Domenica, 02 Novembre 2025 07:01

La Biblioteca del lavoro: Antonio Moresco In evidenza

Scritto da Francesca Dallatana

I nuovi miserabili. Downwards.

Di Francesca Dallatana Parma, 2 novembre 2025 -

“Zingari di merda”: un reportage scritto con lo scalpello, sul marmo della memoria. Indelebile. Quasi una competizione con la tradizione orale degli zingari.

E’ datato 2008 e pubblicato da Effigie Edizioni. Che cosa c’entra con il lavoro questo taccuino di viaggio con appunti senza ritorno come il cemento a presa rapida?

Il taccuino di viaggio di Antonio Moresco dimostra quanto cultura e stile di vita condizionino la relazione con il lavoro e ne definiscano la tenuta. Quando il senso del tempo e il rapporto con la vita rendano possibile stare dentro le regole richieste e proposte da un rapporto di lavoro formalizzato da un contratto.

Il viaggio.

Da dove fino a dove. Dalla Lombardia fino alla Romania: si parte con la lancetta del serbatoio fissa sulla parola “esaurito, empty”. La lancetta è rotta e allora si spera di raggiungere trionfalmente una delle poche pompe di benzina attive in un giorno di sciopero del settore. Al via: la grande Bmw dalla fiancata fortemente compromessa riesce a fare il pieno di carburante e parte con a bordo l’autore del libro, sul sedile posteriore, Giovanni Giovannetti di professione fotografo a fianco dell’autista Dumitru. Dumitru è stato uno dei frequentatori abusivi della ex Snia di Pavia fino allo sgombero.

Il viaggio verso Trieste, quindi verso la Romania, è il setting del flusso di coscienza dell’autista Dumitru. Agli ospiti italiani della Bmw stracolma di disordine e odori zingari Dumitru illustra per fotogrammi la vita di comunità.

La ex Snia.

Alla Snia si lavorava, dal secondo dopoguerra in poi.. Durante il secondo dopoguerra la ex Snia ha dato lavoro a oltre tremila persone. L’attività: dal trattamento chimico della cellulosa si producevano fibre artificiali e poi solfuro di carbonio. La dismissione dell’azienda ha lasciato i reperti di una grande fabbrica, che si sono trasformati in archeologia industriale. L’area si è prestata all’invasione dei gruppi con tendenza al nomadismo e alla ricerca di spazi dove potersi temporaneamente stabilire. E la comunità di Dumitru ha cominciato a vivere qui. Sui resti della vita di lavoro precedente si è stabilito lo stato nascente – come direbbe Francesco Alberoni - di una diversa vita comunitaria. La possibilità di lavoro ha avvicinato i generi femminile e maschile, proponendo ad entrambi possibilità di riscatto economico, anche qui come nell’Europa tutta. E dove prima ci si è posti anche il tema del rapporto tra i generi, per rendere paritario condizioni e possibilità di lavoro e di mobilità professionale a donne lavoratrici e uomini lavoratori, ora si insedia un’altra comunità con regole diverse e, spesso, totalmente disallineate con la tensione al rialzo della solidarietà espressa dentro la fabbrica.

Antonio Moresco propone un colpo di sonda declinato al passato: “Allora, era la seconda fabbrica di Pavia, dove io ho vissuto per alcuni anni, mandato là dal mio gruppo rivoluzionario. Andavo davanti a quella stessa fabbrica a fare lavoro politico, a organizzare scioperi, lotte, a distribuire volantini, giornali, a fare comizi. Le operaie mi parlavano del lavoro che si svolgeva all’interno, dei veleni chimici, della difficoltò di lavorare con le mani i fili della viscosa. Fino a pochi anni fa è rimasta su un muro vicino all’entrata della fabbrica, molto sbiadita ma ancora riconoscibile, una scritta contro i licenziamenti che avevo tracciato io stesso, quasi quarant’anni prima, una notte con la vernice e il pennello.

Allora andavo ogni giorno davanti la sua facciata e la conoscevo attraverso gli uomini e le donne che ci lavoravano dentro e che uscivano a fine turno dalle sue portinerie.

Un viaggio nel viaggio.

Ancora l’autore: “Adesso, in età diversa della mia vita, penetravo all’incontrario dentro le sue viscere dove vivevano accampati al posto degli operai di allora, i miserabili di questa nuova epoca, quelli espunti da tutte le previsioni e teorie novecentesche sulle future e universali omologazioni e che invece sono riapparsi in massa con le loro antiche facce, la loro disperazione e la loro puzza, gettati a riva da sistemi economici e politici esplosi, dalle nuove derive economiche che abbiamo sotto gli occhi oggi e che immaginano se stesse come superabili.

La guida rende fluida la narrazione. L’attenzione rivolta al nastro d’asfalto verso la Romania permette al racconto una trasparente sincerità. Dumitru accompagna nella sua comunità di appartenenza i due passeggeri suoi compagni di viaggio. Sono tutti giovani gli zingari dell’accampamento. Giovani con la faccia sdentata dei vecchi. Vecchi anche da bambini. Perché costretti a rimanere nel tracciato obbligato della tradizione comunitaria e culturale di appartenenza. La costrizione sembra scritta nel Dna. Forse potrebbe essere debellata solo attraverso una diffusione solidaristica al rialzo ispirata alla cultura del riscatto e dell’autonomia attraverso una graduale ma costante contaminazione valoriale ispirata alla diffusione del diritto al libero arbitrio. Ma chi ha il diritto di insegnare a chi? Dibattito in corso e dai risvolti complessi. Le tutele e i diritti costruiti e conquistati dall’Occidente, in Occidente e per l’Occidente sono incontestabili. Ma non si può trasferire una conquista culturale a chi ne è estraneo.

 La comunità degli “Zingari di merda” (è Dumitru a indentificare in questo modo la sua comunità, Ndr) è più forte del libero arbitrio del singolo. Anzi sembra annullarlo. E il lavoro inteso come strumento di espressione di identità e di raggiungimento di autonomia non è un obiettivo  da raggiungere per alcuno dei protagonisti.  Il gruppo è al centro nella narrazione di Dumitru.

La prima volta che sono andato alla Snia diroccata e occupata da quella massa di zingari, rumeni poveri e nuovi migranti, la notte prima era scoppiata una lotta feroce perché c’era una ragazza zingara che non voleva fare la puttana, mentre il suo fidanzato zingaro la voleva mettere sulla strada.” Antonio Moresco continua il suo rapporto di viaggio tenendo insieme il racconto di Dumitru e gli appunti personali raccolti durante le sue visite presso la Snia.

I matrimoni combinati tra le famiglie: figlie e figli promessi tra padri che osservano le trasformazioni dall’infanzia all’adolescenza e dall’adolescenza all’età adulta. Le ragazze poco più che bambine sono considerate già donne pronte per il matrimonio. E sono proprietà dei padri e del genere maschile. Una dominanza che pare incontestata, nel racconto di Dumitru. Donne e bambini sono le persone maggiormente sfruttate dal gruppo: bambine vendute per motivi di matrimonio, bambini venduti alla strada e ai pedofili, giovani donne obbligate al marciapiede. Un lavoro totalmente fuori dal tracciato del libero arbitrio e – inutile e banale sottolineare ma importante farlo – dalla legalità. E’ questo l’unico lavoro che permette la sopravvivenza insieme ad altri traffici.

E’ un viaggio nel viaggio nel tempo e nello spazio. Che va oltre al tracciato Lombardia-Slatina, Romania. Cerca di fare breccia nelle dinamiche di appartenenza della comunità di Dumitru. Difficilmente trasferibili con le parole.

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Slatina, Romania

La Bmw arriva a Slatina, Romania. Dumitru si rifiuta di rimanere alla guida dal confine rumeno in poi. Ma non rivela la motivazione, che deve essere diversa da quella che formalmente comunica ai due passeggeri. Il fotografo si mette alla guida. Slatina è un grande campo di zingari. Un affresco che si apre sulla vita comunitaria. Pavimenti in terra battuta di case precarie abitate da ampi gruppi, con distese di materassi a terra, donne giovani madri di tanti figli. Tutti giovani con la faccia sciupata e stanca dei vecchi. Rumore di fondo, confusione e freddo di contorno. Stracci come vestiti. Sorrisi forzati senza denti. Occhi vivaci con guizzi di sopravvivenza. Cambiano le coordinate spazio-temporali, ma è la stessa comunità della ex Snia di Pavia. Che vive una vita dal tempo veloce non cadenzato, che sfugge alle regole dell’Occidente in nome di una cultura senza codici scritti e formalizzati ma forte e duratura più della legge scritta.

Una scena del libro è indelebile e permette di avvicinarci alla comprensione di una bolla di mondo diversa rispetto a quella generalmente nota. 

I suoi lineamenti sono giovani. Ma la sua carne è come prosciugata e la sua pelle decrepita.” Ha quarantadue anni. I pavimenti della casa sono di terra. A fianco, un’antenna satellitare. Arriva il muratore. Dumitru scherza: eccolo qui il muratore finito. “Il muratore finito male”, continua Dumitru riportando il linguaggio  tecnico degli annunci di lavoro. In Italia qualcuno di loro ha tentato la ricerca di un lavoro, una collaborazione finalizzata alla ricerca dell’autonomia economica attraverso le vie formali della legalità di un contratto. Ma quella battuta la dice più lunga di un racconto articolato. Il muratore finito male è ritornato in Romania, dove si commercia legna e di tutto per sopravvivere. La vita di Slatina descritta da dentro dai tre autori del libro, l’autore e il fotografo e Dumitru, dimostra quanto la tradizione culturale sia più forte dello stile di vita imposto dal lavoro, come lo si intende in Occidente: luogo di lavoro e orario definiti, regole e retribuzione definiti, modalità di relazione definiti e negoziati e ancora.

La negoziazione del lavoro.

Gli zingari non negoziano. Semplicemente non si ritraggono dalle forti imposizioni della genetica. La più forte è la genetica culturale, quella tramandata di generazione in generazione e filtrata attraverso il setaccio sottile della trasmissione capillare e quotidiana. Il libro di Antonio Moresco e del fotografo Giovanni Giovannetti aprono una riflessione importante sulla possibile integrazione e costruttiva interazione di culture diverse nel mondo del lavoro. Le variabili culturali si modificano con velocità lenta. Necessaria una ampia riflessione. Finalizzata alla valorizzazione, al mantenimento e alla diffusione della cultura delle tutele e del diritto al lavoro e di sicurezza e dignità sul lavoro. In una cornice di risorse scarse è alto il rischio che il fenomeno del dumping sociale, cioè la disponibilità al lavoro a condizioni contrattuali al ribasso, inquini il mercato del lavoro. Rischiando di smantellare conquiste e diritti. Antonio Moresco descrive la comunità stanziatasi alla Snia e parla di: rumeni poveri, zingari e nuovi migranti. Sono i nuovi miserabili. E una società può dirsi civile solo se mette in campo modalità e percorsi di solidarietà al rialzo capaci di annullare l’inquinamento e il rischio di sgretolamento dei diritti e delle tutele.

Antonio Moresco, Zingari di merda. Fotografie di Giovanni Giovannetti. Effigie Edizioni, Milano, 2008

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(Link rubrica:  La Biblioteca del lavorolavoro migrante ” https://gazzettadellemilia.it/component/search/?searchword=francesca%20dallatana&searchphrase=all&Itemid=374 

   https://www.gazzettadellemilia.it/component/search/?searchword=lavoro%20migrante&ordering=newest&searchphrase=exact&limit=30)

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