Pochi sanno che spesso è un atto dovuto iscrivere sul registro degli indagati il presunto responsabile di tale reato al fine di permettergli di difendersi a prescindere dall’esito delle indagini.
Quindi nulla di nuovo sotto il sole.
Ma il problema non è questo, quanto la circostanza che la notizia è apparsa appunto sui giornali e anche sui social come sempre, e il bagnino è stato massacrato dall’opinione pubblica a motivo del quale, insieme ad un comprensibile rimorso e vergogna, parrebbe si sia suicidato.
E sono proseguiti i commenti cattivi da parte di persone smaniose che venga ripristinata la pena di morte da parte di persone che poi la sera pregano Nostro Signore.
Sul punto ho le mie idee che non collimano con la maggior parte della opinione pubblica e spesso mi accade di immedesimarmi nelle situazioni anche per la professione che svolgo e quindi da una parte faccio mio il dolore dei genitori e dall’altra- in questo caso- di questo ragazzo descritto come mite, dedito al lavoro e vivente a casa con i genitori.
Questo è infatti il punto: il suicidio di una persona per il dolore accumulato laddove la morte che ci si è procurata diventa la riaffermazione di una dignità che si è ritenuta perduta spesso per colpa di altri e mai per il fato.
Per motivi di lavoro ho scritto già in tema di suicidi e posso assicurarVi che non esistono studi clinici che possano escludere a prescindere tale gesto estremo perchè ogni mente ragiona in maniera autonoma ma contorta sino alle estreme conseguenze.
Semmai sono da capire i segnali premonitori di una azione tanto clamorosa quanto drammatica ma anche se si sapessero cogliere il suicidio non può essere oggetto di una seria prevenzione e non ci sono strumenti normativi- a parte del deleterio trattamento sanitario obbligatorio- per impedirlo.
Infatti ci si ammazza senza dare segnali antecedenti salvo rari e vistosi casi.
In vita mia mi è accaduto che ho saputo di persone che si sono tolte la vita senza lasciare scritte le motivazioni di tale gesto e i parenti si sono scervellati per cercare di capire i motivi per cui un parente si sia ammazzato e non trovando risposte se non in un momento di lucida follia del suicida.
E condannando i sopravvissuti ad un ergastolo del dolore nel cercare di capire che cosa non abbia funzionato nella testa del deceduto e con il rimorso degli affetti vicini di non aver compreso appieno le difficoltà del suicida.
Questo accade anche perché molte persone hanno in nuce una depressione latente senza che se ne accorgano scambiandola per tristezza cronica o liquidata da chi sta vicino ”è fatto così”.
In realtà molti hanno carattere solo di facciata perche’ magari dentro hanno l’abisso più profondo andando giù giù giù nel tono dell’umore e quando ci si accorge oramai è troppo tardi e in alcuni casi si mette fine alla propria esistenza come gesto di liberazione.
Nel migliore dei casi si diventa depressi cronici che altro non è che un suicidio emotivo rinnovato ogni giorno.
Le componenti per arrivare al gesto estremo possono essere le più disparate e misteriose anche se in alcuni casi si possono interpretare e sbagliando il più delle volte.
Nel caso del povero bagnino il perfetto mix di gogna mediatica, rimorso e pudore che va di pari passo con la dignità minata da altri.
In pratica la sua testa non ha retto all’urto e ha agito di conseguenza tra la gioia di pochi e il dolore di quasi tutti.
E questo accade perché, al di là di riaffermare il proprio io con il suicidio, spesso la gogna mediatica fa il resto.
Il punto infatti è questo: la fuga di notizie dalle Procure delle Repubbliche.
Sappiamo tutti che sono due mesi che sta andando avanti un vistoso e drammatico dibattito sulla separazione delle carriere tra Pubblici Ministeri e Giudicanti.
Sul punto ci scriverò un articolo ma quello che attualmente mi auspico è che ci sia una netta separazione delle carriere tra i Pubblici Ministeri e i giornalisti (io sono anche pubblicista oltre che giurista) perché non è possibile che notizie così delicate vengono ad essere diffuse senza tenere a mente che dall’altra parte c’è una persona “sputtanata” (scusate ma non mi viene altra parola) che si sente condannata ancora prima che le indagini vengano concluse.
E lo chiamano diritto di cronaca.
Ma quando quest’ultimo diritto urta il diritto alla privacy per un verso e spesso con il segreto istruttorio dall’altro e accade che una persona – ancorchè indagata- non la prenda benissimo di vedersi sui giornali o sui social, figuriamoci quando viene condannato a morte dagli utenti social stessi prima ancora ed eventualmente dalla Magistratura.
E così reagisce in maniera drammatica per pudore.
Io non oso immaginare cosa abbia provato questo bagnino prima di compiere il gesto, cosa provino i genitori del suicida avanti a questo evento dal momento che la morte di un figlio è sconvolgente di suo, ma so solo che neanche lontanamente posso simulare un dolore che non è mio che deve essere stato talmente vasto che la morte è apparsa in tutto il suo drammatico splendore come ancora di salvezza.
Suicida anche per colpa dei social.
Bene bravi bis.
Filippo Teglia Foligno, 28 giugno 2025
Avvocato cassazionista penalista, pubblicista, giurista e docente universitario a contratto.
(immagine generata con Intelligenza artificiale)