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Lunedì, 23 Novembre 2020 10:42

Il tribunale del riesame dispone il sequestro preventivo di altri 4 milioni di euro dopo i primi 5 dell'operazione "DAUNIA". In evidenza

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Il Procuratore Capo di Parma Alfonso D'Avino - foto di repertorio Il Procuratore Capo di Parma Alfonso D'Avino - foto di repertorio

Nella giornata di venerdì scorso, Ufficiali di Polizia Giudiziaria della Tenenza della Guardia di Finanza di Fidenza, sotto la direzione della Procura della Repubblica di Parma, hanno eseguito un provvedimento di sequestro preventivo di oltre 4 milioni di euro, emesso dal Tribunale del Riesame di Parma.

Fidenza 23 novembre 2020 - L’attività rientra nell’ambito dell’indagine denominata “DAUNIA” che già sul finire del mese di ottobre aveva portato al sequestro di beni per un valore di circa 5 milioni di euro nei confronti di varie società riconducibili ad un sodalizio criminoso. Le società in rassegna, operative in territorio emiliano attraverso un Consorzio con sede di Sorbolo (PR), gestito da tre fratelli di origine foggiana, erano i veicoli formali attraverso i quali i sodali gestivano la forza lavoro necessaria ad eseguire, nel settore della manutenzione degli impianti industriali, le commesse ricevute da aziende di primaria rilevanza (estranee alla frode).

A seguito dell’attività investigativa era stata puntualmente ricostruita l’operatività dell’associazione per delinquere finalizzata alla sistematica autoproduzione ed annotazione, nella contabilità delle società nelle quali erano assunti i lavoratori, di false fatture al fine di abbattere il carico fiscale e di offrire, sul mercato dell’impiantistica industriale, prezzi altamente concorrenziali.

Il sequestro odierno è stato eseguito su disposizione del Tribunale del Riesame di Parma, che ha emesso un’ordinanza a seguito di appello presentato della Procura della Repubblica; infatti, la richiesta di misure cautelari patrimoniali della Procura era stata soltanto parzialmente accolta dal GIP del Tribunale di Parma con un provvedimento che, di fatto, aveva ridimensionato gran parte delle fattispecie rilevate durante le indagini.

In particolare, il Pubblico Ministero nell’istanza della misura cautelare patrimoniale aveva richiesto il sequestro preventivo ex art. 321 c.p.p., finalizzato alla confisca per equivalente, su tutti i beni degli indagati, compresi quelli delle imprese ad essi riconducibili, per un ammontare complessivo pari ad oltre 16 milioni di euro, quale illecito risparmio fiscale ovvero profitto diretto conseguito dall’associazione attraverso la frode.

Di contro, nell’ordinanza eseguita lo scorso mese di ottobre, il GIP aveva escluso l’aggredibilità del patrimonio (beni immobili e disponibilità finanziarie), accogliendo tale richiesta soltanto per un ammontare di circa 8 milioni di euro, escludendo dunque i beni del consorzio e quelli di alcune società consorziate, di recente costituzione, non ravvisando il fumus criminis a carico di queste ultime imprese.

Il Tribunale del Riesame di Parma, accogliendo invece totalmente la richiesta del Pubblico Ministero, ha esteso il sequestro finalizzato alla confisca anche al patrimonio delle società anzidette, confermando, pertanto, nella sua completa articolazione il quadro accusatorio delineato sul conto degli indagati, gravemente indiziati di aver continuato nella sistematica autoproduzione ed annotazione nella contabilità delle proprie società di ulteriori 45 milioni di euro di fatture per operazioni inesistenti.

L’operazione che qui si illustra -che ha visto l’impiego di decine di finanzieri- ha permesso di sottoporre a sequestro diversi immobili nelle province di Parma, Foggia e Roma, numerose partecipazioni societarie, nonché disponibilità finanziarie depositate in numerosi conti correnti per quasi 5 milioni di euro.

Resta dunque confermata la particolare cura che l’Autorità Giudiziaria di Parma e la Guardia di Finanza prestano nel settore delle frodi fiscali per attuare in concreto il contrasto alla criminalità economica, che tanti danni arreca al complessivo sistema economico del territorio, avvalendosi di strumenti che finiscono per compromettere sempre di più gli operatori onesti che rispettano le regole del mercato.

Di qui l’auspicio, per un verso, che le associazioni di categoria esercitino una maggiore vigilanza e, per altro verso, che le imprese fruitrici di tali meccanismi prestino la massima attenzione nella fase della individuazione dei contraenti onde evitare che scelte imprenditoriali in sé apparentemente legittime (quali, per l’appunto, la scelta del contraente sulla base di mere valutazioni di maggiore convenienza economica) finiscano però per alimentare meccanismi illeciti che a loro volta rischiano di inquinare fortemente il mercato.

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