Lunedì, 14 Febbraio 2022 06:04

Festival Verdi. Da Parma a Bologna, Perché? In evidenza

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Foto di repertorio - Teatro Regio Parma - PH- Francesca Bocchia Foto di repertorio - Teatro Regio Parma - PH- Francesca Bocchia

Di Raffele Viggiano (*) Parma, 13 febbraio 2022 - Il Festival Verdi “è un marchio di fabbrica”, un carattere distintivo, un onore per Parma che lo celebra nel proprio teatro.

È punto di vanto e di orgoglio della città, che celebra Verdi, che ha avuto i natali nelle terre verdiane, con rappresentazioni e con studi approfonditi delle partiture (a Parma e non a Bologna ha sede l’Istituto Nazionale di Studi Verdiani).

La città di Parma e le terre verdiane, hanno le professionalità tali da poter garantire l’esecuzione di qualsiasi opera del cigno di Busseto, caratterizzandone il colore vocale ed interpretativo, in perfetta armonia, con le volontà espresse dal compositore.

Il Teatro Regio di Parma, da sempre, ha un coro con eccellenti professionisti, che nei decenni hanno forgiato le loro voci, grazie anche ad ottimi maestri (Gandolfi-Egaddi-Faelli-Faggiani), ottenendo una qualità vocale che si piega a tutti i repertori e particolarmente a quello verdiano.

L’attuale coro ha raggiunto una qualità, riconosciuta da tutta la critica, tra le migliori al mondo.

Esiste poi una parmigianità strettamente verdiana negli appassionati del loggione, orgogliosi di perpetrare una tradizione centenaria di “orecchio fine” verdiano.

A Parma per il Festival Verdi 2022, viene affidato il titolo più importante e di apertura al Teatro di Bologna che è anche il reale ideatore della produzione, essendo partner istituzionale del Festival Verdi: un’autentica delocalizzazione ideativa e progettuale del nostro Festival.

Tale scelta inaccettabile inizia alcuni anni fa con l’assegnazione di produzioni a orchestra e coro di Bologna, con sottrazione di giornate lavorative per il coro del Regio di Parma, senza che mai la dirigenza di Parma abbia portato le proprie maestranze artistiche a Bologna…un “do senza mai un des”, un teatro aperto ma solo per importare da Bologna e mai per esportare (per questo Festival anche orchestra e coro dal Teatro del Maggio di Firenze).

Ciò provoca un grosso danno economico al coro che negli ultimi anni, da quando è iniziata la colonizzazione di Bologna, ha visto ridurre a meno della metà le proprie giornate lavorative.

Questo determina la distruzione di un coro, autentico tesoro culturale della nostra città, ritenuto da tutta la critica il vero punto di eccellenza del Regio, in ogni produzione lirica. Il Festival se ha avuto lustro a livello internazionale lo deve anche al proprio coro. La scelta di farsi colonizzare da Bologna comporta anche un depauperamento, già previsto dalla Direzione del Regio di Parma, di altri settori fondamentali e strategici indispensabili per l’andata in scena di un’opera lirica (sartoria, maestri collaboratori, personale di un’accademia che è stata creata per il trucco e per le acconciature ecc.).

L’operazione di colonizzazione si prevede che abbia un seguito e che il Regio, con tale scelta, possa venire completamente svuotato diventando un “contenitore vuoto” per produzioni artistiche pensate altrove e con maestranze provenienti da Bologna o da altri teatri. 

(*) Raffaele Viggiano

(delegato dal Presidente del Coro del Teatro Regio di Parma  Manuel Ferrando per i rapporti con la stampa)

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(Teatro Regio Parma - PH. Antonio Nunno)