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Sabato, 02 Marzo 2019 11:33

Operazione "I signori degli anelli"

Concluse le operazioni dei carabinieri forestali di Forli Cesena, in collaborazione con ornitologi della lipu, su alcuni allevamenti di uccelli selvatici della provincia: sequestrati 2.000 uccelli vivi tra tordi, merli, cesene e allodole, cinque le persone deferite all'autorità giudiziaria - gli uccelli sono stati in parte gia' liberati in natura

Oltre 2mila uccelli sequestrati e 5 persone deferite all'autorità giudiziaria. E' l'esito di una grossa operazione che i Carabinieri Forestali del Gruppo Forli-Cesena, coadiuvati da esperti ornitologi della Lipu e da medici-veterinari dell'AUSL, hanno effettuato nel mese di gennaio di quest'anno in alcuni allevamenti di avifauna selvatica nella provincia di Forli-Cesena.
Gli uccelli sequestrati appartenevano alle specie tordo bottaccio, tordo sassello, merlo, cesena e allodola. Nello specifico i militari della Forestale hanno passato al setaccio diversi allevatori di avifauna selvatica accertando che numerosissimi uccelli detenuti per la vendita erano sprovvisti degli anelli identificativi chiusi che, per legge, devono essere apposti alle zampe degli animali entro 10 giorni dalla nascita diventando inamovibili con la crescita dell'animale, attestando così l'origine lecita degli esemplari in virtù del codice identificativo univoco impresso su ogni anello.

Altri animali erano provvisti di anelli di dimensioni superiori al consentito, che erano amovibili e pertanto non idonei a garantire che gli esemplari fossero nati negli allevamenti. E altri ancora avevano anelli manomessi, allargati per poter essere inseriti alle zampe di animali adulti catturati illegalmente in natura con reti o trappole, e poi ristretti attorno alle zampe per restituire all'anello le forme originarie ed ingannare i controllori.

Un'ulteriore pratica illegale rilevata è stata l'applicazione di "anelli identificativi chiusi" ma comunque irregolari in quanto di misure superiori al consentito, poiché destinati a specie avifaunistiche di dimensioni corporee maggiori: in questi casi i diametri maggiori interno ed esterno facilitano l'inserimento dell'anello ad animali già adulti. Questa pratica consente di registrare falsamente gli animali come "nati in allevamento" sui registri di carico e scarico in uso ai singoli allevamenti e poi avviati alla vendita a scopo ornamentale, come richiami vivi nell'esercizio venatorio da appostamento, come soggetti riproduttori per altri allevamenti oppure per essere utilizzati nelle mostre ornitologiche a fini espositivi.

Nel corso delle perquisizioni svolte sono state trovate e sequestrate anche pinze e presse, una ancora sporca di sangue, impiegate per le illecite operazioni di restringimento degli anelli nonché anelli alterati.

Alla base di queste prassi illecite ci sono precisi interessi economici: allevare e svezzare pullus di uccelli di specie selvatica in cattività risulta particolarmente oneroso in termini di tempo e risorse e quindi è diffusa fra alcuni allevatori la prassi illecita di acquisire esemplari adulti sul mercato nero degli uccelli selvatici, illegalmente catturati in natura con reti, trappole ed altri strumenti illeciti, per poi marcare gli animali già adulti con i contrassegni identificativi del proprio allevamento con le modalità illecite sopra descritte, registrarli come "nuovi nati in allevamento" sui registri di carico e scarico e come tali venderli. Tale commercio risulta particolarmente redditizio a livello economico con prezzi di singoli esemplari che raggiungono anche diverse centinaia di euro; il valore di mercato degli esemplari sottoposti a sequestro è stimato tra i 150.000 e i 200.000 euro.

Circa 500 volatili rinvenuti privi di anello all'interno delle voliere presenti negli allevamenti sono stati immediatamente rimessi in libertà in quanto, a seguito di esame medico-veterinario, ritenuti idonei al reinserimento in natura. I rimanenti sono stati trasportati presso centro di recupero "Il pettirosso" di Modena dove si procederà al delicato lavoro di rimozione degli anelli (che sarà effettuato da ornitologi specializzati) ed sl successivo reinserimento in ambiente naturale.
Le attività di polizia giudiziaria condotte dai Carabinieri forestali e coordinate dalla Procura della Repubblica presso il Trinunale di Forli' hanno interessato allevamenti di avifauna presenti nella provincia di Forlì-Cesena e gli illeciti riscontrati hanno portato all'inoltro della predetta Autorità Giudiziaria di un egual numero di denunce che hanno riguardato cinque persone coinvolte a vario titolo nella conduzioni degli allevamenti.
Alle persone denunciate sono stati contestai reati in violazione della normativa sulla protezione della fauna selvatica (articolo 30, coma 1, lettera "l" della legge 157/1992) con pene da due a sei mesi di arresto o l'ammenda da 516 a 2.065 euro e sull'alterazione dei sigilli (articoli 468 e 471 del codice penale in relazione alla contraffazione e all'uso abusivo degli anelli di identificazione equiparati a pubblici sigilli) con pene che variano da uno a cinque anni di reclusione e multa fino a 1.032 euro.

Con l'operazione "I Signori degli anelli" si ritiene di aver inflitto un significativo colpo alla attività illecita e che vedeva commercializzati e venduti a ignari cacciatori (che li usavano come richiami vivi per la caccia da appostamento), di varie regioni del Centro Italia, uccelli provenienti da catture illegali.

Pubblicato in Ambiente Emilia

Si è concluso con l'assoluzione, perché il fatto non sussiste, il processo promosso dinnanzi al Tribunale di Parma sulla base di un verbale degli agenti zoofili della Lipu (Lega Italiana Protezione Uccelli) nei confronti del titolare di una azienda faunistica venatoria situata nel zona pedemontana.

Di Virgilio 

Parma 10 maggio 2018 - Ad essere assolto è stato l'ottantanovenne Q. C., titolare dell'azienda faunistico venatoria (a.f.v.) di Sant'Uberto che si trova nel territorio del Comune di Felino e, in parte, di Parma e Langhirano.

I fatti sono risalenti al 2013 quando, alcune guardie zoofile della Lipu, avevano operato il sequestro penale di una "trappola Corbeau", consistente in una gabbia nella quale i corvidi (corvi, gazze) possono entrare ma non uscire, situata nell'azienda faunistico venatoria.

 Nel verbale veniva ipotizzata la violazione dell'art. 30 della legge sulla caccia che punisce l'esercizio venatorio in tempi di chiusura e con mezzi non consentiti.

La legge è molto severa in proposito, tanto che il Pubblico Ministero aveva chiesto - si legge nella sentenza - una condanna superiore rispetto ai limiti imposti dall'art. 30.

Alla fine però gli argomenti sostenuti dall'avvocato Stefano Molinari hanno avuto la meglio: il difensore ha prodotto una copiosa documentazione proveniente da istituti scientifici che legittimano l'uso del tipo di trappola sequestrata dalle guardie volontarie ed ha impostato una linea difensiva che si basava anche sulla innocuità della medesima trappola in mancanza del richiamo vivo che rappresenta, in una con il cibo, l'elemento essenziale di attrazione.



A suffragare sul piano tecnico-scientifico la sua tesi, la difesa ha portato in Tribunale il tecnico faunistico dott. Luca Cassoni il quale ha illustrato la natura delle Aziende Faunistiche Venatorie (a.f.v.), degli Ambiti Territoriali di Caccia (ATC), le diverse modalità di contenimento degli animali "problematici", le principali tipologie di mezzi utilizzati (fra cui le trappole Corbeau e Larsen per i corvidi), le modalità con cui le Autorità pubbliche preposte attuano il contenimento delle specie "opportuniste" (in passato definite "nocive"), in primis gazze e cornacchie, che, a causa del loro incremento, determinano squilibri ambientali in danno di altre specie.

Questa interpretazione delle norme non si discosta dalla prassi adottata dal Corpo delle guardie provinciali professionali le quali, in casi analoghi, contestano la caccia di frodo in presenza del richiamo considerando viceversa come semplice detenzione il possesso di trappole prive dello zimbello.



All'esito del dibattimento il Giudice Monocratico dr.ssa Maria Cristina Sarli ha assolto l'imputato perché "il fatto non sussiste" facendo propria la tesi difensiva, ritenendo che non sia stata raggiunta la prova degli elementi costitutivi del reato in quanto:

"-la gabbia sequestrata sia da considerarsi un mezzo vietato e che essa fosse destinata alla caccia e non al controllo degli uccelli "opportunisti";
-tale strumento fosse in grado di catturare uccelli selvatici posto che non risulta che al suo interno fosse stato collocato un richiamo vivo o del cibo per attirare gli uccelli;
-l'intenzione del "QC" fosse quella di svolgere attività di caccia in periodo vietato";

Il Giudice ha conseguentemente disposto il dissequestro e la restituzione della trappola al legittimo proprietario.

trappola-per-corvidi.jpg

 

( nella foto un esempio di  trappola per corvidi )

 

Pubblicato in Agroalimentare Parma