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Lunedì, 01 Marzo 2021 08:53

LURETTA – Colli piacentini nel segno dell’innovazione In evidenza

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da L'Equilibrista @lequilibrista27 Piacenza 1 marzo 2021 - La tentazione di fare prodotti innovativi lavorando con quanto è a nostra disposizione in natura è certamente una delle sfide più difficili che ci siano. Talvolta trovano compimento e quando si è capaci di seguire le proprie inclinazioni e le proprie idee, ci si sente liberi di sognare e di osare.

Parlo con Carla Asti, incrociata talvolta nelle tante degustazioni fatte e mai approfondite perché si pensa ci sia sempre tempo per farlo, ma mai come adesso il valore del contatto e delle occasioni sono preziose e rare. Chiacchieriamo al telefono stavolta e per l’intervista mi convinco che Carla sia una grande amante del suo lavoro, la persona giusta da intervistare perché è una donna da Pinot Nero fra l’altro, quindi esigente, puntigliosa, ricercatrice di eleganza e soprattutto lontana dagli schemi.
Achab, il suo pinot nero, rappresenta la difficile impresa nel produrlo proprio come il capitano Achab per cacciare la balena bianca, quindi l’esigenza di trovare sottigliezza e profumi rinnegando vaghe similitudini ed echi di rusticità.

Di Lucio Salamini invece, il figlio di Carla, penso si debba parlare per il suo palato, forse educato dai genitori dai quali ha ereditato il rigore e la consapevolezza di un lavoro che deve continuare senza sosta seguendo qualità e linearità. Selin del’Armari ed il Corbeau sono senza dubbio le sue scelte da quanto apprendo. Pensate che la tradizione voleva che nell’armadio o “lArmari” in dialetto piacentino, fossero conservate le più buone chicche che potessero essere espressione del territorio ed ecco il perché del nome, lo stesso che io conosco come “al tuler” per osmosi reggiana.

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Luretta prende il nome dal fiume omonimo e precisamente si colloca fra la Val Tidone e la Val Trebbia, creando quello che oggi possiamo chiamare continuità, dal momento che negli anni 90 la viticultura da queste parti era quasi inesistente.

Il cammino per arrivare alle certezze di oggi è passato dalla certificazione ICEA che ha sancito la vocazione al biologico che la cantina ha sempre avuto, ricercando le caratterizzazioni che la Val Nure riesce ad esprimere grazie alle sue marne argillose e che la Val Luretta ritrova in altitudine, dove sono le marne calcaree stavolta ed i terreni poveri a decretarne il successo dei suoi bianchi.

L’impegno per la ricerca di vitigni autoctoni, quali la Malvasia, la Barbera e Bonarda, da cui otteniamo il popolare Gutturnio, va a braccetto con la vocazione internazionale che vede in prima fila quel cabernet sauvignon che sta riscuotendo tanto successo e seguaci. Lo Chardonnay e Sauvignon Blanc invece sono la prova che sia possibile produrre vini da invecchiamento a stampo internazionale anche da queste parti, caratterizzati pur sempre da nomi di fantasia sfatando il mito del frizzantino che poco ha nelle corde questa cantina. Da qui forse la propensione per un metodo classico, iniziato a produrre in tre versioni con uno Chardonnay 100%, un pas dosè composto da 60% pinot nero e 40% Chardonnay, per finire con un ricercato rosè de saignee da pinot nero 100%, frutto di una breve macerazione sulle bucce.

La differenza la fanno ancora i dettagli e la scelta precisa di utilizzare il Castello di Momeliano a Gazzola, situato proprio nel mezzo dei vigneti di proprietà, nelle cui cantine affinano i vini fermi in barrique e le cataste del metodo classico dai 3 ai 9 anni, significano pianificazione e senso del bello a mio avviso. Caratteristiche mantenute tali da peculiarità uniche, quali umidità elevata, silenzio assoluto e buio costante.

Riserva Roncolino, da PINOT NERO 100% Rosè, è considerato praticamente un cru anche nell’Atlante del vino piacentino, e che vede la sua massima espressione nel Magnum, unico formato prodotto e riservato solo alle grandi annate. Approccio che certifica classe, stile e qualità.

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Mi soffermo sull’Atlante del vino piacentino con Carla perché scritto dal figlio, Lucio Salamini, Vittorio Barbieri e Stefano Pizzamiglio i quali descrivono e restituiscono una nobiltà alla malvasia ferma nei colli piacentini, una nobiltà ed una ricercatezza che non ha precedenti, perché custodi e promotori appassionati prima che produttori anche degli altri vitigni coltivati con maestria e distinzione.
Pensare che è solo il 4%, ma evidentemente sufficiente per farne un vino bandiera per la zona, anche perché nonostante la si vede disseminata in tutto il Mediterraneo, solo qui è capace di potenzialità enormi tanto da regalare in zona la sua massima espressione. Quindi celebriamola, facciamone un vanto perché rientra fra le cose belle delle quali vale la pena scrivere e raccontare.
Malvasia di Candia aromatica presente su ben 660 ha sui 930 ha totali in tutto il Mondo, significa decretarne assoluta ricercatezza e soprattutto che il lavoro dell’uomo è fondamentale e che diventa straordinario quando anche la zona ne certifica l’assoluta vocazione. Tale ne è la loro conoscenza, che hanno deciso di produrre un Vermouth base Malvasia aromatica di Candia.

Discorso a parte per la Val Nure, dove si coltivano il Cabernet, lo Chardonnay e Pinot Nero. Riecheggiano tutt’intorno brezza ed un senso di freschezza che la gola nella quale è immersa, riesce a favorire la concentrazione di profumi ed una progressione olfattiva davvero invidiabile.
Il terreno è qui composto da calcari, quindi è povero e roccioso, perfetto per i bianchi di stile eclettico e centrale, capace di regalare sobrietà a quel pinot nero stile Borgognone che lo vede snello e scarico di colore. Qui Carla forse lascia la sua firma, ricordandomi che questo vitigno va trattato male per valorizzarlo, cioè serve farlo lavorare in condizione critiche per valorizzarlo al meglio in estrema sintesi.

La cosa intrigante che emerge dal racconto di Carla è la propensione al mercato estero che questa famiglia sa esprimere, lo certifica anche il premio più prestigioso legato allo chardonnay che viene assegnato in Borgogna, chiamato “Chardonnay du Monde”, al quale la cantina partecipa da anni con il Selin d’Armari collezionando ben 2 ori, 6 argento e 1 bronzo finora. Pensando che le valutazioni avvengono alla cieca da una giuria tecnica costituita da enologi e sommelier per lo più, il premio pesa tantissimo e testimonia l’impegno e lo spirito di iniziativa che questa famiglia dimostra.

Il futuro è prerogativa di continui cambiamenti, nuove direzioni e progetti lasciati magari in un angolo per essere riscoperti nel momento del bisogno, penso che una cantina così abbia ancora diverse cose nel suo “Armari” e quindi rimango in attesa di essere ancora piacevolmente sorpreso.

 

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L'Equilibrista @lequilibrista27

 

 

 

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