Mercoledì, 08 Ottobre 2025 08:26

Il trionfo della pancia e la dissoluzione della democrazia In evidenza

Scritto da Prof Daniele Trabucco

Di Daniele Trabucco Belluno, 8 ottobre 2025 - Le più recenti consultazioni elettorali, dalle europee alle regionali, hanno reso evidente un dato ormai strutturale: la crescita costante dell’astensionismo.

Una democrazia che fonda la propria legittimazione sul consenso non può ritenersi pienamente tale se una parte sempre più ampia dei cittadini si sottrae al voto. In questa condizione il potere continua a esercitarsi formalmente in nome del popolo, ovvero è legittimo, ma senza una reale corrispondenza con la volontà effettiva del corpo elettorale. Si produce così una frattura della cittadinanza politica: il legame che dovrebbe unire elettori e istituzioni si allenta, sino a diventare debole e fragile.

La crisi, tuttavia, non si riduce al solo fenomeno dell’astensione. Laddove il voto viene espresso, esso appare sempre meno come frutto di deliberazione razionale e sempre più come reazione emotiva, condizionata da slogan, paure immediate, interessi.

La cosiddetta "democrazia delle pance" riduce la decisione politica a riflesso delle passioni collettive, svincolandola da ogni riferimento alla verità e alla giustizia.

Sorge allora la domanda: è giusto ciò che la maggioranza decide?

La risposta è negativa. La storia documenta come leggi approvate con consenso popolare siano state riconosciute successivamente come radicalmente inique. Se la giustizia si identificasse con la maggioranza, dovremmo ammettere che la schiavitù o la discriminazione fossero giuste solo perché condivise, con esiti contrari alla coscienza morale più elementare. Si obietta che il diritto non sarebbe altro che convenzione, frutto mutevole della volontà collettiva. Un tale presupposto dissolve però il diritto stesso, riducendolo a imposizione contingente. Se tutto ciò che la comunità stabilisce diventa diritto, non vi è più distinzione tra ciò che vincola in senso giuridico e ciò che è mera decisione organizzativa. Un ordinamento inteso in questo modo smarrisce la sua funzione normativa: non ordina, ma registra; non educa, ma riflette interessi momentanei. Si afferma talvolta che la libertà consista precisamente nella possibilità di decidere autonomamente che cosa sia giusto e che cosa sia vero. Una simile concezione della libertà si autodissolve. Una libertà priva di verità non è autentica libertà, ma arbitrio. L’arbitrio non garantisce la libertà di tutti, bensì instaura il dominio del più forte o del più astuto.

Dove ogni opinione vale allo stesso modo, nessuna opinione ha valore reale; dove tutto è permesso, nulla è realmente libero. La libertà si compie solo nella misura di ciò che corrisponde al vero e al giusto. La modernità ha radicalizzato questa obiezione, sostenendo che il problema della verità non esista, poiché la verità non esisterebbe. Un tale assunto, tuttavia, è logicamente contraddittorio.

Affermare che la verità non esiste equivale a proporre almeno una verità: che è vero che la verità non esiste. Il relativismo, nel momento stesso in cui si esprime, si nega. Se tutto è relativo, anche l’enunciato "tutto è relativo" lo è, e dunque può essere falso. Senza verità, neppure la comunicazione è possibile, perché ogni discorso perde senso. L’esistenza della verità costituisce, dunque, la condizione minima e imprescindibile di ogni convivenza e di ogni ordinamento giuridico. Il diritto, di conseguenza, non è convenzione mutevole, né semplice decisione numerica, né arbitrio di una libertà senza misura. È piuttosto riconoscimento e attuazione di un ordine che precede la volontà collettiva e risiede nella natura dell’uomo.

L’essere umano, dotato di ragione e coscienza morale, è orientato a fini che non dipendono dal suo capriccio: la vita, la giustizia, la verità, la possibilità di una convivenza ordinata e pacifica. Un ordinamento che contraddica questi fini può imporsi con la forza, ma non sarà mai giusto. La "democrazia delle pance" e delle poltrone (si veda il penoso teatrino in Veneto per la scelta del candidato del c.d. centro-destra alla Presidenza della Giunta regionale) proprio perché nega questo fondamento, porta in sé il principio della propria dissoluzione. Riducendo la vita politica a somma di emozioni e interessi immediati, essa scivola inevitabilmente nel caos del relativismo o nella manipolazione di élites capaci di dirigere le masse.

L’astensionismo crescente è la manifestazione empirica di tale crisi: gli elettori avvertono che il sistema non è più in grado di esprimere un ordine orientato al bene comune. Una democrazia che perde il riferimento al vero e al giusto non si rinnova, ma muore.

(*) Autore

Daniele Trabucco

Professore strutturato in Diritto Costituzionale e Diritto Pubblico Comparato presso la SSML/Istituto di grado universitario "san Domenico" di Roma. Dottore di Ricerca in Istituzioni di Diritto Pubblico.

Sito web personale

www.danieletrabucco.it

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