Sabato, 13 Marzo 2021 09:11

L’anima sospesa. Un nuovo episodio della vita di Rodolfo Lapidario In evidenza

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Foto di Francesca Bocchia Foto di Francesca Bocchia

Tredicesima avventura stagionale di questo nuovo ciclo di racconti che ha come protagonista Rodolfo Lapidario, l'agente di pompe funebri che sapeva parlare con i suoi defunti. Questa volta ha problemi con "Un'Anima sospesa" 

Di Manuela Fiorini 13 marzo  2021 - Una nuova avventura di Rodolfo Lapidario

Rodolfo Lapidario frequentava spesso l’ospedale. Era il titolare di un’Agenzia di Onoranze Funebri e il suo mestiere lo metteva quotidianamente a contatto con i luoghi di morte e dolore. Il suo cruccio più grande, tuttavia, era non poter consolare le persone come avrebbe voluto. La sua facoltà di vedere gli spiriti dei defunti, infatti, non poteva essere condivisa con nessuno dei parenti dei trapassati. Il rischio era troppo alto. Non poteva sapere chi si poteva trovare davanti, poteva essere preso per pazzo, per mistificatore, per qualcuno che voleva approfittare del momento di dolore delle persone. Per questo, quando un’anima non gli prestava troppa attenzione e se ne andava naturalmente e tranquillamente verso la porta di luce per cominciare il suo percorso spirituale, lui la lasciava andare senza interagire. Al contrario, quando qualcuno non accettava il trapasso, oppure aveva lasciato qualcosa in sospeso sulla Terra, faceva in modo di venire incontro alle richieste dello spirito. Negli anni, Lapidario era diventato un po’ psicologo, un po’ filosofo, un po’ detective e molto diplomatico. 

Quella mattina, dopo essere stato alle Camere Ardenti per organizzare un paio di funerali, decise di passare a trovare un amico che era appena stato sottoposto a un piccolo intervento. Finita la visita, si diresse verso la porta principale. Qui, fermo in mezzo alla hall, tra persone in fila all’ufficio informazioni, altre che aspettavano l’ascensore per accedere ai reparti e il consueto andirivieni di gente, scorse una figura evanescente. Era quella di un ragazzo piuttosto giovane, sui venticinque anni. Si guardava intorno spaesato, cercando di toccare le persone che gli passavano vicino. A ognuno urlava qualcosa, cercando di attirare l’attenzione. Quando si rese conto che nessuno poteva vederlo, o sentirlo, cominciò a disperarsi. Lapidario decise allora di intervenire. Si avvicinò all’anima in pena, la fissò dritto negli occhi e gli fece cenno di uscire insieme a lui per raggiungere un luogo meno affollato, dove avrebbero potuto parlare. Il ragazzo, quando capì che quell’uomo si stava rivolgendo proprio a lui, che lo vedeva e lo capiva, non se lo fece ripetere due volte.

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Raggiunsero una panchina nel giardino del nosocomio. Lungo i sentieri, di tanto in tanto passava qualcuno, ma la situazione non era tale da preoccupare Lapidario. Se lo avessero visto parlare da solo, avrebbe finto di essere al telefono con gli auricolari senza fili. Uno stratagemma ormai consolidato. 

“Come ti chiami, ragazzo?”

“Marco Giusti”, gli rispose lo spirito.

Lapidario fece mente locale: non gli pareva di aver visto quel nome, poco prima, alle Camere Ardenti, ma questo non voleva dire nulla. Probabilmente, il giovane era appena trapassato. 

Lo spirito lo sfiorò e Lapidario percepì una sensazione nuova. Di solito, gli spiriti che lo avvicinavano o lo sfioravano gli causavano un brivido di freddo e il loro tocco era come un alito di vento gelido. L’anima di Marco Giusti, invece, emanava calore e anche il suo tocco era più pesante di quello degli altri spiriti. 

“Che cosa ti è successo?”, gli domandò Lapidario.

“Un incidente in moto, credo”, rispose l’anima confusa. “Ricordo solo che stavo percorrendo una strada con molte curve, poi, ho visto solo un gran buio”.

“Capisco. È così che sei morto…”.

“Non sono morto!”, si affrettò a puntualizzare il ragazzo, piuttosto arrabbiato.

“Ascolta, so che non è facile. Hai per caso visto una luce molto forte, che ti attraeva verso di lei?”.

“No, non ho visto nulla”.

Lapidario sospirò. Il ragazzo, evidentemente, era molto legato alla vita terrena. Era giovane, la sua vita era stata interrotta bruscamente. Era naturale che non si capacitasse della sua situazione. Ci sarebbe stato molto da fare. Il primo passo era metterlo davanti alla cruda realtà. Doveva fargli vedere le sue spoglie mortali. 

“Vieni con me”, gli disse. 

Si incamminarono verso le Camere Ardenti. Qui Lapidario incontrò diverse anime, che, resesi conto di poter essere viste, lo salutarono con un cenno della mano.

“Chi stai salutando?”, gli domandò lo spirito del giovane motociclista. 

Lapidario si fermò, interdetto. Come era possibile che il fu Marco Giusti non vedesse le altre anime dei trapassati? Di solito, gli spiriti potevano interagire tra di loro. Era il secondo particolare assai strano. Doveva scoprire perché Marco Giusti era diverso dagli altri spiriti.

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“Buongiorno, sono Rodolfo Lapidario delle “Onoranze Funebri Lapidario”, sa dirmi se di recente hanno portato qui la salma di un giovane di nome Marco Giusti?”.

L’uomo seduto all’Ufficio Informazioni delle Camere Ardenti scorse il registro degli ultimi arrivi, poi scosse la testa.

“No, nessun Marco Giusti. Forse è ancora in reparto. Mi faccia fare una telefonata”.

Compose in fretta un numero, poi bofonchiò qualcosa con il suo interlocutore. Riattaccò e si rivolse di nuovo a Lapidario. 

“Non c’è nemmeno su nei reparti. È sicuro che sia morto in questo ospedale?”.

Lapidario ringraziò. La faccenda si stava facendo sempre più strana.

“Te l’ho detto che non sono morto”, gli disse Marco Giusti con un sorriso soddisfatto. 

Lapidario si fece pensieroso. 

“Forse, ho capito che cosa ti è successo. Andiamo”.

Presero l’ascensore e si fermarono in Rianimazione.

Sul pianerottolo, videro una donna che piangeva disperatamente e un uomo e una ragazza che la stavano confortando.

“Sono i miei genitori”, disse Marco Giusti con tono freddo. “Sembra che adesso, morto o no, gli importi di me”.

“Hai litigato con loro?”.

“Ci litigo da una vita. Hanno sempre voluto pilotare la mia secondo i loro desideri e aspirazioni, senza tenere conto di quello che volessi veramente. Così, a un certo punto, per farli stare buoni, ho finto di iscrivermi alla facoltà di ingegneria. Invece, mi sono iscritto all’Accademia di Belle Arti. Ma loro lo hanno scoperto, si sono arrabbiati e mi hanno detto che mi avrebbero tagliato i fondi. Niente tasse universitarie pagate, niente libri. Se volevo diplomarmi all’Accademia, avrei dovuto lavorare, mi mancano tre esami e la tesi, ma loro sono stati irremovibili. Mi meritavo una punizione esemplare. A mia sorella, invece, la figlia perfetta e ubbidiente, non hanno mai lesinato nulla. A scanso di equivoci, la mia famiglia è benestante”, aggiunse come per giustificarsi.

Lapidario ascoltò le parole del giovane, che continuò: “Ero arrabbiatissimo quando ho deciso di inforcare la moto e di andarmene di casa. Su quella strada di montagna stavo andando forte, lo ammetto. Dovevo smaltire la rabbia, la frustrazione. Poi deve essere successo quell’incidente. E ora loro mi piangono. Meglio morto che ingegnere!”, concluse lo spirito accendendosi di una luce rossastra. 

Lapidario gli fece cenno di calmarsi, poi si avvicinò al gruppetto. 

“Salve, siete la famiglia di Marco Giusti?”.

I tre annuirono.

“Come sta vostro figlio?”.

“Scusi, lei chi è?”

Lapidario doveva improvvisare.

“Sono…un suo insegnante all’Accademia di Belle Arti. Marco è il più valente dei miei studenti. Ho saputo dell’incidente e sono venuto a trovarlo”.

I due si guardarono, senza mai staccare le mani le une dalle altre.

“È in rianimazione. Lo hanno operato alla testa e lo stanno tenendo in coma farmacologico, ma non ci hanno dato molte speranze sul suo recupero. Ci vorrebbe un miracolo”, disse il padre, mentre la madre e la sorella di Marco si asciugavano le lacrime.

Svelato il segreto di quello spirito così anomalo: né morto né vivo, ma sospeso in un limbo. In attesa di capire quale sarebbe stato il suo destino. 

Soddisfatto di quanto aveva scoperto, Lapidario si congedò da loro.

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“Avevi ragione, non sei morto. Per ora sei sospeso”, disse Lapidario al giovane. 

“Te lo avevo detto che non lo ero. Però, adesso che li ho visti così, forse mi viene voglia di essere morto. Così impareranno, mi hanno reso la vita un inferno con le loro aspettative. Sono sempre stato costretto a mentire per cercare di essere quello che sono e farmi la mia vita”.

Lapidario si schiarì la voce.

“Anzi, uomo-che-vede-gli-spiriti, come si fa a essere morti…morti?”.

“Se non hai visto la porta di luce, credo proprio che non sia ancora arrivata la tua ora, ragazzo mio”.

“Tutti gli altri spiriti sospesi, ma…morti morti, l’hanno vista. Hanno potuto decidere di non attraversarla e rimanere qui ma, prima o poi, hanno preso la decisione di passare oltre. Sinceramente non so che cosa succede alle anime delle persone in coma, non mi è mai capitato un caso come il tuo”.

“E come faccio a sapere se il mio destino è risvegliarmi o morire del tutto?”.

Bella domanda! Lapidario non sapeva che cosa rispondere. Poi, gli venne in mente il suo incontro con il bizzarro Viaggiatore Astrale, un uomo che aveva la facoltà di lasciare il suo corpo e di rientrarci a  piacimento. Forse, con il giovane poteva funzionare in maniera analoga.

“Prova a entrare di nuovo nel tuo corpo. Se ci riuscirai, segno che il tuo destino è vivere”.

Tornarono nel reparto di Rianimazione, dove si trovava il corpo di Marco Giusti.

“Entra e fai un tentativo, io non posso entrare. Ti aspetterò qui”.

Poco dopo, lo spirito del ragazzo tornò da Lapidario.

“Allora, come è andata?”.

“Un incubo! Sono entrato, ma non riesco a muovermi. Una sensazione bruttissima”.

“Credo che tu sia destinato a vivere”, gli disse Lapidario.

“Prima, però, voglio vedere i miei genitori preoccuparsi per me ancora per un po’”.

Per la prima volta, Lapidario perse il suo proverbiale aplomb.

“Hai idea di quante persone, anche della tua età o più giovani, avrebbero voluto vivere, rimanere ancora qui con i loro cari, e invece hanno dovuto andarsene? Mi hai scocciato, ragazzino. Arrangiati e prendi le tue decisioni da solo, sei abbastanza grande!”.

Poi, girò i tacchi e se ne andò. Questa volta, lo spirito del ragazzo non lo seguì, ma rimase meditabondo in mezzo al pianerottolo del reparto di Rianimazione. 

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Lapidario non se lo vide più ronzare intorno nemmeno il giorno seguente né quello dopo ancora. Decise così di recarsi di nuovo all’ospedale a chiedere notizie di lui.

Nel reparto di rianimazione, incontrò i genitori e la sorella di Marco Giusti. Non stavano piangendo, questa volta, ma i loro occhi erano pieni di gioia e di speranza.

“Oh, il professore di Marco!”, disse la madre quando lo vide, correndogli incontro. “Il nostro ragazzo si è svegliato, ci ha riconosciuto. L’intervento alla testa è andato bene e con tanta riabilitazione e pazienza potrà tornare come prima. Presto lo trasferiranno in un altro reparto. Il miracolo è avvenuto!”.

Lapidario tornò spesso a trovare Marco Giusti nei giorni seguenti. Ormai completamente sveglio, anche se un po’ ammaccato, Marco Giusti lo riconobbe.

“Grazie. Con la tua sgridata mi hai fatto prendere la decisione giusta. Sono felice di essere tornato, anche se mi fa male dappertutto”, gli disse con un sorriso. 

Quando Lapidario uscì dalla stanza del ragazzo, ne approfittò della bugia che aveva raccontato, cioè quella di essersi spacciato per un suo professore dell’Accademia, per fare un bel discorso i genitori di Marco sulle aspirazioni del loro rampollo. Era meglio cercare di mettere pace in quella famiglia. Quando entrarono di nuovo nella stanza del ragazzo, Lapidario capì che era ora di congedarsi, tutte le tessere di quel complesso mosaico erano tornate al loro posto. 

“Signor Lapidario, ecco dove era finito. Mi hanno detto che era in giro per l’ospedale, la stanno cercando alle Camere Ardenti”, gli disse Clelia, un’infermiera che lo conosceva bene.

I genitori di Marco Giusti si guardarono sconcertati. Questa volta, fu Marco a intervenire. Dopotutto, Lapidario gli aveva salvato la vita. Glielo doveva.

“Sì, mamma, niente di strano. Il professor Rodolfo Lapidario è il mio insegnante di…Arte Cimiteriale all’Accademia di Belle Arti”. Si scambiarono un sorriso e un saluto.

“Buona vita, ragazzo”, mormorò Lapidario tra sé uscendo dal nosocomio, “Hai avuto una seconda occasione. Fanne tesoro…”.

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