Domenica, 29 Giugno 2025 08:51

La Biblioteca del lavoro: Pierre Lemaitre In evidenza

Scritto da Francesca Dallatana

Selezione armata. Anger gun.

Di Francesca Dallatana Parma, 29 giugno 2025 -

Silenti, tentacolari, resistenti: sono gli effetti della disoccupazione di lunga durata. L’ageismo coniugato alla disoccupazione acuisce la frustrazione, la trasforma in rassegnazione. Fino al bisogno fisico ed estremo dell’adrenalina della sopravvivenza. Che si sostanzia in ritiro sociale, depressione, in dipendenza dall’alcol, dal sesso, dal gioco. Oppure in violenza. Il mondo del lavoro è crudele. Infligge umiliazioni. Un lavoratore umiliato rischia di diventare una persona violenta.

“La violenza è come l’alcol o il sesso. Non è un fenomeno ma un processo.” Alimenta sè stessa.

Si presenta in questo modo Alain Delambre, protagonista di “Lavoro a mano armata”, romanzo pubblicato in Italia da Fazi editore nel 2013. Un noir condotto magistralmente attraverso una alternanza di condizioni emotive estreme trattenute sul filo della tensione. La penna è di Pierre Lemaitre. Ha preso spunto da un fatto di cronaca e lo ha messo in scena sulla carta. Ha imposto empatia verso il protagonista e seminato rabbia e critica verso il capitalismo. La pellicola non poteva esimersi dalla proiezione e il giallo a tinte noir è diventato una serie di Netflix.

MiniJob, tra disperazione e riscossa.

Poche ore e paga bassa. Lavoretti. Somigliano ai tirocini socializzanti. Gettonatissimi soprattutto dai candidati con competenze basse. Al protagonista ne capita uno in un magazzino, dove lavora qualche ora ogni giorno al mattino presto. I suoi colleghi di lavoro sono un artista senza fortuna e un alcolista. Il loro capo è un extracomunitario aziendalista più del padrone. “Mehmet non crede di essere il padrone. Di più, lo incarna.” “Secondo una regola vagamente darwiniana, ogni volta che sale di grado inizia a disprezzare i vecchi colleghi e a considerarli alla stregua di lombrichi. Durante la mia carriera ho visto spesso situazioni del genere, e non soltanto tra lavoratori immigrati.” A dirlo è Alain Delambre, cinquantasette anni, disoccupato da quattro, ex responsabile delle risorse umane di una grande azienda. Fatto sta che Mehmet un giorno si permette di dare un calcio nel sedere ad Alain. E lui gli si avvicina, inclina il capo lentamente all’indietro come se cercasse la luna con lo sguardo e gli assesta una testata nel naso. La rassegnazione ha lasciato il posto all’adrenalina della violenza. L’evento porta Mehmet al pronto soccorso e l’ex direttore delle risorse umane al licenziamento.

Servi e padroni.

Prima del plot, i personaggi.

La moglie, le figlie, il genero: è il gruppo familiare di riferimento, che insieme alla stabilità economica perduta presenta ferite emotive superficiali e via via sempre più profonde nel corso del romanzo per gli effetti della disoccupazione di Alain.

I dirigenti dell’azienda dei quali dovrà occuparsi durante il processo di selezione: uomini e donne di rodata esperienza e competenze: yesmen a diversa intensità, tutti contraddistinti da un minimo comune denominatore di allineamento. Servi e padroni si confondono nel processo di selezione.

La disoccupazione e i lavoratori umiliati sono i veri protagonisti del romanzo.

I personaggi sono idealtipi aziendali di rara forza: i capi dell’azienda e il consulente paramilitare, il saggio Charles senza dimora e primo collega citato, Olenka e la delusione rabbiosa per la mancata assunzione dopo dieci mesi di stage senza stipendio, il lavoratore licenziato che rimane al lavoro gratuitamente e nonostante tutto agisce in nome e per conto dell’azienda, il quadro che accetta l’umiliazione di spogliarsi e di mostrare la biancheria intima femminile sotto il completo manageriale involontariamente zuppo dal cavallo dei pantaloni in giù. Un affresco declinato al noir del romanzo dai connotati tanto realistici quanto inquietanti.

Diverse anche le ambientazioni: la casa di una famiglia allo stremo delle possibilità economiche, il magazzino dove si svolgono le azioni del lavoretto, l’azienda, il carcere, ancora l’azienda, la strada e la metropolitana. Ciascuna sottolinea lo stato emotivo del protagonista.

Risorse disumane.

Dopo una ricerca incessante Alain prende parte ad una selezione per la posizione di responsabile risorse umane. Il setting della selezione è la simulazione di un sequestro a mano armata, organizzato dall’azienda.

L’obiettivo è testare la freddezza dei candidati alla posizione per le risorse umane.

A condurre i colloqui rivolti ai quadri sono i due rimasti in corsa, Alain e Juliet. Devono testare la fedeltà dei quadri all’azienda. Per farlo Alain ha preparato i colloqui di selezione con una precisione millimetrica e ha scavato nella vita di ciascuno per fare emergere tutto ciò che il doppio petto aziendale cancella alla visione collettiva. Per farli cadere nella spirale del tradimento, cioè della trasmissione di informazioni riservate.

Il più fedele all’azienda è il lavoratore volontario, licenziato ma rimasto nonostante tutto. Incarna il padrone. Proprio come il kapò Mehmet delle scene iniziati. I servi restano servi qualunque sia il loro inquadramento, scolpisce con le parole Pierre Lemaitre.

La selezione è una messa in scena. Perché in realtà l’azienda ha già scelto Juliet Rivet. E la candidatura di Alain serve solo a dimostrare alla direzione committente la presenza di un ventaglio di risorse disponibili. Disperato, preoccupato e senza altre possibilità, il protagonista accetta la sfida.

La meticolosa preparazione alla selezione/ simulazione di sequestro richiede un supporto economico che Alain Delambre non potrebbe permettersi. Fa carte false. Tiene duro. Fino a che un’altra figura umiliata e offesa dall’azienda non gli rivela che l’azienda ha già scelto Juliet.

Anche questo è un motivo che concorre a trasformarlo in sequestratore. Ma non solo. Il risentimento accende la miccia della violenza. La disperazione reiterata nel corso del tempo si è cristallizzata in una rabbia genetica, dai tratti ancestrali. Dalla quale ci si svincola solo uccidendo.

La città dei senza dimora.

In un saliscendi in preda alla trepidazione e all’agitazione di chi sta facendo di tutto per risalire, le scale della metropolitana spingono il protagonista nel sottosuolo del pensiero e del movimento e lo riportano nella superficie dell’azione. La metropolitana, proiettata nelle pagine del romanzo quasi fossero uno schermo, è una metafora potente. Alla quale l’autore aggiunge la strada delle immobili dimore, cioè le auto inutilizzabili come mezzi di trasporto e diventate giaciglio, salotto e riparo per chi è scivolato giù dalla scala della sicurezza sociale. Poche pagine e di grande forza, prima di entrare nel vortice che trascina l’attenzione del lettore nel cuore del romanzo: la descrizione della strada dove è parcheggiata l’auto immobile di Charles, il compagno di lavoretto nel magazzino con il quale il libro si apre. Le automobili ancorate all’asfalto, targhe e modelli datati, gli adattamenti funzionali all’abitabilità ottenuti con il montaggio di parafanghi da camion, piedistalli stabilizzatori, strutture di protezione dei cristalli. Alain cerca Charles, uno dei suoi colleghi del lavoretto al magazzino e lo trova ad un indirizzo preciso: via e numero civico sono quelli della casa di fronte all’auto parcheggiata. Svela e descrive una parte della città lasciata in penombra dall’attenzione collettiva, eppure frequentata da extracomunitari, francesi disoccupati di lunga durata, persone cadute in disgrazia sociale e accolte dalla strada. La dimora immobile, come la chiama Charles, rappresenta un punto avanzato per i senza tetto: un sedile, il sonno in autonomia, un riparo dalla pioggia e dal sole.

La faccia sporca del lavoro.

Il capitalismo è feroce con i lavoratori. Lo è stato anche con Alain, nella delicata età della ragione. La stessa ferocia Alain Delambre la imbraccia contro gli esponenti dell’azienda per la quale a cinquantasette anni accetta la sfida  di una selezione inusuale. Si prepara. E ripercorre con la memoria le esperienze vissute in precedenza.

Ricorda l’omertà individualistica dei lavoratori negli ambienti di lavoro. Mette in fila criteri e tecniche della selezione del personale, le modalità di licenziamento, l’impersonalità delle relazioni fra colleghi falsamente colorata dall’artificio dei sorrisi di cortesia e dalla adesione ipocrita agli schemi aziendali. Il disoccupato Alain non ha dimenticato il funzionamento di un’azienda, i codici di comunicazione e di condotta. Nello srotolarsi dei fatti l’autore profila una critica affilata al capitalismo e alla disumanizzazione delle relazioni. Solo la letteratura ha la capacità di smascherare la faccia sporca dell’umanità. Affidata a una scrittura affilata come un bisturi.

Pierre Lemaitre, Lavoro a mano armata, Fazi Editore, Roma, 2013

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(Link rubrica: La Biblioteca del lavorolavoro migrante ” https://gazzettadellemilia.it/component/search/?searchword=francesca%20dallatana&searchphrase=all&Itemid=374 

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