Domenica, 21 Febbraio 2021 10:40

"Dentro la Costituzione" -  Le criticità del Regolamento UE «DUBLINO III» in materia di asilo politico In evidenza

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Sesto appuntamento con la rubrica "Dentro la Costituzione". Ogni domenica, il Professor Daniele Trabucco, entrerà tra le pieghe della nostra Costituzione per svelarne i contenuti noti e meno noti. Un'analisi critica spiegata con semplicità, partendo anche dai fatti di attualità. "Le criticità del Regolamento UE «DUBLINO III» in materia di asilo politico."

Di Daniele Trabucco (*) Belluno, 21 febbraio 2021 - Agli stranieri la Costituzione italiana riserva alcuni diritti riassunti sotto l’etichetta di diritto di asilo. 

È quella situazione giuridica soggettiva riconosciuta dall’art. 10, comma 3, Cost. allo straniero, «al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana», di trovare rifugio nel territorio italiano. 

Accanto alla disposizione costituzionale ora richiamata ed alla Convenzione relativa allo status di rifugiato, conosciuta anche con il nome di Convenzione di Ginevra del 1951, un trattato internazionale multilaterale delle Nazioni Uniti che definisce chi è rifugiato, quali diritti possono essere esercitati dai singoli che hanno ottenuto l’asilo, nonché le responsabilità delle Nazioni che garantiscono l’asilo medesimo, troviamo il regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’Unione Europea del 26 giugno 2013, in vigore dal 01 gennaio 2014, che definisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide (c.d. Dublino III). 

Il principio generale alla base del Regolamento n. 604/2013 è lo stesso della vecchia Convenzione di Dublino del 1990 e di Dublino II: ogni domanda di asilo deve essere esaminata da un solo Stato membro e la competenza per l'esame di una richiesta di protezione internazionale ricade in primis sullo Stato che ha svolto il maggior ruolo in relazione all'ingresso e al soggiorno del richiedente nel territorio degli Stati membri, salvo eccezioni (ad esempio quando la domanda viene inoltrata da un minorenne che abbia familiari stretti in un altro Paese membro rispetto a quello di arrivo). 

L’Italia da questo punto di vista, costituendo Stato di primo approdo delle carrette del mare, è quella che più risente degli effetti negativi di questo sistema, specialmente per quanto attiene ai costi sociali. Ad oggi, infatti, chi ottiene la protezione internazionale non ha poi la possibilità di lavorare regolarmente in un altro Stato membro dell’Unione Europea e ciò significa che, salvo alcuni casi, lo Stato che viene individuato dal sistema Dublino III come competente ad esaminare la domanda sarà poi anche lo Stato in cui l'interessato dovrà rimanere una volta ottenuta la protezione. 

Questo sistema non tiene conto né delle aspirazioni dei singoli, se di aspirazioni si può parlare, (o dei loro legami familiari o culturali con alcuni Paesi), né delle concrete prospettive di trovare un'occupazione nei diversi Paesi europei, né del costo che solo alcuni Stati, come l’Italia e la Grecia in quanto più esposti, sono costretti a farsi carico. Ed anche quando, almeno fino ai primi mesi del 2015, i migranti venivano fatti passare senza essere identificati (non prendendo loro le impronte digitali da inserirsi nella banca dati Eurodac) in modo che potessero chiedere asilo nello Stato in cui volevano andare, sono subito scattate le c.d. «riammissioni attive», ossia le espulsioni di soggetti richiedenti asilo verso il Paese attraverso il quale sono entrati nel territorio dell’Unione Europea. Insomma, un tipico esempio di solidarietà europea. 

La Repubblica federale tedesca guidata dalla Cancelliera Angela Merkel, che si era in un primo momento resa disponibile ad accogliere migliaia di profughi, è quella che ad oggi vanta il maggior numero di riammissioni attive seguita a ruota dalla Svezia. Il nostro Paese, invece, sotto il profilo delle riammissioni passive, proprio in ragione della sua peculiare collocazione geografica, si situa al primo posto. 

Queste considerazioni portano ad una innegabile conclusione, ossia che il sistema Dublino III non è stato concepito per garantire una distribuzione sostenibile delle responsabilità tra gli Stati membri nei confronti dei richiedenti asilo, quanto piuttosto per garantire l’accesso rapido alle procedure da parte dei richiedenti protezione internazionale attraverso l’individuazione di un unico Stato membro competente, evitando i c.d. movimenti secondari. 

Questa originaria impostazione ha fatto sì che, in presenza di afflussi massicci di profughi, solo un numero limitato di Stati membri, quelli alle frontiere esterne di primo ingresso, si siano trovati a dover gestire la stragrande maggioranza di richieste. A questo si aggiunga che il sistema europeo comune di asilo è caratterizzato anche da differenze nel trattamento dei richiedenti asilo da uno Stato membro all’altro, in particolare per quanto riguarda la durata delle procedure o le condizioni di accoglienza. Tali divergenze derivano in buona parte dalle disposizioni spesso facoltative attualmente contenute nella direttiva procedure (direttiva 2013/32/UE) e nella direttiva accoglienza (direttiva 2013/33/UE). Allo scopo di affrontare questo complesso di criticità, accentuatesi nella gestione dell’attuale ed interminabile crisi migratoria, la Commissione europea, dando seguito all’Agenda europea sulla migrazione del 13 aprile 2015 e alle più recenti richieste del Consiglio europeo (conclusioni del 18/19 febbraio 2016) e del Parlamento europeo (risoluzione del 12 aprile 2016, 2015/2095(INI)), il 06 maggio 2016 ha presentato un programma globale di riforma del sistema europeo comune d’asilo (c.d. CEAS). 

Pur mantenendo il criterio dello Stato di primo ingresso, si dovrebbe pervenire ad un sistema di ripartizione delle domande per mezzo di un meccanismo correttivo di ricollocazione basato su una chiave di distribuzione e un meccanismo sanzionatorio per gli Stati che si sottraggono alla ridistribuzione. Eppure, si tratta di proposte che non solo fino ad ora non hanno trovato attuazione, ma che sono state avanzate sia in assenza di qualunque quadro politico univoco verso gli Stati terzi che accolgono migranti in fuga, sia di una politica funzionale a risolvere la polveriera mediorientale. 

Esiste, quanto al primo punto, un accordo con la Turchia, ma Erdogan utilizza la quantità di profughi provenienti dalla Siria come strumento di pressione nei confronti della stessa imbelle Unione Europea. 

Quanto al secondo punto la comunità internazionale dovrebbe avvertire l’obbligo di solidarietà nel rimuovere le cause di queste migrazioni di massa, restando invece spettatrice ed incapace di qualsivoglia azione: di fronte alla presenza dello Stato islamico in Iraq ed in Siria, di fronte al conflitto in Libia dopo che gli USA ed alcuni Stati europei (Francia in primis) hanno provocato nel 2011 la caduta di Gheddafi, di fronte all’occupazione di aree importanti della Nigeria da parte di Boko Haram, di fronte alla pesante situazione in Eritrea nessuno ha mosso un dito. 

Scriveva l’ex Presidente del Senato della Repubblica prof. Marcello Pera: «purtroppo questa Europa è sminuita di per sé e da questa Europa si importano i peggiori vizi aggirando la sovranità nazionale». 

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(*) Prof. Daniele Trabucco 

Associato di Diritto Costituzionale italiano e comparato presso la Libera Accademia degli Studi di Bellinzona (Svizzera)/UNIB – Centro Studi Superiore INDEF (Istituto di Neuroscienze Dinamiche «Erich Fromm»). Professore universitario a contratto in Diritto Internazionale e Diritto Pubblico Comparato e Diritti Umani presso la Scuola Superiore per Mediatori Linguistici/Istituto ad Ordinamento Universitario «Prospero Moisè Loria» di Milano. Dottore di Ricerca in Istituzioni di Diritto Pubblico e titolare di Master universitario di I livello in Integrazione europea: politiche e progettazione comunitaria. Socio ordinario ARDEF (Associazione per la ricerca e lo sviluppo dei diritti fondamentali nazionali ed europei) e socio SISI (Società italiana di Storia Internazionale). Vice-Referente di UNIDOLOMITI (settore Università ed Alta Formazione) del Centro Consorzi di Belluno.