Alla ricerca di una giornata di lavoro. L'ufficio sulla panchina di Piazzale Boito.
di Lamberto Colla, Parma 2 agosto 2015 - -
Sono le nove del mattino e Circe ha lasciato in eredità, finalmente, una temperatura mite. Qualche ora di tregua dal gran caldo afoso e opprimente di Caronte tutta da gustare in quest'ultimo lunedi di luglio.
Per errore sono in anticipo di mezz'ora sull'appuntamento e decido, perciò, di gustarmi il fresco all'ombra di piazzale Boito sfruttando la panchina come fosse l'ufficio e nell'attesa, mi dico, farò "un paio di telefonate di ricontatto". Chissà se riuscirò a prendere qualche appuntamento di lavoro prima dell'interruzione agostana.
Faccio per comporre il numero quando, oltre la strada, sul marciapiede che scorre proprio a fianco delle "Orsoline", un'amica che non vedevo da tempo mi viene incontro e dopo i baci convenevoli, l'argomento cade, come è ovvio, sulle rispettive famiglie, sui problemi dei figli e sulla salute dei genitori anziani ma anche, inevitabilmente, sulla crisi economica e sui connessi problemi lavorativi. Tra una lamentela e un incoraggiamento alla fine ci salutiamo augurandoci buone ferie chiedendo di portare i saluti ai rispettivi compagni.
Già la crisi, questa maledetta crisi che, come un tarlo, sta minando la salute e la resistenza delle famiglie. Ormai non si parla d'altro. E più se ne parla più emergono le piccole e grandi difficoltà che la gran parte della popolazione, anche quella più fortunata, subisce.
Non voglio pensarci oltre perché stamattina, forse, firmo un contrattino e questo mi deve tirare su il morale per i prossimi 15 giorni. Giusto il tempo di riuscire a trascorrere e a fare trascorre serenamente la settimana di ferie programmata con la famiglia. "Non posso essere sempre cupo", mi cerco di convincere.
Mi risiedo sulla panchina con i soliti pensieri che cominciano a prendere il sopravvento e allora, mali estremi estremi rimedi, li soffocherò con una Winston Blue che mi accendo prontamente.
Forse il rumore inconfondibile del "Bic" o forse la fiamma dell'accendino che rischiara l'ombra delle piante o forse entrambe le cose, attira l'attenzione di un signore che stava anch'egli andandosi ad accomodare sulla panchina a fianco, che perciò devia verso di me e, guardandomi timidamente negli gli occhi, mi chiede una sigaretta.
"Sa, dice con una forte inflessione tipica dei fidentini e in tono imbarazzato, sono disoccupato".
E' un approccio timido ma nello stesso tempo confidenziale quello con il quale quest'uomo, in jeans, mocassini marron accompagnati da calze scure e una polo ben stirata color petrolio, mi avvicina.
"Dalla mattina alla sera a cercare qualche giornata di lavoro, non so più dove sbattere la testa" continua mentre faccio il gesto di accendergli la sigaretta che gli avevo poc'anzi offerto dal pacchetto che faceva bella vista di sole due bionde che quest'uomo, dagli occhi dolci, stava per rifiutare quando lo incoraggio dicendogli che "ho la scorta nella borsa".
"E' dura, prosegue, ho 55 anni e faccio il muratore e a questa età non trovo nulla. Dopo il primo periodo di sostegni pubblici siamo totalmente abbandonati".
Nessuna polemica verso il Governo o chissà chi altro, nel tono delle sue parole interpreto solo disillusione e paura ma, al contempo, percepisco il coraggio di non farsi sopraffare dalla vergogna e dal peso, anche psicologico, della disoccupazione.
"Per fortuna qualche amico, ogni tanto, mi trova qualche giornata. Ma anche loro sono appesi a un filo perché, per vendere, devono fare prezzi stracciati. E tra un montaggio di una piscina e il cambio di un telo in un'altra, qualcosa riesco a racimolare per fare un pasto al giorno ma non riesco a sostenere la casa. Potrei andare alla mensa della Caritas ma ancora non riesco e guardi che non è per orgoglio ma... non so, è ancora presto".
E' un fiume in piena, forse pensa di essere in compagnia di un suo amico d'infanzia che non vedeva da tanti anni e col quale può confidarsi e sfogarsi, finalmente. Vista l'età, in effetti, avremmo potuto essere stati compagni di marachelle, lui è più giovane di me di soli due anni. Ci fumiamo le nostre sigarette e proseguiamo, lui a parlare e io prevalentemente ad ascoltare.
Di quest'uomo, più passano i minuti, più ammiro la tenera solidità, la pacatezza e i visibili tentativi di non impietosire, anche se a volte la voce gli trema e lo sguardo si abbassa in segno di vergogna. Ciononostante parla e si confida.
E' strano ma mi sento sempre più "amico" di questo che potrebbe essere veramente stato un mio compagno di scorribande infantili consumate in quella periferia Est di Parma che tanto mi ricordava la Via Gluck di Celentano.
L'ora dell'appuntamento è scattata e devo salutare questo nuovo amico e con un sorriso sincero, finalmente, gli auguro in bocca al lupo e gli offro la mia scorta di sigarette "a titolo di solidarietà tra fumatori" allungando il braccio alla cui estremità c'è il pacchetto bianco e blu con la scritta "nuoce gravemente alla salute".
Lui mi guarda con gli occhi di un bambino che riceve il più bel regalo di Natale, non ha parole e gli esce solo un "Grazie ma..." e, dopo la sospensione interrotta dal mio "per così poco non deve nemmeno ringraziare", lui con gli occhi lucidi aggiunge "spero di incontrarla ancora in uno stato diverso. Grazie di tutto".
Lo saluto e faccio per riprendere la direzione di vicolo Politi quando mi sento richiamare, "Signore, io mi chiamo Fabrizio e lei?", "Lamberto" gli rispondo tornando sui mie passi e, allungandogli nuovamente la mano destra mentre la sinistra si appoggia sulla sua spalla destra ricambio il suo sorriso, e gli dico, credendoci veramente "Forza che un colpo di fortuna non può non passare da lei".
Ci salutiamo definitivamente ma non posso andare diretto all'incontro perché, nel frattempo, nascosto alla vista di Fabrizio, gli occhi si sono gonfiati anche a me accompagnandosi a quella strana sensazione di formicolio che viene alle guance quando si cerca di trattenere le lacrime.
Mi viene da pensare da quanto tempo quel grand'uomo di Fabrizio sia orfano di coccole, o almeno di parole di stima, ma ricchissimo di preoccupazioni e di paure inconfessabili. Tutte le mattine, probabilmente, gli si alza il sipario del dramma e la speranza, immagino, è che giunga rapidamente la sera per addormentarsi sognando che l'indomani sia diverso dall'oggi.
In bocca al lupo Fabrizio, so che non leggerai mai quest'articolo perché troppo occupato a scorrere gli annunci di lavoro pubblicati dalla Gazzetta di Parma sfogliata, gratuitamente, al bar.
In bocca al lupo ai tanti "Fabrizio" che, in silenzio, soffrono la disoccupazione in religiosa solitudine mentre, nella ricerca ossessiva del lavoro, cercano di mettere al riparo la propria dignità.
Una giornata di lavoro, solo una giornata di lavoro, può fare il miracolo!
L'Unione Europea in rotta di collisione. L'assedio di Atene non è certamente un buon esempio e prima o poi toccherà a altri paesi subire lo stesso trattamento. Intanto Regno Unito e Austria sarebbero al lavoro per progettare il distacco dall'Unione.
di Lamberto Colla - Parma, 5 luglio 2015 -
Il sogno di un'Europa forte e unita sta trasformandosi in incubo per le economie più deboli. La politica finanziaria ha preso in mano le redini del governo europeo lasciando alla politica, quella di governo, il compito di ratificare scelte attuate dai funzionari, euroburocrati scelti non si sa bene da chi, dalla presunzione di conoscere il futuro attraverso la mera lettura dei numeri.
La politica dell'Unione in mano a dei "cartomanti", per di più ben poco convincenti.
L'esempio di questa assurdità l'abbiamo tutti giorni davanti agli occhi.
Con tre fronti di guerra ai confini (crisi Russo-Ucraina, Isis a oriente e nord africa) e un esodo biblico di profughi in fuga dai teatri di guerra nel disperato tentativo di salvare almeno la vita tentando il rifugio nel Vecchio Continente, i premier sono in riunione permanente, da ormai due settimane, per imparare la lezioncina da impartire a Tsipras affinché si convinca di fare morire il suo popolo attraverso una lenta agonia altrimenti sarà una morte rapida. Un'alternativa ben poco allettante soprattutto per chi non ha più niente da perdere.
A questo punto mi domando dove sono finiti quei cantori, menestrelli moderni fieri di appartenere a quella sinistra radical chic, pronti a organizzare mega concerti in tutt'europa in favore dell'alienazione dei debiti del terzo mondo ma che, a favore della Grecia, non hanno organizzato nemmeno una messa cantata.
Che anche loro siano prezzolati dalla mano invisibile della finanza internazionale?
Fatto sta che tutti i giorni l'UE mostra i suoi lati peggiori.
Prima con l'Italia e la Spagna ora nei confronti della Grecia e del problema immigranti, e domani ancora con l'Italia e forse la Francia, l'Unione Europea non intende modificare la politica dell'abbraccio mortale porgendo così il fianco all'euroscetticismo dilagante che ha già fortemente contagiato Regno Unito e Austria. Della decisione del premier d'oltre Manica di aprire un referendum pro o contro la permanenza in UE già si sapeva ma dell'Austria e del suo progetto di fuoriuscita ben poco si è detto e tanto meno promozionato.
Nell'assoluto silenzio mediatico l'Austria, attraverso una petizione popolare (Volksbegehren) sta misurando la temperatura al popolo asburgico.
Secondo i promotori della petizione, che se supererà il numero di 100.000 firme obbligherà il parlamento a discutere e legiferare sulla questione, l'Austria trarrebbe notevoli benefici dall'uscita dall'UE consentendole di fatto di non aderire agli accordi transatlantici di libero scambio tra Ue, Usa e Canada; di recuperare parte dei miliardi di euro versati da vent'anni alle casse di Bruxelles per la "promozione Ue" senza aver alcun potere di codecisione nella destinazione dei medesimi fondi; di risparmiare i versamenti a favore dei «fondi di salvataggio per l'euro»; di risparmiare le obbligazioni di deposito per miliardi di euro a favore del «Meccanismo europeo di stabilità finanziaria»; di reintrodurre sovranità e politica monetaria proprie.
Insomma, anche l'aristocratica mitteleuropa si è rotta di partecipare o meglio subire una costrizione politica e monetaria, un "Superstato" costruito a misura di Germania sotto la vigilanza di Washington.
Un abbraccio mortale che, sino a quando si possiede qualche energia, varrebbe la pena sottrarsi o impuntando i piedi e facendo valere le proprie ragioni o, in ultima ratio, salutando l'allegra combricola come stanno proprio pensando di fare i sudditi di Sua Maestà Elisabetta e i ricchi Austriaci e come vorrebbero fare i Greci salvo diverso risultato della consultazione referendaria promossa, a sorpresa e in piena negoziazione con la ex troika, per oggi, Domenica 5 luglio.
Così com'è strutturata e governata l'Unione Europea ha una aspettativa di vita molto breve.
Per immaginare un futuro è indispensabile un radicale cambiamento, riprogettando la politica dell'unione sulle basi originarie e relegando da subito i potenti ragionieri nei loro uffici.
In Emilia Romagna c'è ancora chi decide di scommettere su sé stesso, seppure la la base imprenditoriale giovanile continui a contrarsi.
Bologna - Esistono ancora imprese giovanili
Ma sono solo 31.294, il 7,6 per cento del totale. In un anno perse 1.115 (-3,4 per cento). La contrazione è determinata da ditte individuali (-1.240 unità) e società di persone (-10,9%), all'opposto è boom per le società di capitali (+12,2%). Settori produttivi: giù costruzioni (-10,6%), agricoltura (-6,1%) e industria (-4,4%); tengono i servizi (+0,3%), con attività di ristorazione e alloggio (+2,4%).
In Emilia-Romagna, c'è tra i giovani chi ancora scommette su di sé e decide di aprire una impresa. La base imprenditoriale giovanile regionale continua però a contrarsi più rapidamente rispetto a quanto avviene a livello nazionale. A marzo 2015, le imprese attive giovanili sono 31.294, ovvero il 7,6 per cento delle imprese regionali. Questo emerge dai dati del Registro delle imprese delle Camere di commercio di fonte InfoCamere elaborati dal Centro studi e ricerche di Unioncamere Emilia-Romagna. Gli effetti della crisi economica e della restrizione del credito continuano a colpire duramente. In un anno hanno chiuso 1.115 (-3,4 per cento).
Va meno peggio per le altre imprese, diminuite dell'1,0 per cento. La tendenza in regione è, da tempo, più pesante di quella nazionale. In Italia la contrazione delle imprese giovanili (503.798, il 9,8 per cento del totale) è meno ampia (-2,1 per cento), come anche per le altre imprese (-0,4 per cento). Le imprese giovanili aumentano solo nel Lazio (+1,4 per cento) e in Trentino-Alto Adige (+0,7 per cento). Segno rosso ovunque altrove. L'Emilia-Romagna è in fondo a questa classifica, quindicesima. Tra le regioni con le quali l'Emilia-Romagna si confronta va peggio in Piemonte (-4,1 per cento), meglio in Lombardia (-1,6 per cento) e in Veneto (-1,7 per cento).
La forma giuridica
La riduzione è da attribuire principalmente alla flessione delle ditte individuali (-1.240 unità, -4,8 per cento), prese tra congiuntura negativa e indisponibilità del credito, ma è molto più intensa per le società di persone (-10,9 per cento, pari a 318 unità). Queste risentono in negativo dell'attrattività della nuova normativa delle società a responsabilità limitata di cui si avvantaggiano le società di capitale, che hanno messo a segno un vero boom (+433 unità, +12,2 per cento).
Settori di attività economica
La riduzione delle imprese giovanili è sempre determinata dai settori produttivi, soprattutto dal crollo delle imprese delle costruzioni (-939 unità, ossia -10,6 per cento), un settore in continua grande difficoltà. È forte anche la riduzione delle attività agricole (-120 unità, -6,1 per cento) e di quelle dell'industria (-4,4 per cento, -112 unità). Tiene l'insieme del settore dei servizi (+0,3 per cento), con tendenze contrapposte al suo interno. Si riducono le imprese del commercio e le attività immobiliari, crescono quelle dei servizi di alloggio e ristorazione e le imprese di noleggio, agenzie di viaggio, servizi di supporto alle imprese.
(fonte Unioncamere Emilia Romagna Bologna 15 giugno 2015)
Alla conquista del sud. Il dissenso questa volta premia la Lega, unico partito in crescita, che guadagna voti, inaspettatamente, anche ben al di sotto del Po.
di Lamberto Colla - Parma, 7 giugno 2015 - Giuseppe Garibaldi iniziò dal sud con i suoi mille in camicia rossa e oggi sono le camice verdi della Lega, non più anti meridionalista, a fare il percorso inverso.
Da quest'ultima tornata elettorale è accaduto quello che non ci si aspettava ma che ancora una volta dimostra come l'italiano medio, quello che non va in piazza a spaccare fontane e picchiare i poliziotti, il proprio dissenso lo esprime con l'unico strumento utile per farlo: il voto.
Sarà perché è uno dei sei nomi da sempre più diffusi ma Matteo sembra proprio essere il nome guida del popolo italiano da un po' di tempo a questa parte. Un "Dono di Dio", come suggerisce l'etimologia del nome Matteo, al quale l'italiano si vuole affidare.
Dal Matteo Renzi, ancora ben saldo al potere, a quel Matteo Salvini che non t'aspetti e che in pochi mesi è riuscito a fare risorgere un partito decotto conducendolo alla riconquista del suo nord (Zaia si è riconfermato governatore del Veneto con oltre il 50% dei voti e la Lega è stata determinante per la conquista della "ex rossa" Liguria) ma addirittura è stata accolta a braccia aperte anche dalle regioni più meridionali rischiando, si fa per dire, il colpo grosso di portarsi a casa una storica regione rossa come l'Umbria rimasta in bilico sino alla lettura dell'ultima scheda.
Ed è proprio in questo cambiamento che va letto il messaggio che il popolo italiano, almeno nella Costituzione riconosciuto sovrano, ha voluto mandare alla classe politica nazionale: siamo maturi, scontenti e vogliamo cambiare.
Molto maturi direi. Una maturità democratica forte che si esprime perfettamente nel diritto di voto. Un diritto però sempre meno esercitato. Poco più del 50% degli aventi di ritto si è presentato alle urne contro l'oltre 60% delle precedenti votazioni. Ulteriori 10 punti perduti ma che vanno a alimentare il fonte dell'antipolitica sommersa, forse la frangia più ribelle e rigida del fronte del dissenso.
Una seconda valutazione che si può trarre dal voto di domenica scorsa è la conferma del partito di rottura con la tradizione politica nazionale ben rappresentata dal M5S. Nonostante il calo di voti e nessuna Regione conquistata, il partito "grillino" si conferma la compagine politica di maggioranza relativa in ben tre regioni.
Infine, il decisionismo di Matteo, questa volta Renzi, è apprezzato. Le dispute interne al PD hanno sicuramente arrecato danni al partito di governo - anche di opposizione a quanto pare - ma non così come avrebbero voluto e sperato gli anziani "trombati" da Renzi.
Dal baffetto dalemiano al giaguaro smacchiato di bersaniana memoria per passare alla signora delle commissioni, quella Rosy Bindi che si è beccata una bella querela, dall'impresentabile Vincenzo De Luca stravincitore in Campania (41%), per diffamazione, attentato ai diritti politici costituzionali e abuso d'ufficio.
Nonostante tutto e tutti, a quanto pare, il popolo italiano vuole che Matteo Renzi prosegua la sua politica di revisione.
Lo vuole al punto tale che, oltre a confermargli la fiducia (comunque 5 delle 7 regioni saranno a guida PD), gli conferma la spina nel fianco del Movimento 5 Stelle e ora il "secondo Dono di Dio", quel Matteo Salvini che sta trasformando la Lega in un partito nazionale e soprattutto nazionalista.
E si sa che nei periodi bui l'Italia si unisce e le discriminazioni e separazioni rimangono argomenti solo da "bar sport".
Quindi cari partiti e apparati burocratici di servizio fate tesoro dei risultati e ponete rimedio ai dolori e alle preoccupazioni degli italiani prima che questi non le facciano venire a tutti voi, anche a quelli rintanati nei più remoti angoli degli uffici pubblici.
CONCLUSIONI
In sintesi il popolo italiano ha espresso, con grande maturità e senso di partecipazione democratica, per l'ennesima volta il seguente giudizio: c'avete rotto li c..j.ni!
E' ora di cambiare e ai Matteo l'invito di andare avanti per la loro strada; la stragrande maggioranza vi seguirà se farete la "rivoluzione" che il popolo si attende da voi.
Altrimenti... non voglio pensare alle conseguenze ma la tensione si fa sempre più insostenibile.
A seconda del punto di osservazione l'Italia è in ripresa o in profonda crisi. Ma la realtà è tangibile e inconfutabile ogniqualvolta che occorre metter mano al portafogli, sempre più scontrini e sempre meno banconote.
di Lamberto Colla - Parma, 17 maggio 2015 -
Il balletto dei numeri che quotidianamente ci vengono proposti è quantomeno imbarazzante, almeno per coloro che hanno ancora un po' di libertà di giudizio, e l'enfasi con la quale vengono declamati è a scopo meramente propagandistico.
Il Governo, nonostante gli sforzi e la stragrande maggioranza dei consensi parlamentari, stenta a trovare la strada giusta per ottenere i i risultati promessi, primo fra tutti il rilancio del lavoro e dell'occupazione.
OCCUPAZIONE SI, OCCUPAZIONE NO?
E' proprio sulla questione dell'occupazione che vorrei puntare l'attenzione a partire dalle notizie che si sono rincorse in questi giorni. Una sequenza quasi interminabile di numeri buttati quasi a caso. Dapprima i trionfalistici commenti seguiti alla diffusione dei dati dell'INPS secondo il quale sarebbero 470.785 i nuovi rapporti di lavoro stabili registrati nel primo trimestre dell'anno; il 24,1% in più rispetto all'analogo periodo del 2014. Parrebbe la conferma che l'opera del Governo stia maturando i suoi frutti.
Peccato che al contrario l'ISTAT abbia, nelle stesse ore, certificato che la disoccupazione, invece di scendere, sia ancora salita passando dal 12,7% d febbraio al 13% di marzo. Il tasso più alto dal 13,2% di novembre scorso. Ma la "balla" sta anche nel fatto che quei 470.000 nuovi contratti scendono a poco più di 91.000 se vengono conteggiate le solo nuove assunzioni a tempo indeterminato.
PIL, DEBITO e TASSE, GIU'?
Ciononostante Renzi, basandosi prevalentemente sui primi dati INPS, ha colto al volo l'occasione per affermare che si sono fatti "Passi in avanti" sostenuto anche da quel misero +0,3% d'incremento di PIL realizzato ad aprile. E' bastato questo umiliante indicatore positivo per "urlare" che l'Italia è uscita dalla recessione scordandosi di riconoscere il merito a Mario Draghi e alla manovra di Quantitative Easing varata lo scorso gennaio, dopo quasi un anno di duelli all'arma bianca con tutti i capi di governo e delle banche centrali delle potenti economie germanocentriche.
Le cose stanno andando così bene che, è sempre di questi giorni, che il debito pubblico è nuovamente salito raggiungendo quota 2.184,5 miliardi di Euro (il precedente era di 2169).
Il Codacons tra l'altro stima che il debito pubblico pesa oggi su ogni singolo cittadino addirittura per oltre 36.400 euro, soglia record mai raggiunta prima. In sostanza le tasse per gli italiani continuano a lievitare seppur di poco mentre il debito pubblico non accenna a diminuire.
Ed eccoci giunti a sfiorare l'altro punto dolente e le false riduzioni di tasse, tanto vantate dai vari governi. Come si può evincere dalla tabella (si veda galleria immagini) che segue (tratta da ESPRESSO-REPUBBLICA) gli unici periodi nei quali le tasse sono state ridotte corrisponde ai due periodi Berlusconiani. I Governi di centrosinistra e tecnici invece hanno immediatamente "corretto" l'errore.
E, se lo dice l'Espresso, c'è da crederci.
CONCLUSIONI
Un disastro. L'economia non gira e a decollare, invece del lavoro, sono disoccupazione, debito pubblico e tasse. E come potrebbe essere diversamente se le leve economiche investite per lo sviluppo non raggiungono la base sociale.
Sinora gli incentivi sono stati concessi alle banche che invece di distribuire i vantaggi a imprese e consumatori hanno provveduto a fare cassa per coprire le loro magagne, o a altri soggetti intermediari come dimostra, ad esempio, il progetto cofinanziato dall'UE "Garanzia Giovani".
Un macchinoso quanto astruso meccanismo di selezione, formazione e addestramento di giovani (15-29 anni), privo di coordinamento centrale tanto che le diverse regioni applicano le loro varianti. Prendendo spunto da questo esempio, ancora una volta, invece di incentivare con mezzi semplici, immediati e soprattutto diretti sui beneficiari, l'occupazione giovanile si di fatto sovvenzionati prevalentemente le società interinali e gli enti di formazione professionale senza produrre alcun risultato evidente e tangibile sull'occupazione e sull'economia.
Infatti, questo piano del governo ha generato offerte di lavoro per appena 3 su 100 dei giovani ai quali si rivolgeva.
Un flop talmente evidente da essere ammesso dallo stesso presidente del Consiglio Matteo Renzi in persona nel corso di un incontro all'Università Luiss: «I numeri della Garanzia giovani non sono quella botta di vita che ci aspettavamo, anzi che qualcuno si aspettava. Non a caso, io ne parlo abbastanza poco».
Non meglio però sono le proposte dell'opposizione parlamentare e nello specifico il cavallo, o meglio "asino", di battaglia del M5S: il reddito di cittadinanza. 800 euro da dare a tutti. Una proposta interessante e appetibile solo a livello teorico che porrebbe in contrapposizione, col medesimo reddito, i neo assunti e i disoccupati sovvenzionati.
Una proposta indecente che ben poco incentiverebbe a cercare un lavoro o a investire su una propria attività individuale (artigianale, commerciale o di servizi), narcotizzando ancor più i già storditi e ansiosi disoccupati o inoccupati o sottoccupati sempre più numerosi in questa bell'Italia.
E' ora di dire basta a balle, balline e demagogiche quanto inutili proposte.
Cari signori politici, siate seri e attivate le uniche leve possibili. Se non le conoscete andate a ripassare le teorie dei grandi dell'economia, per primo e applicatele pedissequamente senza alcuna vostra interpretazione o ancor peggio di qualche moderno luminare tecnico.
No Grazie, abbiamo già dato!
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(*) « Il capitalismo non è intelligente, non è bello, non è giusto, non è virtuoso e non mantiene le promesse. In breve, non ci piace e stiamo cominciando a disprezzarlo. Ma quando ci chiediamo cosa mettere al suo posto, restiamo estremamente perplessi. »
(John Maynard Keynes, Autosufficienza nazionale, 1933)
Parma città ghetto: sporcizia, microcriminalità, impossibilità di accesso. Non è solo colpa della crisi se il centro si è ammalato. I negozianti storici puntano il dito contro una pessima gestione del cuore della città e chiedono che si salvino i simboli della parmigianità, come piazza Ghiaia...
di Alexa Kuhne Parma, 16 maggio 2015 - Come si sono evoluti i consumi in questo periodo di crisi? E quali sono i suggerimenti per far rifiorire il cuore di Parma? Parlano loro, gli esercenti storici del centro.
Un 'sondaggio dei sentimenti' di chi Parma, attraverso l'attività tramandata da generazione in generazione, l'ha 'costruita', contribuendo, in passato, a creare una delle città più fiorenti e propositive.
"Parma è diventata un ghetto. Deve tornare ai parmigiani, perché loro hanno tanta voglia di venire in centro e non possono più farlo...". Parole di chi, come Luca Carboni, titolare di una gioielleria storica di via Mazzini ( www.carboni1950.it ) , vede il nucleo più antico della sua città chiudersi, sfiorire inesorabilmente. "L'Amministrazione comunale ha creato situazioni paradossali, come il blocco del traffico del giovedì. Ci si preoccupa di fare le multe a chi lavora e non si pensa a tenere pulite le piazze! Parma muore, la stanno rovinando", dice amareggiato Carboni.
In effetti, la sensazione che si ha, passeggiando per le strade del centro, è di vie svuotate, dove i negozi chiudono giorno dopo giorno perché il commercio si riduce a qualche vendita nei periodi dei saldi o per qualche festività e dove a passeggiare sotto i portici e sui marciapiedi, un tempo affollati, ci sono pochi stranieri e gruppi di ragazzi. Il segnale significativo di questa lenta agonia è anche lo spostamento dei grossi studi di professionisti verso la periferia. Impensabile, a causa della scomodità dei parcheggi, raggiungere gli uffici centrali.
Dov'è finita tutta la bella gente che contribuiva a rendere pieni di vita e di colore i borghi del centro storico? Dopo le otto di sera, trovare un parmigiano a passeggio è pressocchè impossibile. C'è paura anche della microcriminalità, dei borseggi ormai diventati una routine quotidiana, soprattutto nei giorni di mercato, confermano tutti i commercianti.
Quanto poi si siano modificati i comportamenti dei consumatori lo sottolinea bene il titolare di Zuccheri, la storica bottega di filati (www.facebook.com/pages/Zuccheri-langolo-della-lana-dal-1948) sotto i portici di via Mazzini: 'Si vende meno ma i clienti cercano i materiali migliori, che abbiano una qualità che li renda più durevoli'. Il concetto è, insomma, quello di seguire meno le mode e di sfruttare al massimo quello che si ha. Anche Zuccheri prende atto di una triste realtà che riguarda la famosa strada dello shopping: "La gente che arriva sin qui è poca, c'è il problema del parcheggio, dei varchi. Ormai i miei affezionati non vengono in negozio ma mi fanno gli ordini con le email. Le multe hanno massacrato gli estimatori delle vie tradizionali. Invece di sfruttare le zone vicine al fiume per i posti auto, costruendo spazi sopraelevati, invece di aprire i varch,i si fa di tutto per allontanare l'utenza e dirigerla verso i centri commerciali".
Eppure, si continua a lavorare, sperando che passione, sacrificio e forte senso di appartenenza a una città che è in grado di dare tanto ripaghino con qualche soddisfazione. Ci sono i giovani a resistere, a portare avanti quelle attività che sono nate più di 50 anni fa grazie all'ingegno di chi usciva dalla guerra e voleva contribuire a ricostruire. Carlo Andrea Bocchialini, titolare di un noto negozio di scarpe di via Mazzini (www.bocchialini1921.it) , una bottega che fa parte della tradizione parmigiana, tramandatagli dal papà Pierluigi e prima ancora dal nonno Telesforo, è uno di quei giovani che ancora sperano che il cuore di Parma possa tornare a pulsare. "La nostra realtà è molto distante da quella di cui parlano i media. Noi facciamo fatica per cercare di non omologarci, di trovare un prodotto che abbia un perfetto equilibrio qualità- prezzo, che si discosti da quelli dei centri commerciali", spiega.
La propensione al consumo è diversa. Se prima si compravano due o tre paia di scarpe a stagione ora, complice una deregolamentazione del mercato, si segue il ritmo dei saldi che comprimono il regolare periodo di vendite. La gente, insomma, aspetta gli sconti per fare l'affare e non acquista.
La passione, però, non basta a far sopravvivere le attività commerciali. Si fanno i conti con le abitudini della gente ma anche con una impostazione della gestione del centro che, stando al giudizio di tutti gli operatori, è da rivedere completamente. "Piazza Ghiaia – racconta Carlo Andrea – era il volano di tutte le attività delle strade che la circondano. Faceva da catalizzatore della parmigianità, soprattutto nei giorni dello storico mercato. Ora la sua antica funzione è stata completamente snaturata per un suo scellerato utilizzo. L'utenza si è modificata, le bancarelle sono di basso livello...". Attribuire alla piazza un valore diverso, farla tornare quella che era, attrattiva e vitale, significherebbe ricreare quella movida che poi favorisce tutto l'indotto. " Non può non saltare all'occhio il disagio per raggiungere il centro – continua Bocchialini – che dovrebbe essere reso fruibile con condizioni normali di accesso. Inoltre i parcheggi sono troppo cari...".
Una voce fuori dal coro è quella di Ricchetti. Dal 1947 le vetrine del bellissimo negozio sotto i portici attirano i parmigiani che scelgono oggetti di stile: "Siamo protetti dagli eventi. La nostra clientela non cerca un accessorio per una stagione ma che duri nel tempo. Siamo lontani dai prodotti di massa e quindi restiamo un negozio di nicchia".
Ultimo, ma non meno preoccupante, è il problema microcriminalità. C'è chi, come il responsabile di Play off (www.play-off.it) , uno dei negozi di scarpe e accessori 'giovani', denuncia un vistoso peggioramento del tessuto sociale dei frequentatori delle strade principali: "C'è delinquenza, maleducazione, arroganza. Girano solo bande di ragazzini. Se non ci si convince che i varchi dovrebbero essere meno ristretti, se non si fa in modo che la gente, che siano parmigiani o turisti, torni in centro, si continuerà a incentivare la microcriminalità. Sono convinto che se queste strade tornassero ai parmigiani i delinquenti sparirebbero...".
L'impatto della crisi e del sisma sulle attività commerciali della cosiddetta Bassa Reggiana e Modenese: reportage fra Reggiolo, Rolo, Novi e Rovereto sul Secchia. -
Reggio Emilia, 27 aprile 2015 - di Federico Bonati -
Una delle peculiarità delle province emiliane sono i negozi sotto i portici. Le vetrine affacciate sul camminamento espongono i prodotti agli occhi degli acquirenti o dei passanti di turno, proponendo a volte offerte a volte saldi. Tuttavia, è possibile imbattersi in negozi vuoti, corredati di un cartello informativo che dice: "Chiuso". È quanto è capitato in alcuni paesi della cosiddetta Bassa: Reggiolo e Rolo nel reggiano, Novi e Rovereto sul Secchia nel modenese.
Una duplice mannaia si è scagliata contro questi esercizi: da un lato la crisi economica cui si è dovuto far fronte dal 2008 sino ai timidi segnali di ripresa degli ultimi anni, dall'altro il sisma del 2012, il cui impeto ha provocato inagibilità e danni annessi.
Quest'ultimo, in particolare è molto visibile nella parte modenese teatro di questo reportage. Il centro di Novi presenta ancora i segni delle ferite del terremoto dell'Emilia, con impalcature e puntellature che lasciano trasparire una mesta somiglianza con le immagini che furono proiettate dopo il terremoto dell'Aquila. Oltre agli edifici lesionati, è possibile osservare negozi e attività attorniate da recinzioni metalliche. Lo stesso scenario si presenta ad otto chilometri di distanza, a Rovereto, dove i negozi si sono trasferiti nei container che costeggiano la strada d'ingresso del paese, quasi a fungere da centro commerciale all'aperto e al tempo stesso come luogo di ritrovo. Una scelta, quella dei container, condivisa in molti dei paesi colpita dal sisma, ma si tratta, nonostante siano passati tre anni, di situazioni provvisorie. C'è chi intende rientrare nei propri negozi, c'è chi ha cambiato location alla propria attività e c'è chi, invece, ha deciso di cambiare completamente aria.
Un cambiamento ben visibile sotto i portici di Rolo, dove numerose attività hanno deciso di chiudere pressate dalla morsa della crisi. È possibile riconoscerle, come spiega la titolare di uno dei bar del centro, grazie a delle foto della Rolo antica che coprono completamente le vetrine. Risulta desolante camminare e accorgersi di quante di queste foto sia tappezzato il centro. Ciò è riscontrabile anche a Reggiolo, dove ci sono sia negozi vuoti che appongono il cartello "Affittasi", sia attività che hanno dovuto trasferirsi dopo il sisma. Attività come il noto bar "Certe Notti", un tempo ritrovo per i giovani provenienti dai paesi limitrofi, ora solo un ricordo nella galleria di via Matteotti.
L'auspicio di tanti cittadini è che le impalcature e i negozi vuoti siano in un futuro molto prossimo solo il ricordo di un tempo andato, e ne è senza dubbio la riprova il progetto "Facciamo Centro" che prosegue il suo iter e la sua evoluzione nella città della Rocca. Una speranza che si nota negli occhi dei passanti e dei commercianti di tutte queste zone, speranza accostata tuttavia al timore che ciò resti solo un sogno. Un timore che può e deve essere spazzato via, dagli interventi delle autorità, delle associazioni, dei privati cittadini, al fine di poter rivivere davvero il centro dei propri paesi come un tempo e ancora meglio, per non ritrovarsi, magari tra altri tre anni, a dover ricommentare le stesse immagini.
Tempi di crisi. Alle volte basta un po' di ottimismo e farsi forza con i piccoli o grandi segnali positivi. Nel primo trimestre 2015, i fallimenti sono calati dello 0,5%.
di Virgilio Parma, 19 aprile 2015 –
Piccoli segnali di ripresa o almeno sensazioni concrete che le cose stanno andando meno peggio di prima.
Il dato che emerge dall'Analisi dei fallimenti in Italia, aggiornata al primo trimestre, realizzata da Cribis D&B, la societa' del Gruppo Crif specializzata nella business information, fotografa
una situazione di miglioramento. Nel primo trimestre i fallimenti sono stati 3.803 in confronto a un 2014 che, con ben 15.605 fallimenti, aveva conquistato la maglia nera di annus horribilis.
Mai un dato così alto negli ultimi 5 anni.
Per dare un'idea più precisa del fenomeno basti pensare che rispetto al primo trimestre del 2009 il numero dei fallimenti e' cresciuto del 72,7%.
In media nel 2015 sono fallite 43 imprese ogni giorno, quasi due imprese ogni ora. Dal 2009 a oggi inoltre si contano 78.978 imprese che hanno portato i libri in tribunale. Numeri di una guerra che. auguriamoci, stia per concludersi.
La crisi Ucraina apre il sipario del teatrino europeo e dimostra al mondo intero la disunione sempre più marcata. L'Italia deve impedire che in Ucraina si commetta lo stesso errore commesso in Libia.
di Lamberto Colla - Parma, 15 febbraio 2015 -
Quanto accaduto in Ucraina affonda in radici profonde sin dalla riunificazione delle due germanie e forse ancor prima, alla metà degli anni '50. L'apertura alla riunificazione della Germania da parte dell'URSS, guidata all'epoca da Gorbaciov, si reggeva anche e soprattutto sulla clausola, "non scritta" ma sostanziale, che l'europa e la NATO non sarebbero avanzate di un centimetro verso la Russia.
Invece, prima una poi l'altra, diverse regioni dell'ex Unione Sovietica vennero attratte dalle lusinghe delle "Sirenette" europee.
Grandi concessioni economiche e privilegi vari furono messi a disposizione dei poveri Paesi dell'est per indurli a abbandonare le coperture della Russia e passare oltre cortina richiamati dalla prosperità e dalla democrazia occidentale.
Uno specchietto per allodole creato appositamente per allargare il mercato dell'UE e contestualmente per ridurre l'ingerenza politico militare della Russia sui Paesi di confine. Poco poté contrastare la Russia, in quel periodo stretta come era nella lotta alla povertà da un lato e alla riorganizzazione politico amministrativa dall'altro, e ancora molto lontana dalla valenza economica conquistata sotto l'era Putin.
La goccia che fece traboccare il vaso di Putin fu la Crimea, regione Russa da sempre, che solo per ragioni amministrative interne, a seguito di in un processo di decentralizzazione dei poteri avviato dal leader sovietico Nikita Chruščëv nel 1954, venne sottoposta al controllo della "provincia" Ucraina. Un processo interno come avvenne in Italia quando si costituirono le Regioni e a loro venne trasferito anche il potere legislativo, seppure limitato al settore agricolo.
Tant'è che sarà ben difficile trovare un nativo della Crimea dichiarare di non sentirsi Russo. L'errore di Mosca fu di non riportare quella regione sotto il controllo centrale d'orgine storica e etnica appena prima dello scioglimento dell'URSS non immaginando, forse, che sarebbe potuto accadere quanto invece è successo.
Oggi, a quasi 25 anni di distanza, l'Unione Europea ma soprattutto il Patto Atlantico è alle porte della Russia e la cosa non può far dormire sonni tranquilli al leader Vladimir Putin il quale, come ultima ratio, ha deciso l'uso della forza a difesa dei connazionali e dei confini nazionali. Non che si giustifichi, con questa affermazione, l'azione di Putin ma, se la corda si è strappata, l'UE e gli Stati Uniti sono altrettanto responsabili quanto la Russia per il conflitto civile che si è scatenato in quella regione dell'est.
Proprio per questa ragione, l'Unione Europea avrebbe dovuto intervenire per spegnere le fiamme sul nascere invece di buttare altro liquido infiammabile. Unita avrebbe dovuto dialogare con Putin prima e con la nuova leadership ucraina per negoziare una pace duratura. Già se l'Europa fosse unita e invece, come ormai siamo abituati a vedere, l'UE è di pochi legati come burattini agli USA. Obama chiama e Francia, Germania e Inghilterra rispondono. Ma questa volta hanno di fronte una rinnovata superpotenza, militare come la era prima del muro di Berlino ma anche economica e piegarla sarà ben difficile.
Forse meglio sarebbe stato coinvolgere Putin nella lotta al terrorismo internazionale e alle minacce dell'ISIS piuttosto che sfidarlo in casa propria.
L'Europa avrebbe dovuto alzare la testa e porsi come interlocutore unico e autorevole.
Invece è riuscita a perdere l'occasione per dimostrare che da "Je suis Charlie" qualcosa avesse imparato e che realmente un processo di cambiamento si sarebbe avviato nel vecchio continente.
Quel bel ritratto dei capi di Stato accoccolati attorno al "ferito" Hollande è servito solo a fare rialzare la popolarità del presidente francese, decaduta per sue colpe di natura politica e di natura personale.
Un ritratto che, alla luce dei fatti odierni, appare ancor più patetico e falso; l'ennesimo simbolo di demagogia sulla quale stanno proliferando le politiche europee.
E per non smentire il teorema ecco che, a discutere la ripacificazione prendono l'iniziativa Francia e Germania dimenticandosi a casa nientemeno che l'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, quella Federica Mogherini che ricopre l'incarico da poco più di due mesi e lo manterrà per i prossimi 5.
Tanto era contenta la Merkel di andare a Minsk che ha persino fatto concessioni alla Grecia giusto per far capire quanto gliene freghi del popolo ellenico. L'importante è non cacciar moneta e prendersi i meriti.
Si sta riproponendo lo stesso errore commesso in Libia.
Allora furono Francia e Regno Unito a partire con i bombardamenti oggi Francia e Germania a spadroneggiare la situazione al soldo di Obama ma le conseguenze negative verranno equamente ripartite tra i soci di minoranza della "UE spa".
Questa volta, a differenza della crisi libica, l'Italia bene farebbe a imporsi soprattutto alla luce del fatto che l'Europa è definitivamente consumata.
Val la pena di rialzare la cresta e far valere la forza della ragione invece della ragione della forza e il veto all'ingresso dell'Ucraina in UE sarebbe il primo passo per riportare l'attenzione sulle questione prettamente politiche.
E, dopo la fase ostruzionistica, aprire un confronto aperto ma duro sul fronte dei confini terrestri e del mediterraneo e sulla sicurezza del continente e in questo la Mogherini dovrebbe fare valere il proprio ruolo internazionale per stimolare una rinnovata politica internazionale dell'Unione.
Altrimenti tutti a casa propria come era un tempo e... chi ha più filo fa più tela!.
Coldiretti, la famiglia è diventata il nuovo Welfare, dalla casa alla tavola.
di Virgilio Parma 10 febbraio 2015 - I piccoli segnali di ripresa vantati dal premier Renzi si scontrano con la dura realtà.
E' ormai certificato anche dagli istituti di ricerca, che i risparmi accumulati in una vita di lavoro da parte dei genitori e dei nonni sono stati messi a disposizione dei più giovani ma anche di quelli che, per quanto in età matura, ancora non hanno trovato occupazione o il lavoro l'hanno perduto.
A uno solo nei casi meno sfortunati, ma alle volte a entrambi i componenti attivi della famiglia, viene a mancare il sostegno lavorativo con grave danno economico e personale e ecco che, nella difficoltà, i legami familiari e la solidarietà entrano prepotentemente e generosamente in gioco a conferma dell'importanza sociale del nucleo familiare.
Quasi 4 italiani su dieci (37 per cento) hanno chiesto aiuto economico ai genitori che anche quando non coabitano restano un solido punto di riferimento per i figli. E' quanto emerge da una indagine Coldiretti-Ixe' in riferimento ai dati Eurostat del 2013 in base ai quali i si evidenzia che in Italia due giovani su tre (65,8 per cento) vivono in famiglia: nella fascia d'età tra i 18 e 34 anni.
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