Francesca Dallatana Parma, 27 aprile 2025 - Sono lavoratori forti prima di essere migranti. Rimangono in guida, tengono duro. Qualunque cosa accada. Ogni giorno chiamano all’appello tenacia e motivazione. Semplicemente lavorano. Sono soli, nella loro sfida. Ma in se stessi hanno trovato qualcuno: la serietà al lavoro. Cominciano dal basso: garzoni, contrattisti, operai in edilizia. Non temono la fatica. Nella valigia leggera portano l’essenziale: la memoria della competenza acquisita nel Paese d’origine. Sono alla ricerca di lavoro, sono giovani. Ma hanno già messo le mani nella terra per coltivare il futuro. E non è una metafora. E’ la terra sotto le unghie a spingerli verso la creatività d’impresa.
Orgoglioso esempio di imprenditoria migrante, costruita mattone su mattone. Il punto geografico di inizio, dove la solitudine della sfida mantiene la schiena diritta, è il porto di Genova, da dove la nave si allontana verso la fine del mondo: Argentina. Tra la fine del diciannovesimo secolo fino alla metà del secolo breve, la situazione economica italiana ha suggerito, o forse imposto, la migrazione economica a molti in età da lavoro.
Fra questi, diversi parmensi. Ettore Meli, Angelo Furlotti, Paolo Pincolini, Callisto Caggiati, Leandro Cabrini, Ernesto Gaibazzi, Ennio Calzetti, Geronimo Demaldé, Adriano Senetiner. A questi lavoratori migranti economici, Alicia Montero e Maria Paula Cepparo hanno dedicato il saggio “Sangue emiliano romagnolo nelle vigne mendozine”, pubblicato nella versione italiana dall’Istituto Ferdinando Santi nel 2006.
Il messaggio del libro è attuale e diretto. Il minimo comune denominatore delle migrazioni è la ricerca di una condizione di vita al rialzo. E’ la sfida che l’esistenza umana richiede per dirsi degna di essere vissuta.
Storie di vita e dinamiche familiari, a volte intrecciate fra di loro. L’appartenenza territoriale d’origine condiziona i legami affettivi, agevolando la frequentazione e la conoscenza. Alcune delle famiglie raccontate nel libro si abbracciano formalmente in matrimonio, quasi a rendere onore alla terra d’origine e, forse, per rendere più salda la tenacia nell’alveo familiare della rassicurazione. Alla prima appartenenza territoriale si innesta la seconda appartenenza, quella d’adozione. La frequentazione assidua con una cultura e una lingua e un paesaggio diversi nel corso del tempo condiziona la postura, cambia gradualmente i connotati. L’appartenenza adottiva per molte delle storie di lavoro, di impresa e di famiglia raccontate, si risolve nell’adesione ai progetti locali, cioè nel supporto economico alle attività di agenzie sociali oppure nella partecipazione attiva alla vita di comunità.
I pensieri riposti in uno dei cassetti della memoria al porto di Genova contaminano la visione dell’orizzonte, in mare aperto, sulla nave diretta al futuro, verso l’Argentina. Passato e futuro sono il carburante del lavoro.
Storie di vita e architettura migrante.
Il lavoro in Argentina per gli italiani è fatica, ingegno, reinterpretazione della competenza di ispirazione agricola, in questo caso vitivinicola. Diversi protagonisti del libro lavorano inizialmente come operai edili per la costruzione di infrastrutture, quali strade e ferrovie. Sono pionieri e operai costruttori della nuova Argentina, territorio che al mare alterna colline e paesaggi montani fino al confine del cielo. Sono due le correnti migratorie individuate: dagli ultimi decenni del secolo diciannovesimo fino alla seconda guerra mondiale e dopo la seconda guerra mondiale.
I capitoli dedicati all’architettura migrante, curati da Maria Paola Cepparo, architetto, segnano il capolinea dell’obiettivo. Un manufatto architettonico è il simbolo del raggiungimento del fine: è il luogo dove si produce. I protagonisti delle storie coltivano vigneti e questa è solo una parte del processo produttivo. Gli edifici rappresentano la concretezza d’impresa. Alle architetture dedica competente attenzione Maria Paola Cepparo, descrivendo la tipologia delle murature, le dimensioni, le motivazioni e le modalità di coniugazione delle superfetazioni succedutesi nel corso del tempo. Sono architetture curate e finalizzate alla qualità della produzione vinicola. E tutte di piacevole impatto estetico, sempre in sintonia con le vocazioni architettoniche locali.
Talento parmense in trasferta.
L’ultimo profilo del libro è dedicato al cronologicamente più vicino sangue emiliano nelle vigne mendozine: Adriano Senetiner, proveniente da Montechiarugolo, Parma, emigrato in Argentina nel 1947. Con lui, si trasferiscono i fratelli Fabio, Marzio e Donatella. E anche il padre, con conseguenze traumatiche post belliche. Adriano Senetiner è un professionista della viniviticoltura: frequenta il liceo agricolo e si laurea in agronomia. Attiva una proficua collaborazione con persone con forte competenza amministrativa e con loro fonda una società a Carrodilla, Lujan de Cujo. Poco dopo si mette in società con Nicanor Nieto e, insieme, fanno decollare i Vini di Santa Isabella che si aggiudicano premi prestigiosi. La cantina diventa una delle prime tre esportatrici dall’Argentina e membro fondatore del Consiglio di Denominatore di Origine di Lujan de Cujo. Adriano Senetiner arriva a Mendoza quando altri viticoltori di lunga esperienza hanno dato lustro alla competenza italiana, parmense in particolare.
Da Fontanellato, quasi una cordata.
Prima di lui, le autrici ricordano Ettore Meli, al quale dedicano il primo medaglione della galleria proposta dal saggio. Figlio di Stefano, da Cortile San Martino, Parma, emigra con tutta la famiglia. Sono giovani e vanno in un Paese giovane che promette molto e spesso mantiene. Si sposa con un’italiana, Ettore Meli, e si trasferisce a Lujan de Cujo, Mendoza. Inizia il lavoro come contrattista, oggi si direbbe “lavoratore flessibile”, cioè un lavoratore al quale è richiesto di lavorare molto e di non ammalarsi pena la retribuzione e spesso la perdita del lavoro. Da contrattista lavora e risparmia e comincia a pensare al futuro. L’investimento è una sfida: acquista la proprietà “Alto Verde” e una casa su un’altura, che rende abitabile. Sull’altura colloca una turbina per produrre elettricità. Crea un gruppo di lavoro, assume persone, costruisce case per i dipendenti. E’ una comunità impegnata nella produzione. Siamo nei primi anni Venti del Novecento. Ettore Meli è un imprenditore visionario. Negli ultimi decenni della sua vita acquista immobili a Mendoza, a Buenos Aires e Provincia. Dagli abitanti di Tupungato, il luogo dove ha stabilito la sua attività, ha ricevuto apprezzamento e aiuto. Per dimostrare gratitudine dona un terreno per la costruzione del distaccamento di polizia del quale diventa eponimo. Adalgisa, sorella di Ettore Meli, sposa Angelo Furlotti collega di Ettore Meli fin dai primi tempi di lavoro come contrattisti.
Angelo Furlotti, proveniente da Fontanellato, Parma, dopo avere lavorato come manovale per le ferrovie investe sulla propria competenza nella coltivazione della vite. La sua cantina, datata 1892, è la più antica e la più grande cantina tra quelle citate nel libro. E’ una significativa opera architettonica che utilizza tradizionale tecnologia locale ma di notevole impatto estetico per le dimensioni e per la cura delle murature in mattoni faccia a vista. La fortuna industriale dei due imprenditori Ettore Meli e Angelo Furlotti si innesta in una dinamica comunitaria che non disdegna il rapporto diretto con i gruppi sociali locali ma che è rafforzata da una solidarietà emotiva e professionale radicata ai valori collegati all’appartenenza territoriale d’origine, rassicurazione e stimolo al tempo stesso. Ad Angelo Furlotti, detto a Mendoza “il re della Vigne”, viene riconosciuto in Italia il titolo di “Cavaliere della Corona” per il suo sostegno concreto alla causa italiana in prossimità della Grande Guerra, nel 1914.
Cugino di Angelo Furlotti è Paolo Pincolini, nato a Ghiara, Fontanellato, Parma, nel 1865. Viene da una famiglia di agricoltori. Nel 1893 comincia a lavorare come operaio a giornata. In poco tempo da operaio dipendente decide di acquistare una piantagione, poi un'altra, sempre nei distretti di Mendoza. Dialoga e collabora con Angelo Furlotti con il quale si mette in società mentre stipula un contratto di collaborazione anche con un maggiorente locale. Le famiglie si intrecciano ulteriormente grazie al suo matrimonio con Rosa Ferri Furlotti. L’operaio Paolo Pincolini diventato imprenditore continua ad incrementare i vigneti fino a raggiungere l’obiettivo dell’industrializzazione dei propri prodotti, con il contributo dei figli, fra i quali un enologo. Comincia a profilarsi l’intervento formalmente competente delle seconde generazioni.
Ernesto Gaibazzi, proveniente da Fontanellato, lavoratore delle terre di proprietà della famiglia di Giuseppe Verdi alla fine negli ultimi decenni dell’Ottocento non riesce a mantenere la famiglia con il decoro e l’agiatezza che vorrebbe riservarle. Nel 1900 parte con il gruppo familiare per l’Argentina. I soldi del viaggio se li è guadagnati suonando la fisarmonica, il suo primo talento. La manualità fine e la versatilità gli permettono di sopravvivere al di sopra delle aspettative nel nuovo Paese. I figli frequentano la scuola e si specializzano. Da San Juan la famiglia si trasferisce a Mendoza dove comincia e prosegue felicemente una storia d’impresa nel settore vitivinicolo che coinvolge le future generazioni di Gaibazzi con competenze formalmente certificate coniugate idealmente al talento e alla dedizione al lavoro del loro predecessore.
Quasi in cordata con Ernesto Gaibazzi, per ragioni matrimoniali, Geronimo Demaldè: in Argentina dal 1908, proveniente da Fontanellato, coniugato con Itala Gaibazzi. E la storia si ripete. Contrattista fino a un certo punto della sua permanenza in Argentina. Poi il Paese nuovo permette anche a lui il decollo: una cantina, l’impegno nel settore vitivinicolo e la costruzione di un oleificio a fianco della cantina. Una storia di impresa che continua senza la presenza dell’ispiratore delle cantine Demaldè: nel 1948 Geronimo Demaldé e la moglie perdono la vita su un idrovolante.
E’ una storia di impresa e di famiglia anche quella di Ennio Calzetti, figlio di Roberto e di Maria Zanardi. Anche loro vengono da Fontanellato. A pochi anni dalla migrazione in Argentina, il padre Roberto muore a trentatre anni. Ennio Calzetti, giovane uomo, di istruzione ancora incompiuta, si sostituisce al padre e lavora per aziende agricole locali conquistando la pensione come operaio agricolo. Prima del pensionamento riesce ad acquistare un terreno nel distretto Los Campamentos. E’ il 1943. Nel 1955 costruisce una cantina degna di una produzione industriale di tutto rispetto. La cantina Calzetti si trova a Rivadavia, a est di Mendoza. E’ un complesso di edifici ampliati dalle successive generazioni con intelligente gradualità. La storia d’impresa della famiglia fontanellatese arriva molto vicino a noi, nella storia tracciata nel saggio. Fino alla donazione di una scuola alla città di Mendoza. E’ il messaggio di alto profilo del lavoratore migrante: la cultura può aiutare il talento a prendere forma.
Dal confine di Parma, quasi un’altra cordata.
Da Poviglio e da San Sisto, Reggio Emilia, emigrano in Argentina Callisto Caggiati e Leandro Cabrini.
Callisto Caggiati sposa la cognata di Leandro Cabrini. Una cordata emotiva, poi operativa. Callisto Caggiati, classe 1867, raccoglie l’informazione diffusa in Europa nel periodo circa la possibilità di lavoro nel settore agricolo in Argentina. Non sa scrivere, non sa leggere, ma sa fare i conti e molto bene. E non ha paura di lavorare. A Genova si imbarca e attraversa i mari fino a Buenos Aires. Vende ortaggi, di casa in casa. Fino all’assunzione come operaio per la costruzione della ferrovia. Un paio di decenni, e si apre la possibilità di acquisto di un terreno e l’inizio della sua personale impresa. Fortuna d’impresa anche per la famiglia di Leandro Cabrini, che apre una cantina e si abitua a un tenore di vita diverso da quello di San Sisto. Le figlie sono impegnate come sarte in un laboratorio locale, a Buenos Aires, e la loro abilità e familiarità del lavoro suggerisce loro l’apertura di un grande negozio. A San Sisto Leonardo Cabrini se ne è andato dalla tenuta del violinista Nicolò Paganini. A Buenos Aires la sua tenacia lo ha trasformato in imprenditore. Del lavoratore migrante gli è rimasta la tendenza al nomadismo: da Buenos Aires si sposta a Mendoza alla ricerca di un paesaggio diverso, che gli ricordi ogni giorno quello italiano.
Storie di lavoro migrante. Alta dignità, orgogliosa fatica.
Alicia Montero, Maria Paula Cepparo, Sangue emiliano romagnolo nelle vigne mendozine, Istituto Ferdinando Santi, Bologna, 2006
(Link rubrica: La Biblioteca del lavoro e lavoro migrante ” https://gazzettadellemilia.it/component/search/?searchword=francesca%20dallatana&searchphrase=all&Itemid=374
https://www.gazzettadellemilia.it/component/search/?searchword=lavoro%20migrante&ordering=newest&searchphrase=exact&limit=30)