lei ha affermato: “La cosa più terribile è il vittimismo che usa il dominio israeliano, perché è la tecnica che usavano i nazisti quando affermavano: noi non vorremmo eliminare gli ebrei, ma dobbiamo farlo perché altrimenti saranno loro a distruggere noi. Vittimismo per legittimare il tuo crimine, questo fa schifo”.

E’ sempre lo stesso infame meccanismo: le forze capaci di imporsi raccontano al mondo di doverlo fare per ragioni umanitarie, si vestono sempre del pretesto di portatori di civiltà: massacrano gli iracheni per la democrazia, massacrano gli afgani contro il terrorismo, i serbi per la pace nei balcani.

Ci sono tre risoluzioni della comunità internazionale che legittimano tutto ciò che chiede il popolo palestinese. La numero 194; il diritto dei profughi cacciati dalle loro case a tornarci, la 242 espressa nel 1967, la 338 del 1972. Israele si deve ritirare sulla linea verde (confine pre-1967). La verità è che se ne fottono!

Tra i suoi dischi c’è Oltre i confini - ebrei e zingari, con Moni Ovadia Stage Orchestra, Promo Music Records/Edel, del 2011. E’ davvero surreale la condizione in cui ancora sono costrette le famiglie di origine rom e sinti in Italia. L’integrazione è fallita con la sedicente sinistra ed è fallita con la destra.

Per quasi duemila anni i rom hanno condiviso lo stesso destino degli ebrei: emarginati, calunniati e perseguitati. Dopo la Seconda guerra mondiale le cose sono cambiate per gli ebrei, che sono entrati nel salotto dei vincitori, ossia hanno avuto una loro terra. E quando si ha una terra si possiede un esercito.  Per i rom la condizione è rimasta la stessa, non hanno uno stato dove radicarsi e un esercito per difendersi o attaccare. Se noi vivessimo in un mondo nel quale la legalità internazionale conta noi rispetteremmo il loro modo di abitare la terra anche se diverso dal nostro.

Oltre ai profitti per la criminalità organizzata la questione rom è molto utile a quelle forze di destra che usano lo spauracchio del rom ladro e rom sporco per spostare l’attenzione dai veri nemici della struttura sociale. La maggior parte dei rom e sinti in Italia vive nelle case e non nei campi. Credo anche che per molti popoli la vitalità dei rom sia fonte di invidia e destabilizzazione: la resistenza alle avversità e la creatività della cultura rom è davvero peculiare. I rom sanno vivere la vita e sentirla, noi la rincorriamo. Noi esseri umani siamo uguali nei diritti fondamentali, ma diversi nel modo di approcciare all’esistenza. Questo vale anche per l’alterità individuale. Nessuno è come te e o come me. Ed è meraviglioso.

Ognuno è “rom” o “ebreo” per qualcun altro insomma...

Sì! Io sono comunista e non sono liberista ma c’è un detto molto bello del liberalismo (liberalismo attenzione!) che dice: vivi e lascia vivere.

In ogni caso integrazione non significa imporre il nostro modo di abitare ma trovare una formula che soddisfi il più possibile le reciproche esigenze. Anche qui, i modi per risolvere la questione sono quasi a portata di mano ma manca la volontà. Manca la volontà e serve un capro espiatorio. E’ sempre stato così.

E’ davvero frustrante accorgersi che, come diceva Hegel, “l’unica cosa che l’uomo ha imparato dalla storia è che l’uomo dalla storia non ha imparato niente”.

L’uomo è una creatura paradossale, così stupida e geniale insieme. Sono molto pessimista verso il futuro dell’umanità. Può sembrare egoista o cinico ma confesso, sono sollevato di non avere figli.

Nel 2007 lei compare nel docufilm Zero-Inchiesta sull’11 settembre, per la regia di Giulietto Chiesa e Franco Fracassi. Da quella data sono cambiate molte cose nel panorama politico internazionale, è stato un giorno spartiacque i cui effetti sono vividi ancor oggi. Cosa ha determinato e lasciato in Occidente e in Italia quella data?

Quella data ha mostrato il vero volto dell’Occidente. Gli americani hanno deciso che il modo di misurarsi con quell’evento fosse rispondere con un milione di morti. Invece di individuare i veri responsabili, hanno costruito impianti ideologici di guerra su presupposti falsi e hanno fatto pagare quel crimine a civili innocenti. Invece di chiedersi perché avevano suscitato tanto odio nelle popolazioni arabe -sempre ammesso che siano stati degli estremisti islamici a compiere l’attentato- hanno colto l’occasione per mostrare tutta la loro muscolatura bellica e la loro arroganza sovranazionale.

Lei si definisce comunista e al contempo ha una aspirazione soprannaturale. Come concilia questa dialettica?

Innanzitutto voglio ribadire che una cosa è l’ebraismo e un’altra il sionismo. La cultura ebraica e yiddish è così suggestiva e saggia perché non è una cultura nazionale ma una cultura di esilio. E’ una cultura itinerante, del cammino. Sono culture che io amo perché non si fondano sulla forza dell’appartenenza al territorio ma sulla fragilità del percorso, sull’incertezza del divenire.

L’ebraismo oltre a contare geni nella fisica come Einstein, nello studio dell’interiorità umana come Freud, tra i premi Nobel del Novecento di diverse discipline, possiede una brillante arte dell’ironia che ha reso spregiudicata la comicità statunitense e il suo cinema. Gran parte della letteratura americana è letteratura ebraico-americana.

Nell’universo yiddish c’è stato un grande movimento operaio, il primo partito operaio socialdemocratico e rivoluzionario, la Lega degli operai ebrei di Russia e Polonia, che ha prefigurato la lotta di classe, poi molti dei suoi esponenti sono confluiti tra i bolscevichi, menscevichi, anarchici.

L’impegno politico non cozza in alcun modo con il sentire spirituale.

Ci racconta un proverbio o una narrazione ebraica a cui è affezionato?

Un racconto chassidico che io amo, il chassidismo è un movimento pietistico del centro europa. Si intitola “Lode dell’ateismo”, e il bello è che viene dalla tradizione dei superortodossi.

Un grande maestro rabbino si spaccava la testa con questo dilemma: se Dio ha creato il mondo, ha creato anche tutto ciò che vi è dentro, e quindi anche l’ateismo. Perché creare l’ateismo? Un giorno gli si accende una lampadina. Perché anche l’ateismo insegna l’alterità e impone un compito di riconoscere l’altro. Se da te viene un uomo ammalato, perseguitato e povero e anche ateo tu non puoi dirgli «affidati a Dio e rimetti la tua pena a lui », tu devi farti carico di lui. Ecco, l’ateismo ha la funzione di responsabilizzarsi verso l’altro. Solo tu puoi assumere il dolore di chi non crede, ecco l’altissima utilità dell’ateismo. Dio chiede di saper anche essere atei.

Frase social: Intervista all’attore, attivista e custode di culture Moni Ovadia: dall’11 settembre alla guerra in Europa