Giovedì, 18 Febbraio 2021 10:20

Malara, scopritrice del caso 1: verificare sempre, poi burocrazia... In evidenza

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Russo, capo anestesisti Codogno a evento siaarti: ora spazio a altre malattie

Codogno (Lodi) -- L'applicazione di un metodo di lavoro ereditato dai colleghi piu' 'maturi' che consiglia di vagliare ogni ipotesi plausibile, seppur altamente improbabile. Il 20 febbraio del 2020 l'anestesista Annalisa Malara scopre a Codogno il primo caso di coronavirus in Europa: l'uomo e' Mattia, il paziente uno, ricoverato con sospetta polmonite. "In quel momento la possibilita' che si trattasse di una polmonite da coronavirus era a mio avviso una possibilita' remota ma comunque concreta", racconta a margine della conferenza stampa organizzata da Siaarti, con cui gli anestesisti-rianimatori hanno voluto tirare le somme di un anno eccezionale, e al contempo ipotizzare possibili soluzioni, sia per rivingorire un comparto affaticato, sia per migliorare la risposta alle emergenze, ma soprattutto per migliorare la gestione dei periodi di gestione ordinaria.

"Ho voluto andare a fondo a questa ipotesi diagnostica nonostante per quelle che erano le nostre conoscenze al momento questo paziente non fosse ritenuto a rischio di coronavirus", spiega, raccontando anche delle difficolta' contingenti che riguardavano tutto l'aspetto 'comunicativo' del frangente. "Una grande pressione", perche' alla gestione clinica di un paziente "comunque giovane e con una funzionalita' respiratoria gravemente compromessa" si e' aggiunta una parte di lavoro "gestionale e burocratico che in generale impatta tantissimo sul nostro lavoro, e a maggior ragione in una situazione del genere".

Ospedale di Codogno centro del mondo, in quel 20 febbraio, dove ad accogliere i pazienti c'era Gianluca Russo, allora anestesista e ora direttore del reparto anestesia. Un anno in mezzo, in cui molto e' cambiato, con la consapevolezza che molto dovra' ancora cambiare. "Sicuramente quella con il coronavirus e' una convienza che durera' almeno un altro anno, quello che dobbiamo fare- spiega- e' riuscire a dare delle risposte a tutti, mantenendo dei percorsi separati per evitare infezioni intraospedaliere, ma dando possibilita' di cura ad altri pazienti".
Difatti, la 'specializzazione covid' di Codogno e' di fatto finita, vuoi per lo scenario diverso rispetto a un anno fa, vuoi per le esigenze che restano, come quelle degli altri ammalati. "Mentre prima siamo stati invasi da pazienti che avevano questa tipologia di patologia ed eravamo un ospedale che trattava solo pazienti covid- chiosa- adesso abbiamo anche l'obbligo di continuare a curare tutte quelle patologie che non si sono fermate".