Una vittoria che, pur netta nella fotografia dei numeri, non può essere scambiata per un trionfo politico. Il dato si inscrive in un contesto più ampio, nel quale il sistema politico marchigiano e indirettamente nazionale appare segnato da logoramenti interni, incapacità di rappresentanza e, soprattutto, da un’affluenza che si ferma al 50,01 %, con quasi dieci punti in meno rispetto al 2020.
Il calo è la spia più eloquente di un processo di erosione delle appartenenze: quasi metà dell’elettorato ha scelto deliberatamente di non esprimere alcuna preferenza, interpretando il voto come inutile o privo di reale incidenza sul governo della Regione.
La comparazione con i risultati precedenti permette di comprendere la traiettoria. Nelle regionali del 2020 Acquaroli aveva vinto con il 49,1 %, il centrosinistra si era fermato al 37,3 % e il Movimento 5 Stelle all’8,6 %. Alle politiche del 2022, nella quota proporzionale, il centrodestra aveva raccolto il 44,6 % e il centrosinistra appena il 26,7 %. Alle europee del 2024 Fratelli d’Italia aveva toccato quasi il 33 %, il Pd il 25,5 % e la Lega l’8,1 %.
Oggi, i numeri confermano un assestamento: Fratelli d’Italia resta la locomotiva del centrodestra con il 27,4 %, mentre la Lega precipita al 7,37% (nel 2020 era al 22,38% e aveva un suo candidato), segnando la propria irrilevanza. Il dato della Lega merita attenzione particolare. La parabola salviniana, un tempo motore identitario della destra italiana, si arresta qui in modo drammatico. Dal 2020 a oggi il partito ha perso due terzi del suo elettorato marchigiano: una débâcle che testimonia il venir meno non solo del richiamo personale del leader, ma anche della capacità di presentarsi come interlocutore credibile per le realtà produttive e locali. Nelle Marche, dove il tessuto economico è fatto di piccole e medie imprese, il messaggio leghista non intercetta più le domande concrete e si riduce a un simulacro ideologico privo di presa. È questo il dato peggiore delle elezioni, quello che trasforma la Lega da alleato a zavorra per la coalizione di governo.
Fratelli d’Italia, pur rimanendo il primo partito e incrementando il proprio peso elettorale rispetto all'ultima tornata regionale (passando dal 18,66 % al 27,41 %), non ottiene un vero scarto in avanti. Se alle europee aveva sfiorato il 33 %, ora si ferma sotto il 28 %. Si tratta di un calo relativo, che segnala una dinamica di saturazione: nelle Marche il partito di Giorgia Meloni non riesce a espandere ulteriormente la sua base elettorale, limitandosi a conservarla. È una vittoria "di posizione" più che di slancio, che cela un rischio: la concentrazione della forza nella sola Fratelli d’Italia non solo accentua gli squilibri interni alla coalizione, ma rende il governo regionale dipendente da un unico soggetto politico, fragile dinanzi a possibili oscillazioni di consenso.
Sul fronte opposto, il Partito Democratico conferma la propria crisi di identità. Con un risultato intorno al 22,5 %, arretra rispetto al dato europeo del 2024 (25,5 %) e mostra un’incapacità di consolidarsi come forza trainante. Il Pd marchigiano ha perso la sua natura di “partito-regione”, che per decenni lo aveva reso protagonista indiscusso della vita politica locale. Matteo Ricci non è riuscito a invertire questa tendenza. Sul suo risultato hanno pesato, oltre alla debolezza strutturale del centrosinistra, anche vicende personali che ne hanno compromesso l’autorevolezza pubblica. Le ombre sulla sua figura, più volte discusse in sede locale, hanno reso difficile presentarlo come alternativa credibile al governatore uscente. Di fatto, la candidatura di Ricci si è trasformata in un elemento di fragilità più che di rilancio. Il centrosinistra, nel suo insieme, si è dimostrato incapace di costruire una proposta unitaria e forte. La coalizione larga, nella quale convergevano Pd, Movimento 5 Stelle, Verdi-Sinistra e liste civiche, non ha trovato una sintesi politica autentica, limitandosi a un’alleanza di mera convenienza. Il risultato è stato un fronte numericamente consistente, ma privo di anima, che non ha saputo mobilitare il vasto bacino di astenuti. In conclusione, le Marche consegnano una lezione severa.
Non è la vittoria del centrodestra a emergere con forza, ma la sconfitta del sistema politico nel suo complesso. La destra vince, ma perde slancio e coesione interna; la sinistra perde ancora (mi chiedo dove si voglia andare con Elly Schlein la cui posizione è sempre più debole) e lo fa con un candidato segnato da limiti personali e con un partito che non sa più parlare alla propria tradizione.
La vera vincitrice è l’astensione, cifra di una sfiducia profonda verso tutti i poli. Le Marche non sono semplicemente la Regione che conferma Acquaroli, ma il laboratorio di una crisi più ampia: un luogo in cui, e sarà interessante leggere i risultati elettorali delle altre realtà regionali che andranno al voto, l'inizio della fine del bipolarismo come dinamica vitale, sostituito da una logica di mera sopravvivenza dei partiti, incapaci di ricostruire un rapporto reale con i cittadini sia per l'inadeguatezza delle loro "classi dirigenti", sia per il fatto che le Regioni sono solo "gestrici" di decisioni prese in altre sedi e in altri contesti con margini di intervento sempre più interstiziali.
Dato interessante, infine, è quel 0,98 per la lista di Beatrice Marinelli (Evoluzione della Rivoluzione). Sebbene in termini quantitativi il risultato possa sembrare del tutto irrilevante, in realtà dimostra che esiste ancora uno spazio, per quanto ridotto, per un’offerta politica diversa dalle grandi macchine di partito. La percentuale, pur inferiore al 1 %, testimonia la difficoltà di spezzare la logica del voto utile, che nelle regionali penalizza ogni proposta esterna alle due coalizioni principali. Eppure, il fatto che oltre seimila cittadini abbiano scelto di collocarsi fuori dal bipolarismo consunto delle Marche indica un bisogno di rappresentanza nuova, espressione di una domanda politica sotterranea che i grandi partiti ignorano o non intercettano.
(*) Autore
Daniele Trabucco
Professore strutturato in Diritto Costituzionale e Diritto Pubblico Comparato presso la SSML/Istituto di grado universitario "san Domenico" di Roma. Dottore di Ricerca in Istituzioni di Diritto Pubblico.
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