Giovedì, 22 Giugno 2023 06:57

Diego Fusaro: “Berlusconi, simbolo italiano: dal capitalismo imprenditoriale alla sua sindrome di stoccolma” In evidenza

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Di Giulia Bertotto Roma, 21 giugno 2023 (Quotidianoweb.it)  - Diego Fusaro, filosofo controverso, saggista ferace, noto per i suoi neologismi colorati e coloriti, a soli 16 anni crea un sito sulla filosofia, Filosofico.net, che ancora gestisce, la sua tesi di laurea è uno studio su Karl Marx, con la quale si laurea presso L’Università di Torino. Dal 20 giugno 2015 cura un blog per Il fatto quotidiano.

Lo abbiamo intervistato per parlare di politica italiana e internazionale: di quella che tramonta con la scomparsa di Silvio Berlusconi e di quella futura, all’alba della Terza guerra mondiale.

Dottor Fusaro, ci offre un commento sulla scomparsa di Silvio Berlusconi, chi era e cosa ha rappresentato questa figura ingombrante, ironica, spesso imbarazzante e pittoresca?

A mio giudizio occorre evitare gli opposti dell’odio inferocito come del culto agiografico, che oggi stanno invece monopolizzando il paese. A mio giudizio Silvio Berlusconi ha rappresentato il sistema neoliberale in fase di assestamento con il passaggio dalla Seconda Repubblica negli anni ’90. Nel 2011, ormai superato dalla logica di un capitalismo tecnocratico, dei tecnici e non più degli imprenditori, è stato deposto con un colpo di stato finanziato da parte dell’Unione Europea. Quindi l’ex presidente ha rappresentato prima un certo tipo di sistema capitalistico imprenditoriale e poi un sistema capitalistico ormai superato, che contestava con le sue ultime forze quello di nuovo tipo. In seguito è tornato in pista ma vittima di una sindorme di Stoccolma che lo ha indotto ad amare i suoi carnefici, ossia le classi dominanti dell’Ue, che lo hanno simbolicamente decapitato nel 2011. E’ un po’ quello che sta succendo all’Italia stessa.

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Il suo ultimo saggio si intitola Demofobia. Destra e sinistra la finta alternanza e la volontà di schiacchiare il popolo: “La sinistra ha abdicato al suo ruolo di strumento di emancipazione globale; e, nei fatti, la destra cosiddetta sovranista non si cura minimamente del popolo sovrano. Siamo così passati dalla democrazia - il governo del popolo, nella dialettica delle sue articolazioni - alla demofobia: la paura del popolo da parte di chi gestisce monoliticamente il potere”.

Si tratta di un tentativo di ricategorizzare la situazione politica e sociale attuale andando al di là delle ormai logore categorie di Destra e Sinistra: entrambe infatti rappresentano gli interessi dell’alto, il capitalismo e la globalizzazione neoliberale. Il basso, composto dal popolo e dai lavoratori, dai ceti medi è invece irrappresentato, e subisce le aggressioni dell’alto e del suo dominio grazie alla finta alternanza elettorale tra sinistra neoliberale e destra neoliberale. Il vero conflitto che dobbiamo imparare a pensare non è orizzontale ma verticale: tra il dominio di pochi in alto e la sudditanza dei molti in basso. Il conflitto destra/sinistra è funzionale ad un pluralismo illusorio, ad una democrazia fittizia. Solo iniziando a pensare in modo verticale la questione sociale possiamo lavorare ad una emancipazione popolare.

Eppure per quanto riguarda i diritti civili possiamo definirla conservatore, ma per quanto riguarda i diritti sociali lei è rimasto un marxista.

Sì, mi considero tuttora un seguace di Marx e Gramsci, per questo sono un nemico giurato delle sinistre fucsia neoliberali non meno che delle destre bluette neoliberali. Il mio libro Demofobia si può definire veteromarxista in ambito economico e politico ma conservatore nei valori e nell’etica. Un libro tradizionalista e rivoluzionario al contempo, aspetti del mio pensiero che rivendico.

 Tuttavia anche l’antipolitica è una grave piaga sociale, un disfattismo comprensibile ma che favorisce il controllo e lo spadroneggiare delle élite mondialiste, le quali orientano i partiti e manipolano i media e la grande informazione.

Questa visione, filosoficamente si radica in un certo heideggerismo come quello diffuso da Umberto Galimberti, secondo il quale tutto è terribile ma non c’è nulla da fare, per cui bisogna fatalisticamente sopportare il mondo così com’è. A questa tesi, che ho analizzato in un mio libro dal titolo La notte del mondo io preferisco la tesi marxiana secondo cui il mondo può e deve essere trasformato, in quanto esito mai definitivo del nostro agire, quindi anche attraverso quella che Gramsci definiva egemonia culturale.

Inoltre oggi distinguerei attentamente l’antipolitica a cui lei fa riferimento dal populismo, quest’ultimo liquidato come una forma di qualunquismo ma che in in realtà rappresenta la richiesta di un ritorno della politica al suo compito a servizio della cittadinanza, diversa dalla tecnopolitica al servizio dei burocrati. L’antipolitica è invece coerente con il neoliberismo e con la sua idea di immutabilità; “There is no alternative” come disse la Tatcher.

Questi atteggiamenti comunque sono imputabili a vicende recenti come l’esperienza del Movimento 5 Stelle in Italia e di Podemos in Spagna, che hanno fatto perdere le sparanze di cambiamento dal basso. Il danno peggiore fatto dal Movimento 5 Stelle è proprio questo, lo spreco di un consenso politico e di una partecipazione intensa alla cosa pubblica, trasformata invece in disincanto e nichilismo politico.

Un danno tale che una persona molto sospettosa potrebbe quasi pensare ad un’operazione pilotata...

Io questo non so dirlo, se è stata voluta, ma credo proprio che sia stata utilizzata ad hoc in corso d’opera. La sorte di Podemos e del M5S è davvero molto simile se ci pensiamo bene, perché sono partiti come teorizzazioni al di là di destra e sinistra ma per il popolo per poi rifluire nel campo delle sinistre fucsia neoliberali.

E’ arrivata in aula il 19 giugno la proposta di legge che definisce l'utero in affitto (maternità surrogata) reato universale e che prevede la perseguibilità del cittadino italiano che all'estero ricorre a questa pratica. Il divieto è stato confermato nel 2017 dalla Corte costituzionale, la quale ha deliberato come la pratica di surrogazione «offend[a] in modo intollerabile la dignità della donna e min[i] nel profondo le relazioni umane».

Sono d’accordo con questo vincolo giuridico e aggiungerei che si parla molto della donna ma poco della dignità del nascituro, svilito a prodotto on demand. Ne avevo già discusso nel mio libro Il nuovo ordine erotico. Purtroppo temo però che avremo presto l’utero in affitto sdoganato: del resto la logica del capitale è quella di mercificare tutto, e di chiamarlo progresso.

Non si fa neppure in tempo a lottare contro l’utero in affitto che la tecnica lavora all’utero artificiale... si chiama chiama EctoLife, la prima struttura al mondo per l’utero artificiale, digitalmente controllato, ideato dal biotecnologo Hashem Al-Ghaili.

Quello che viene chiamato progresso è simile ad un’idra dalle cento teste; ne abbatti una e ne spuntano altre novantanove. Questo perché il progresso tecnico non è più sorvegliato e realizza la funesta previsione del grande filosofo Emanuele Severino, quando diceva che la tecnica è l’infinita produzione di fini, cerca quindi di creare nuovi fini per potenziare se stessa, contro ogni limite morale.

Parliamo ora di politica internazionale. Il 20 giugno Il ministro degli Esteri russo ha dichiarato riferendosi alla NATO: "Vogliono combattere. Bene, lasciamoli combattere. Siamo pronti per questo". Lavrov ha sottolineato che "per bocca" del segretario generale della Nato, Jens Stolteberg, Mosca sa che gli alleati dell'Ucraina "sono contrari al 'congelamento', come si suol dire, del conflitto in Ucraina".

Da diversi anni l’umanità non era in pericolo come oggi. Eppure è surreale, nonostante essa risulti dai sondaggi contraria all’interventismo bellico, l’opinione pubblica non sembra poi così allarmata.

Questo è un effetto tipico della società dello spettacolo di cui parlava già il filosofo francese Debord e che genera indifferenza, ottundimento delle sensazioni, tutto viene percepito come in un grande videogioco. L’opinione pubblica è tecnonarcotizzata e spesso non ha contezza di quanto accade. Siamo già nel Metaverso.

Secondo lei la guerra è inestinguibile dalla natura umana? E’ ontologicamente inseparabile quindi dalla dimensione mondana? Finché ci sarà l’umanità ci sarà anche la guerra?

Dipende da cosa intendiamo per “guerra”: se ci riferiamo al conflitto, la contraddizione e il divenire, essi sono inestinguibili perché sono parte della realtà stessa, come una lunga tradizione da Eraclito a Hegel ci insegna. Se invece per guerra intendiamo lo sforzo bellico e militare fino al nucleare, possiamo fare qualcosa. L’eliminazione del conflitto è impossibile, il superamento delle guerre è auspicabile con il suo disciplinamento, la sua normazione. La nostra stessa vita è fatta di pulsioni conflittuali, bisogni in contrasto. Eliminare la contraddizione significa togliere la vita. Eraclito diceva: “Il fuoco sempre vivo è fondamento di ogni cosa; deve vivere secondo giusta misura”. Questo deve essere il nostro obiettivo.

Non a caso Nicola Cusano parlava del superamento o unità degli opposti in Dio, una dimensione metafisica nella quale le conflittualità si annullano, gli estremi si identificano e il tempo e l’eterno si incontrano.

Certamente, al contrario della nostra realtà fenomenica, la quale secondo Hegel è contraddizione: lo scrive nell’Enciclopedia delle scienze filosofiche. Si può sobriamente prenderne atto e agire di conseguenza o irrealisticamente far finta di niente e immaginare un mondo senza ostilità. Ma così siamo destinati a fallire e chissà, ad estinguerci.