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Si è concluso con l'assoluzione, perché il fatto non sussiste, il processo promosso dinnanzi al Tribunale di Parma sulla base di un verbale degli agenti zoofili della Lipu (Lega Italiana Protezione Uccelli) nei confronti del titolare di una azienda faunistica venatoria situata nel zona pedemontana.

Di Virgilio 

Parma 10 maggio 2018 - Ad essere assolto è stato l'ottantanovenne Q. C., titolare dell'azienda faunistico venatoria (a.f.v.) di Sant'Uberto che si trova nel territorio del Comune di Felino e, in parte, di Parma e Langhirano.

I fatti sono risalenti al 2013 quando, alcune guardie zoofile della Lipu, avevano operato il sequestro penale di una "trappola Corbeau", consistente in una gabbia nella quale i corvidi (corvi, gazze) possono entrare ma non uscire, situata nell'azienda faunistico venatoria.

 Nel verbale veniva ipotizzata la violazione dell'art. 30 della legge sulla caccia che punisce l'esercizio venatorio in tempi di chiusura e con mezzi non consentiti.

La legge è molto severa in proposito, tanto che il Pubblico Ministero aveva chiesto - si legge nella sentenza - una condanna superiore rispetto ai limiti imposti dall'art. 30.

Alla fine però gli argomenti sostenuti dall'avvocato Stefano Molinari hanno avuto la meglio: il difensore ha prodotto una copiosa documentazione proveniente da istituti scientifici che legittimano l'uso del tipo di trappola sequestrata dalle guardie volontarie ed ha impostato una linea difensiva che si basava anche sulla innocuità della medesima trappola in mancanza del richiamo vivo che rappresenta, in una con il cibo, l'elemento essenziale di attrazione.



A suffragare sul piano tecnico-scientifico la sua tesi, la difesa ha portato in Tribunale il tecnico faunistico dott. Luca Cassoni il quale ha illustrato la natura delle Aziende Faunistiche Venatorie (a.f.v.), degli Ambiti Territoriali di Caccia (ATC), le diverse modalità di contenimento degli animali "problematici", le principali tipologie di mezzi utilizzati (fra cui le trappole Corbeau e Larsen per i corvidi), le modalità con cui le Autorità pubbliche preposte attuano il contenimento delle specie "opportuniste" (in passato definite "nocive"), in primis gazze e cornacchie, che, a causa del loro incremento, determinano squilibri ambientali in danno di altre specie.

Questa interpretazione delle norme non si discosta dalla prassi adottata dal Corpo delle guardie provinciali professionali le quali, in casi analoghi, contestano la caccia di frodo in presenza del richiamo considerando viceversa come semplice detenzione il possesso di trappole prive dello zimbello.



All'esito del dibattimento il Giudice Monocratico dr.ssa Maria Cristina Sarli ha assolto l'imputato perché "il fatto non sussiste" facendo propria la tesi difensiva, ritenendo che non sia stata raggiunta la prova degli elementi costitutivi del reato in quanto:

"-la gabbia sequestrata sia da considerarsi un mezzo vietato e che essa fosse destinata alla caccia e non al controllo degli uccelli "opportunisti";
-tale strumento fosse in grado di catturare uccelli selvatici posto che non risulta che al suo interno fosse stato collocato un richiamo vivo o del cibo per attirare gli uccelli;
-l'intenzione del "QC" fosse quella di svolgere attività di caccia in periodo vietato";

Il Giudice ha conseguentemente disposto il dissequestro e la restituzione della trappola al legittimo proprietario.

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( nella foto un esempio di  trappola per corvidi )

 

Pubblicato in Agroalimentare Parma