Se quest’ultima costituiva la denuncia organica e sistematica di un errore teologico multiforme ma coerente nella sua logica interna, la "Communium Rerum" si presenta come un chiarimento ulteriore, un approfondimento teoretico, un appello alla metafisica della verità in un tempo di dissoluzione dell’essere e del senso.
Al centro dell’enciclica non vi è solo la figura di sant’Anselmo, bensì un’idea-forza: la necessità per il pensiero cristiano di mantenere, in ogni epoca, la fedeltà all’essere oggettivo e alla verità trascendente contro ogni forma di riduzionismo immanentistico.
La scelta di Anselmo, teologo della "fides quaerens intellectum", non è casuale: egli rappresenta l’unità armonica tra fede e ragione, non come parallele giustapposte, bensì come coordinate ontologiche dell’unico atto umano che cerca, ama e riconosce il vero. Il pensiero anselmiano è, infatti, l’espressione limpida di una metafisica dell’essere che si apre alla rivelazione, senza per questo annullare l’autonomia della razionalità, portandola a compimento.
In ciò, Anselmo diventa l’antitesi vivente dell’intellettualismo modernista, che concepisce la fede come espressione della coscienza individuale e del sentimento religioso, svuotandola della sua consistenza ontologica e dogmatica. È proprio tale dissoluzione del reale che la "Communium Rerum" intende denunciare. Il modernismo, lungi dall’essere solo un errore teologico marginale, si configura, nella prospettiva di Pio X, come una rivoluzione epistemologica: esso nega, in radice, la possibilità della verità oggettiva, e con essa la possibilità stessa della rivelazione e del dogma. Si tratta di un’eresia che non colpisce una singola dottrina, ma il principio stesso del conoscere e del credere. La religione viene, in questo modo, ridotta a pura esperienza interiore, a dinamica storica, a coscienza in evoluzione: essa non si ancora più all’essere, ma si dissolve nel divenire. L’oggetto della fede non è più Dio in Sé, bensì l’idea che di Dio si forma la coscienza collettiva dell’umanità in cammino. Contro questa deriva, l’enciclica del 1909 riafferma la centralità della verità come principio ontologico e fondamento epistemico.
La verità non è prodotto del soggetto, ma dato dell’essere; non è una costruzione linguistica, ma una partecipazione all’ordine creato e rivelato. In tal senso, la "Communium Rerum" si pone come atto di resistenza metafisica in un tempo in cui la ragione stessa era posta sotto il segno della frammentazione e dell’ermeneutica del sospetto. Nella visione di Papa Pio X, la verità cristiana non può essere sottomessa ai mutamenti storici senza tradire la sua natura divina e immutabile. La fede, infatti, non è fenomeno psicologico: essa è assenso razionale a una realtà oggettiva che si impone in forza della sua evidenza soprannaturale. Tale prospettiva rende l’enciclica di sorprendente attualità.
Oggi come allora, la tentazione di ridurre la verità al consenso, la dottrina alla prassi, il dogma al linguaggio simbolico, si ripresenta con accenti nuovi ma con medesima struttura intellettuale. L’orizzonte filosofico contemporaneo, segnato dall’esistenzialismo, dal post-strutturalismo e da un pragmatismo ecclesiale diffuso, tende a dissolvere il contenuto del credere in una grammatica della prassi, in una pastorale dell’inclusione, svuotata però di criteri veritativi. In tale scenario, la voce di san Pio X si staglia come richiamo alla dimensione ontologica e metafisica della fede cristiana: non c’è autentica pastorale senza dogma, né autentica carità senza verità. Ma vi è di più.
La "Communium Rerum" è anche una meditazione ecclesiologica: essa mostra come la crisi della verità si rifletta immediatamente in una crisi della Chiesa. Una Chiesa che rinuncia alla propria funzione magisteriale, che abdica alla missione di custodire e trasmettere integralmente la rivelazione, non fa che dissolvere sé stessa nel flusso delle opinioni.
Per Papa Sarto, la Chiesa è "mater et magistra" proprio in quanto è depositaria di una verità che non le appartiene ma che le è affidata. Il Magistero non è, in tale ottica, un potere disciplinare, bensì un servizio alla verità.
Per questo, la lotta contro il modernismo non è una reazione conservatrice, divenendo un atto profetico, un’opera di giustizia nei confronti della ragione e della fede. Alla luce di tutte queste considerazioni, la rilettura della "Communium Rerum" si rivela oggi più urgente che mai. In un tempo in cui la teologia tende a farsi sociologia religiosa e la liturgia rischia di diventare autocelebrazione comunitaria, occorre tornare a pensare Dio in termini ontologici e veritativi.
Occorre riscoprire il primato dell’essere, il fondamento metafisico della rivelazione, l’oggettività del dogma, la trascendenza del mistero.
Non si tratta di un’operazione archeologica: è un atto di fedeltà intellettuale e spirituale a ciò che definisce l’identità cristiana.
(*) Autore
Daniele Trabucco
Professore strutturato in Diritto Costituzionale e Diritto Pubblico Comparato presso la SSML/Istituto di grado universitario "san Domenico" di Roma. Dottore di Ricerca in Istituzioni di Diritto Pubblico.
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