Nato dal confronto critico con la tradizione metafisica occidentale e nutrito dalla lezione del pensiero tragico e di quello negativo, esso si costituisce come un radicale esercizio di decostruzione del fondamento, della verità, dell’ordine e della sostanza.
Al centro della sua riflessione si trova il rifiuto della metafisica classica come via alla conoscenza dell’essere, sostituita da una filosofia del limite, dell’ambiguità e della contraddizione. Tuttavia, questo stesso impianto teorico, nel suo procedere, genera una serie di contraddizioni strutturali che rendono problematico il suo esito e la sua coerenza interna.
Cacciari afferma l’impossibilità del fondamento, la fine di ogni metafisica dell’essere, la crisi irreversibile del "logos" come strumento conoscitivo dell’ordine reale. Egli assume il conflitto ("πόλεμος") eracliteo come cifra strutturale del pensiero e dell’essere, leggendo il mondo non come armonia intelligibile ma come tensione irresolubile.
Il linguaggio, lungi dall’essere mezzo di chiarificazione, si fa testimonianza dell’ambiguità originaria, della dismisura, dell’“oltre” che mai si lascia cogliere. Il pensiero, allora, non conduce al vero, ma al suo occultamento; non alla luce dell’ente, ma all’ombra della sua negazione. Eppure, nella misura in cui Cacciari articola questa posizione attraverso un discorso teoretico che pretende rigore, profondità e universalità, egli ricade paradossalmente in ciò che intende negare. Se ogni fondamento è impossibile, come può il discorso filosofico mantenere coerenza logica e validità? Se il "logos" è guerra, oscurità, ambiguità strutturale, come può esso ancora pretendere di illuminare l’essere, anche solo nella forma dell’assenza?
È questa la prima, profonda contraddizione: un pensiero che afferma l’impossibilità del pensiero come accesso al reale e, tuttavia, continua a esercitarsi come se tale accesso fosse ancora in qualche modo possibile.
La negazione del fondamento non è neutralità, ma essa stessa diventa fondamento in negativo, una sorta di dogmatismo del nulla, in cui il nichilismo viene elevato a principio assoluto. L’antimetafisica si trasforma in nuova metafisica negativa.
Inoltre, Cacciari recupera, con accenti a tratti mistico-teologici, la dimensione della "assenza di Dio", facendone il cuore di una teologia tragica, in cui il divino è silenzio, oscurità, ritrazione. Ora, in questa teologia del negativo, Dio non è più l’i"psum esse subsistens" della tradizione tomista, cioè atto puro, perfezione assoluta e intelligibile, bensì pura mancanza, abisso, cifra dell’inafferrabile. In tal modo, si compie un rovesciamento completo dell’"analogia entis": laddove Tommaso d’Aquino (1225-1274) fonda la possibilità della conoscenza di Dio sulla partecipazione finita all’essere, Cacciari spezza ogni continuità tra finito e infinito, facendo dell’incommensurabilità il principio.
E, tuttavia, egli continua a parlare di Dio, a interrogarlo, a scriverne, come se l’assenza fosse ancora presenza implicita, come se il nulla stesso fosse significativo. Anche qui la contraddizione è evidente: si nega la possibilità della teologia, ma se ne conserva l’apparato, si rifiuta la trascendenza, ma la si evoca in ogni pagina. Il pensiero di Cacciari è attraversato inoltre da un uso costante di categorie teoretiche (negazione, paradosso, dismisura, assenza, impossibilità) che, pur volendo distruggere l’ordine classico del pensiero, ne riprendono la struttura argomentativa, l’impianto razionale e la forma sistematica. In tal modo, si realizza una forma di "metafisica negativa" che pretende di dissolvere ogni verità, ma lo fa attraverso un discorso che si pretende vero.
È la tensione irrisolta tra lo stile e il contenuto, tra la forma e la sostanza: una filosofia che vuole essere pura apertura all’evento, ma che si struttura come un sistema implicito. Infine, si pone una questione decisiva: se la verità è inattingibile, se ogni fondamento è illusione, se il linguaggio è sempre inadeguato, perché continuare a pensare? Perché scrivere? Perché cercare di trasmettere un pensiero se il pensiero stesso è impossibile? La filosofia di Cacciari, pur volendo liberarsi da ogni teleologia e da ogni pretesa di verità, continua ad agire in nome di un’esigenza di senso. E questo è forse il suo limite più profondo: volere il nulla, ma non potere fare a meno del senso. In questo paradosso si manifesta la contraddizione fondativa di ogni nichilismo speculativo, e il pensiero di Cacciari non sfugge a questa legge.
Nel momento stesso in cui afferma che tutto è in crisi, egli continua a pensare come se qualcosa ancora valesse, come se la filosofia potesse ancora dire il vero, almeno nella forma della sua impossibilità. E così, il nichilismo si rovescia in una nuova, più sottile metafisica dell’enigma.
Foto Roberto Vicario
(*) Autore
Daniele Trabucco
(Professore strutturato in Diritto Costituzionale e Diritto Pubblico Comparato presso la SSML/Istituto di grado universitario "san Domenico" di Roma. Dottore di Ricerca in Istituzioni di Diritto Pubblico nell'Universitá degli Studi di Padova)