Venerdì, 14 Febbraio 2025 06:53

Immigrazione e costumi: il suicidio collettivo di una cultura? In evidenza

Scritto da Andrea Caldart

In un mondo in continua trasformazione, dove i flussi migratori segnano una rivoluzione demografica, economica e sociale delle nazioni, emerge un interrogativo sempre più pressante: chi deve adattarsi a chi?

Di Andrea Caldart (Quotidianoweb.it) Cagliari, 13 febbraio 2025 - La questione non è solo pratica, ma profondamente culturale e identitaria. Ed è proprio qui che, secondo alcuni osservatori, si sta consumando quello che potrebbe essere definito un drammatico suicidio collettivo della cultura occidentale.

Da decenni, la narrativa dominante nei paesi riceventi i flussi migratori sembra orientata a un principio: non sono i nuovi arrivati a dover rispettare e integrare i costumi, le tradizioni e le regole delle società ospitanti, ma viceversa.

La narrazione progressista vorrebbe che fosse il Paese ospitante, implicitamente o esplicitamente, a trasformarsi, a plasmare le proprie abitudini, a ridiscutere le sue radici e persino a rinunciare a elementi centrali della propria identità, per accogliere chi proviene da culture diverse.

Ma a quale prezzo?

Il problema non sta, evidentemente, nell’accoglienza in sé, che da sempre è stata una forza vitale per il progresso di molte civiltà. Il problema si pone quando l’integrazione si trasforma in un progressivo adattamento unilaterale. Quando le feste tradizionali vengono messe in discussione perché ritenute offensive per alcune comunità. Quando l’uso di simboli religiosi, storici o culturali viene visto come una minaccia all’“inclusività”. Quando il linguaggio stesso subisce modifiche per evitare di urtare sensibilità altrui. Tutto questo, rappresenta un tradimento delle radici profonde di un popolo.

Questo processo non è nuovo. Già dagli anni Ottanta e Novanta, alcuni intellettuali e politici hanno iniziato a promuovere una visione del multiculturalismo che, in alcuni casi, ha assunto tratti estremi. Il multiculturalismo, nato come strumento per promuovere la convivenza pacifica tra popoli diversi, è stato trasformato in una frammentazione culturale. Al posto dell’integrazione, si è assistito alla creazione di società parallele, in cui ogni comunità vive separata dalle altre, senza che vi sia un reale punto di contatto con il tessuto sociale preesistente.

Il risultato? Una crescente sensazione di disorientamento tra le popolazioni dei paesi ospitanti, che si vorrebbe vedere costrette a mettere in discussione la propria identità, la propria storia, persino la propria religione.

Un sentimento che alimenta divisioni, tensioni sociali e, talvolta, rigurgiti di intolleranza. Non sorprende, quindi, che questa dinamica venga percepita come una minaccia esistenziale, un vero e proprio suicidio collettivo culturale.

Chi spinge verso questa direzione? Secondo alcuni, i “soliti noti”. Una ristretta élite intellettuale e politica che, da decenni, promuove un modello di globalizzazione senza radici, un’idea di mondo in cui le identità nazionali e culturali sono viste come ostacoli piuttosto che come ricchezze da preservare. Una visione che rischia di generare un appiattimento culturale globale, dove tutto è fluido, ma nulla è stabile.

Di fronte a questa realtà, è necessario interrogarsi: come trovare un equilibrio? Come accogliere senza rinunciare? Come favorire il dialogo interculturale senza perdere ciò che rende unica una nazione, una cultura, un popolo? La risposta non è semplice, ma passa da un principio fondamentale: l’integrazione deve essere reciproca. I flussi migratori possono anche arricchire, ma solo se c’è un reale rispetto e una evidente volontà di condivisione, non di imposizione unilaterale.

Riscoprire le proprie radici, valorizzarle e trasmetterle è l’unico antidoto al rischio di un suicidio culturale collettivo. Un antidoto che non esclude l’accoglienza, ma che al contrario la rafforza, rendendola solida e sostenibile.

In un mondo sempre più complesso, è l’autentica diversità quella capace di dialogare senza annullarsi, e di rappresentare la vera ricchezza.

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