Domenica, 08 Dicembre 2024 06:42

“Emiliani Straordinari” Renzo Vergnani: “Nel calcio come nella vita, non esiste la diversità, ma solo le nostre unicità” In evidenza

Scritto da Guglielmo Mauti

Per celebrare la Giornata internazionale delle persone con disabilità, abbiamo incontrato l’allenatore modenese che ci racconta come è iniziata la sua avventura.

Di Guglielmo Mauti Modena, 8 dicembre 2024 -

“Tutto è cominciato grazie a Francesco Messori, che all’epoca aveva 8 anni”

Cosi inizia il racconto di Renzo Vergnani, oggi allenatore della Scuola Calcio inclusiva de “I Bimbi Sperduti” di San Prospero (MO) ma con una lunga esperienza nel calcio e, soprattutto, nel mondo della disabilità.

Renzo, fammi capire, è stato un bambino a ispirare la tua passione per questo mondo?

“In qualche modo si. Francesco all’epoca aveva solo 8 anni e nonostante la sua amputazione, voleva giocare a calcio. Ed io che ero già allenatore di ragazzi normodotati, pensai che fosse un’ottima idea! In quel periodo ero nel C.S.I. (Centro Sportivo Italiano) e grazie anche all’intervento del nostro Presidente Massimo Achini, Francesco iniziò a giocare in una squadra con compagni normodotati.

Poi, grazie ad una meticolosa ricerca su Facebook, Francesco contattò diversi ragazzi affetti dalla sua stessa disabilità per poter creare una vera e propria squadra.

In poco tempo, assieme a sua mamma e a Paolo Zarzana, la nazionale di calcio amputati divenne una realtà con Francesco come Capitano. La sua forza e la sua determinazione aiutarono me e altri adulti a sapere che si poteva fare!”

Poi cosa successe?

“La nostra squadra era itinerante, nel senso che ci allenavamo in città sempre diverse. E la mia attività era frenetica: oltre ad allenare, mi occupavo di cercare gli sponsor, di coordinare gli atleti, di andare a vedere i campi da gioco e di organizzare gli eventi. Insomma, ero sempre in giro e al telefono! (ride).

Ma non finisce qui. Quando Francesco divenne dodicenne espresse il desiderio di partecipare ai Mondiali e da lì a breve ci muovemmo per partecipare all’edizione che si svolse in Messico.

Dopo otto anni lasciai il C.S.I. per approdare alla FISPES (Federazione Italiana Sport paralimpici e sperimentali), con la quale organizzammo l’ EAFF (European Amputee Football Championship), un vero e proprio Europeo con le nazionali di tutto il Continente.

Successivamente riuscimmo a creare quattro squadre di club che si incontravano in un campionato italiano e, di conseguenza, una Champions League europea.

Un altro capitolo importante di questo percorso fu quando andai a vedere in Irlanda il loro Junior Camp Europeo di 40 ragazzi disabili, e da lì nacque l’idea di organizzarne uno anche in Italia. Il progetto ottenne un grande riscontro, visto che riuscimmo a radunare oltre 80 atleti provenienti dai quattro angoli del nostro continente.

Renzo-Vergnani--scaled_1.jpegQuindi possiamo dire che tu sei stato il padre di tutto?

“No, non mi piace attribuirmi questo ruolo. A me piace creare da zero situazioni nuove per raccoglierne i frutti. Come ti dicevo la spinta è stata di Francesco ma è stato un lavoro di squadra. Senza partner non vai da nessuna parte!”

Partner?

Si intendo una rete di persone che collaborano per lo stesso progetto, ma non solo. Per iniziative come queste giocano un ruolo fondamentale anche gli sponsor che ci permettono di sostenere i costi delle nostre attività e aumentare il numero dei raduni.

Poi sono arrivati i Bimbi sperduti….

“Si, dopo la mia esperienza in Fispes ho incontrato Gianluca Ciuffreda e Marco Gelati che avevano fondato questa scuola calcio dopo il terremoto, con la chiara intenzione di far giocare tutti senza esclusioni: Ho proposto loro di aprire una sezione per atleti disabili e loro hanno accettato subito, senza pensarci un attimo.”

Fammi fare una provocazione: chi te lo ha fatto fare?

“A me è sempre piaciuto allenare, lo faccio da sempre. E ho sempre fatto giocare tutti, senza escludere nessuno, bravi e meno bravi, talentati e non.  Quindi ho pensato: le persone con disabilità devono poter giocare a calcio! E così grazie anche alle “spinte” di Sara (la sua compagna, ndr), Elena, Francesco, Gianluca e Marco abbiamo iniziato questa nuova avventura, partendo da zero e arrivando, in soli due anni, a oltre 30 atleti tra amputati e cerebrolesi.”

Cosa consiglieresti a chi vuole iniziare ad allenare?

“Alle nuove leve direi di partire dalla formazione: la disabilità dovrebbe essere un argomento fondamentale già nei corsi per diventare allenatori”

Qual è il tuo sogno, dietro a tutte queste fatiche?

“Sono due. Il primo è che queste ragazze e ragazzi possano un giorno giocare con i loro coetanei normodotati senza farsi problemi.

Il secondo è che questi atleti possano trovare nelle loro città delle scuole calcio che li includano nel gioco e negli allenamenti al di là dei nostri raduni annuali. Perché per me non esistono diversità, ma solo le loro unicità!”.

 

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